I tavolini nella piazzetta davanti al bar del ponte erano tutti pieni ieri sera. Come prima, come al solito. Le mascherine ornavano l’ avambraccio, oppure civettuole, appese ad un orecchio. Non pochi le avevano abolite. Tutto normale quindi, anche la distanza era la solita delle conversazioni. Forse si saranno dette poche parole all’orecchio e qualche inutile cattiveria sarà rimasta nei pensieri, ma era una tranquilla serata di giugno all’ora dell’aperitivo.
Non ho recriminazioni, ciascuno si regola come crede perché questo è il limite della responsabilità e la disciplina esige sanzioni, restrizioni esterne, un diverso stile di vita. Stamattina dicevano per radio che il distanziamento è tra le persone e non sociale, infatti per essere stanziati serve una responsabilità interiore e una fantasia che trova nuovi modi di stare assieme e porta la sicurezza nella fiducia.
Se tu mi ami non ti ammali, fai di tutto perché non accada e non mi contagerai.
Quest’attenzione semplice tiene unite le persone, possibili i baci e gli abbracci ed esamina ciò che invece è consuetudine, abitudine senza un pensiero che la sorregga e la nega come possibilità. Non per sempre ma per un po’. Sempre ieri sera, alla commemorazione di Berlinguer in piazza, eravamo distanti e insieme vicini. Ordinati nel porre un fiore senza nessun discorso ufficiale. Ma appena usciti dalla piazza sono cominciati altri incontri e ancora il tentativo di stringere mani, di annullare gli spazi fisici anche nel parlare. C’è un’impressione di libertà che supera l’attenzione e che è in sé un indice di ciò che verrà. Non parlo delle recrudescenze pandemiche, ma del cambiamento che si sognava negli stili di vita durante il confinamento in casa. L’inquinamento ha ripreso a crescere, il mutamento climatico continua il suo corso e dei piani che si sentono annunciare per la crescita, per l’economia, non c’è nulla che non sia una ulteriore declinazione di un neo liberismo che farà fare a minor prezzo ciò che si produceva prima. Nessun ripensamento vero, il che dimostra, e ciò è particolarmente vero nei paesi che si dicono democratici, che l’economia capitalista governa per suo conto, stabilisce cosa è progresso, ciò che deve piacere e con quanta fatica si dovrà acquistare l’inutile, il transitorio, il nuovo che è solo rappresentazione. Nessuno dei problemi di questo mondo che connette tutto tra ambiente produzione, consumo, viene affrontato. E lo stesso distanziamento sociale diventa rottura tra interessi comuni, tra esistenze. È triste che sia la forza a insegnare le cose e non l’intelligenza. Triste e brutto.