
Si è levato un forte vento che scuote gli alberi del giardinetto. Il vento si vede così, nello scuotere di foglie, nel sollevare mantelli che ormai non ci sono più e nel pulire le cose e l’aria. La vita queta osserva da dentro casa, dai bar, dalle finestre di alberghi in cui resteremo qualche notte. A volte una. Quanti alberghi ho cambiato durante gli anni dei vari lavori, stanze linde stili che riflettevano il Paese, luoghi al limite dell’accettazione in Africa o in Medio Oriente. Il vento continua a folate e mi torna a mente un albergo sul Carso Triestino che aveva una finestra che guardava il golfo verso Muggia. Le folate di bora increspavano l’acqua in modo uniforme e il riflesso la rendeva un tessuto dalla plissettatura infinita. Ho una particolare predilezione per il golfo di Trieste, per me è uno dei luoghi che nel mondo si dovrebbero vedere e assaporare, la città lo accoglie con il vestito della festa ed è un susseguirsi di piazze e palazzi che guardano il mare. In piccolo, questa struttura che assomiglia ad un abbraccio si ripete nei piccoli paesi che sono lungo il crinale carsico, come vi fosse un invito al vento e una necessità di vedere nella sua interezza l’arco del golfo. E’ una cosa strana per chi viene dalla pianura ed è abituato alle piazze che si chiudono in se stesse e nei palazzi che le circondano, vedere questo mostrarsi al mare è una generosità reciproca che accoglie e chiede protezione.
In ogni albergo c’era una poltroncina e ovunque mi sono seduto vicino alla finestra, per leggere il libro che avevo con me o per completare una relazione e gli occhi, ogni tanto, si sollevavano dalle parole e guardavano fuori. Spesso era sera, prima di cena e il cielo si scuriva, rendeva diverse le cose, una parola, l’ultima lettta, voleva dire di più. Essere scavata nel significato e messa in quel luogo come un segnalibro della mente. Da una parola è facile saltare ad altro, evocare un ricordo che apparentemente non ha relazione con nulla di ciò che attornia, oppure la parola trasformata suscita un sentimento e questo cerca una corrispondenza dentro di sé e al tempo stesso in ciò che gli occhi vedono in quel paesaggio strano che sono i panorami fuori delle finestre degli alberghi. Così il cielo non è più estraneo, le cose sembrano già viste e gli uomini hanno lo stesso linguaggio, le stesse passioni che sento, ma cambiate e ognuna riportata in una casa , in un angolo dove ci si siede per leggere, in mobili che non conosco ma che a quella persona sono familiari. Ciò che ci unisce è il sentire le emozioni, la forma dei desideri prima che vengano distorti da ogni educazione, la capacità di pensare e riflettere. Ciascuno a suo modo e con la sua profondità e nulla è banale o scontato.
Molti anni or sono, stavo facendo una traversata a piedi dell’appennino e giunto sul passo trovai due case, l’una di fronte all’altra, in una c’era un negozio emporio, piccolo, con la porta a vetri incorniciati e il campanello che suonava quando qualcuno entrava. C’era di tutto disposto su scaffali di legno, il cibo era su un tavolo di marmo che fungeva da bancone e i panini erano veramente ottimi, curiosai in mezzo alle tante cose e c’erano gli oggetti non venduti di un passato che si era accumulato pacificamente in attesa. La casa di fronte era del 1500, solida e con la forma di un edificio che doveva durare. Una lapide accanto alla porta riportava il nome di un antico, forse famoso, proprietario, che al servizio del Granduca di Toscana ritornava a questa casa per essere se stesso. E lì aveva trascorso gli anni della vecchiezza in studi e pensieri nuovi. Mi aveva colpito come in tempi in cui non c’era nessuna comodità vicina, ci fosse stata una scelta di quel genere e come Montaigne l’immaginai in una poltrona vicino alla finestra e attorniato dai suoi libri, che confrontava il suo tempo e la sua casa con ciò che passava per una strada di passo.
Penso che da qualche parte, in ciascuno, esista una casa interiore, un luogo dove essere accolto e che quella casa abbia un angolo di desiderio di quiete da cui guardare se stessi e fermare il tempo delle cose per essere in sintonia con il tempo nostro. Il kairos interiore che ripropone la vita, il significato dell’occasione, la pace e l’equilibrio del sentirsi parte di qualcosa di molto più grande ma di essere unici e irripetibili. Non c’è nostalgia in questo tempo, solo il mettere i sensi al suo servizio e cogliere il vento, le luci che s’affiocano, il libro, le parole che sussurrano di altre vite e il tepore di questa casa interiore dove domina la quiete e l’attesa del buono.
