disfare la storia

Quanto segue è solo una mia traccia, ovvero alcuni pensieri discutibili per riconciliarmi con la mia storia. Potevo non pubblicarla per quanto è personale, ma non credo di essere solo nel pensare così. Spesso mi viene detto quando obbietto: che bisogno ne hai, ciò che pensi è roba tua e basta, cerca di vivere, lascia perdere. Ed invece il bisogno esiste, perché le storie che ci vengono appiccicate costano una fatica enorme. Anche essere in un flusso non è gratis, bisogna far fatica per restare nella corrente ed essere se stessi e anche nel flusso sono forti i condizionamenti costanti a cui siamo tenuti. I si deve. I pro bono pacis. La soluzione più facile è essere due o tanti anziché uno. E’ possibile, si fa spesso, si interpretano parti, ma non può essere solo ad uso e consumo di non si sa chi. Forse è l’età, ma il mondo che mi raccontano non mi va più bene, perché non è il mondo che percepisco. Sono stanco del vuoto generato da problemi fasulli, non ne posso più che la mia storia, la mia unicità venga confusa, banalizzata, mandata in un tritacarne dove non c’è fatica di essere, ma solo conformità. I miei errori sono miei, ci tengo come per le fatiche. Mi chiedono di non fare, di essere immobile ed invece voglio correre, vedere, non chiudere gli occhi.

Intorno il banale prende il sopravvento, invade i desideri, la gestione della vita, altera la concezione del mio tempo, cerca di regolare la differenza. Allora se limito le pulsioni facili, vengo guardato malamente, se rivendico un individualismo sociale, non vengo inteso. E’ l’era degli ossimori. Non di quelli fasulli proposti nei talk show solo perché suonano bene, non di quelli usati perché non si trovano le parole, ma è l’ora di quelli silenti. Non occorre dire: sono una cosa e il suo contrario, e non mi contraddico, semplicemente contengo entrambe le opzioni e scelgo. Nello scegliere c’è forza, c’è purezza, almeno quella del gesto che sente i muscoli che l’accompagnano, che li individua uno per uno e non li sente staccati dal gesto. Consapevolezza. Una forma più alta di passione per combattere l’indifferenza che ci isola nel conformismo e il cinismo che inghiotte il futuro e il presente. Non è tutto eguale, non sono eguale. Per sentire l’ingiustizia devo uscire dalla storia fasulla, dall’eguaglianza senza rischio. Eguaglianza finta perché basata sul censo, sul genere, sul ruolo, sull’appartenenza. Ma io non voglio appartenere e la mia storia è mia e la posso mettere assieme solo con chi nuota come me. Posso compilare una lista aperta solo per raccogliere le idee, posso farlo perché pensare che ciò che scrivo sarà contraddetto è vitale, e che comunque è una mappa alternativa al conformarmi, alla resa. E’ un  modo per resistere, per pensare, discutere, essere. E se lo metto al plurale, è perché non mi sento solo, penso che tanti siano come me, insofferenti ed in cerca di una via per rimettersi a camminare. Assieme e senza raccontarcela troppo.

  • Siamo parziali, del passato teniamo solo ciò che ci serve per vivere.
  • Cerchiamo di assomigliare a ciò che ricordiamo di noi, ovvero facciamo in modo che sia verità.
  • Usiamo la gentilezza e la fermezza, nessuno di noi e’ solo un prodotto del caso, c’è molto di nostro in quello che siamo.
  • Usiamo tutte le resistenze contro ciò che non vogliamo perché non giusto per noi. Ovvero impariamo a dire di no.
  • Disorientiamo, se siamo noi stessi siamo imprevedibili.
  • Disfiamo la storia già scritta per noi, seguendo l’intuito e l’intelligenza. La nostra intelligenza, non quella altrui.
  • Impariamo ad apprezzare i segreti come cose preziose.
  • Non vantiamoci perché è una verità che non dura.
  • Puntiamo sulla nostra realtà, e’ l’unica cosa che abbiamo creato davvero.
  • Rispettiamo la realtà degli altri, che dimostra che non c’è un’unica verità.
  • Lasciamo che gli altri giudichino banale ciò che per noi ha significato e ribaltiamo il giudizio su di loro.
  • Facciamo parlare le cose, usiamo il significato delle parole, non le parole.
  • Abbattiamo ogni giorno, un pezzo di quello che ci fa male.
  • Impariamo a non aver paura della fatica, corriamo finché non abbiamo più fiato, fermiamoci finché il pensiero riprende e poi ricominciamo.
  • Non accontentiamoci mai e gioiamo di ciò che abbiamo avuto, che abbiamo e che avremo.
  • Ricordiamoci che appartenere a noi stessi è la fedeltà che possiamo donare.