inclusivo

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Alle 16 i marciapiedi della strada si riempiono di bambini festanti, di voci acute, risate, corse, piccole bizze. Vengono a frotte dalla vicina scuola privata, gestita dalle suore. E’ una scuola di rango, ce ne sono diverse in città, famose per la qualità. O almeno così si dice sia. I bambini hanno una mamma, o una tata oppure qualche giovanile nonna che li accompagna. Sciamano tutti verso il piazzale e i parcheggi. Lì troveranno o le case vicine, oppure auto spesso voluminose. E’ uno spettacolo che mi rallegra molto, c’è la gioia dei bimbi di essere fuori da una costrizione e l’amore di chi li sta accompagnando. Tutto si vede sui volti distesi, sulla disponibilità a fermarsi a chiacchierare.

Bene, oggi pensavo che gli 80 euro, promessi da Renzi alle neo mamme per 3 anni, dati a queste persone che non ne hanno bisogno sarebbero sbagliati, mal posti, inutili. Pensavo anche che i servizi, gli asili nido, gli aiuti domiciliari, il lavoro, per le neo mamme che ne hanno bisogno sarebbero ben più importanti. Pensavo anche che l’eguaglianza non è per forza giusta se non tiene conto delle condizioni di partenza. Fine dei pensieri e mi sono goduto il concerto di grida e corse.

Dal 2010 è possibile inscrivere sulla carta di identità l’autorizzazione a donare organi. Sugli oltre 8000 comuni italiani solo 24 l’hanno fatto. Manca il regolamento della legge. Stamattina una funzionaria del ministero della Sanità ha dichiarato che siamo (chi siamo?) in dirittura d’arrivo, manca solo un passaggio formale e poi il regolamento sarà disponibile. Quattro anni. E questo è uno degli oltre 700 regolamenti in attesa di emanazione da parte dei ministeri dopo l’approvazione di leggi che spesso hanno avuto  discussioni accese. Dopo l’eliminazione del Senato come fonte di lungaggini, chissà cosa starà pensando il Presidente del Consiglio e la Ministra competente per togliere questo spreco e vergogna amministrativa. Perché se si pensa che il balzello all’investire in Italia, sia nei diritti non più attuali dei lavoratori (esistono diritti non più attuali?) si sbaglia, in realtà ciò che limita gli investitori sono le incertezze sulle decisioni e sui tempi della burocrazia.

Il partito della nazione comincia a prendere forma. Ieri alla direzione del PD, c’è stato un uso smodato del termine “inclusivo”. Per avere un partito di tutti bisogna metterci tutti, da scelta civica a Sel e magari anche altri se lo ritengono opportuno. A mio avviso, allora, bisogna togliere il termine partito dal nome, è un non sense, partito è di parte, non può comprendere tutti, ma solo quelli che la pensano in un certo modo, che perseguono gli stessi obbiettivi. Allora come si pensa, e opera, in questo Paese? C’è un pensiero, e una azione, comune? Ovvero, sappiamo tutti dove vogliamo andare, con chi, in quali modi e con quali eguaglianze e diritti? Credo che il pensiero che si sta formando sia quello del tradurre le larghe intese, ossia una situazione transitoria e di emergenza, in un modo di far politica permanente, basato sulla eliminazione del confronto e del contrasto.  Questo non avviene solo nel pd, ma ovunque ci sia un partito di grosse dimensioni: la lega, forza Italia, il movimento 5 stelle. Il Presidente della Repubblica spero stia meditando su quanto avviene, anche perché non è un arbitro, ma ha scelto di fare il giocatore. Il dissenso scompare, diventa un problema “inclusivo” oppure viene marginalizzato, espulso. E’ questo il concetto dialettico democratico che si ritiene utile per governare il Paese? Dire chiare le cose agli Italiani servirebbe, serve, è necessario. Poi ciascuno deciderà cosa gli piace.

gufo di sera

Perdonate i riferimenti molto personali, avevo pensato di rispondere ai due commenti del precedente post, poi parlando con un’amico della situazione politica, mi ha detto che passerà, che occorre capacità di discernimento tra ciò che è importante e ciò che non lo è. Questo mi ha fatto scoprire ancora una volta l’inadeguatezza delle mie percezioni: non sono allineato ad una realtà di cui partecipo. Quello che a me sembra importante per altri lo è di meno, o non lo è. Eppure dovrei avere gli strumenti giusti: non faccio più l’amministratore pubblico ormai da 10 anni, mi sono messo in disparte da solo e se ho incarichi di partito non li ho cercati, anzi. Non avere secondi fini e tantomeno personali dà una bella libertà. Allora da cosa deriva questa scontentezza e perché quello che vedo mi rattrista e preoccupa? Concludo sempre più spesso che c’è confusione sotto il cielo, nessuna pazienza e molta arroganza e protervia. Sembrano cose da vecchi, da panchina o da bar. E così penso che quelli come me si possono tirare in disparte e dedicare a ciò che hanno troppo a lungo trascurato, pensando che ci fosse un dovere nell’esserci. E so che nessuno verrà rimpianto anzi quelli che oggi sgomitano ovunque, da molto non accettano neppure il regalo di una disponibilità gratuita.

Come tutti quelli che hanno uno splendido avvenire dietro di sé, penso al peso delle idee e del vissuto come a un valore per guardare avanti. E non perché ami il reducismo, ma perché è impossibile non cercare analogie, non vedere singolarità che si ripetono e trarne qualche conclusione. Ecco, su questo vedere oltre il quotidiano sta la mia e altrui inutilità, e sul considerare che c’è un mondo che si agita e urge, sta un altra inutilità. Insomma ci si sente inadeguati al reale medio e urlato e un po’ per volta ci si rivolge ad altro, ma vivere senza passioni collettive e personali è amare un po’ meno. E quando passano gli anni l’amore manca di più.

mattutino vecchio e gufo

Sta accadendo qualcosa in questo Paese. E pure nel mondo. Crescono le povertà, l’intolleranza sociale e religiosa, la paura di nuove malattie come l’ebola, le guerre e gli eccidi. Le crisi si intrecciano e, seppur rimossa, un’ inquietudine serpeggia. C’è un cambiamento senza entusiasmi nei cittadini, più per disperazione che per scelta o volontà. Molti si sentono stremati e seppure tutto sembra continuare e funzionare, non si sente il profumo di avvenire. Si è rotto l’ascensore sociale. Cosa significa? Che si sale a piedi o non si sale proprio?  Ciò che va, procede un po’ meno bene, senza l’euforia della speranza. Le parole non bastano: questo sarà il più meraviglioso Paese al mondo, ma se hai 50 anni e perdi il lavoro non hai più speranza. E anche se ne hai 30 di anni, le tue speranze non sono molto più alte, sei solo più giovane. Basta?

Con il tfr in busta paga (giusto che ci sia una scelta del proprietario di quei soldi, ovvero il lavoratore), che accadrà della previdenza integrativa? Eppoi se vengono dati in busta paga soldi propri, che spinta egualitaria è? Pagano i soliti, e non sono contenti. Non c’è novità in questo. Tra le cose di questi giorni, non c’è solo l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, ma i contenuti vaghi della modifica dello statuto dei lavoratori, con le parti già note  che renderanno molto meno contrattuale ed egualitario lo scambio tra lavoro e retribuzione. Ma ciò che offende sono i modi e la violenza con cui si procede. Chi si sente da sempre tartassato, dovrebbe essere contento? Ieri sera il senatore Valter Tocci, si è dimesso da senatore dopo la fiducia, era uno di quelli definiti, molto elegantemente dagli epigoni di Renzi, attaccati alla sedia. E se fosse vero il contrario, ossia che tutto ciò che è difforme, che discute, viene invece visto come una minaccia alla propria di sedia. Chi va in direzione contraria sceglie ciò in cui crede ed è difficile tenere insieme la coerenza con la costrizione ad essere altro. La voce di Valter Tocci è importante, appassionata e intelligente, ne abbiamo bisogno tutti, spero lo convincano a restare al suo posto. Anche Renzi ne ha bisogno, lo capirà oltre le frasi di rito?

Ieri, più di altri giorni, si è detto che tutti devono contribuire, che per uscire dalla crisi servono sacrifici e nuove tutele adeguate al mondo attuale. Mi sono sentito irrimediabilmente vecchio, ormai ai margini di un pensiero che vorrei analitico, ma non lo è. Si procede per slogan e subentra il conformismo a chi ha potere, per cui il nuovo e la sua individuazione, non passa attraverso gli strumenti che conosco, l’analisi, le alternative e gli scenari, il contraddittorio, la discussione, la sintesi. Tutto superato. Avanti per strappi senza avere un programma, come se in continuazione si dovesse dimostrare qualcosa a qualcuno. Se l’Europa è un problema lo si dica e si proceda in conseguenza, ma sembra che ancora una volta il problema siano i cittadini, noi. La patrimoniale sui patrimoni veri non si vede, ma allora contribuiscono tutti oppure i soliti che non possono scappare? Così è per l’evasione fiscale. Il falso in bilancio non si vede. Reati per cui in paesi come gli Stati Uniti, si va in galera per anni, qui non esistono. La giustizia si impantana nella gora delle alleanze di governo. Cos’è la giustizia giusta? Quella delle immunità e dei processi infiniti? Per il senatore Azzollini, Ncd, presidente della commissione bilancio, ieri relatore in aula per il Jobs Act, la giunta per le elezioni e l’immunità rifiuta l’autorizzazione ai giudici di verificare intercettazioni e tabulati relativi ad una presunta truffa che riguarda la costruzione del porto di Molfetta, il senatore Casson, si autosospende visto il voto del Pd in giunta. Si sa che il senato non ha la maggioranza, ma qual’è la Parigi per cui val bene una messa? Alla fine del cambiamento saremo tutti diversi, di sicuro più vecchi, molti o pochi, e io sono tra questi, più svogliati e malinconici. Non è nostalgia di un passato che ha molto di buono, ma altrettanto di guasto e opinabile, è la convinzione della propria inutilità al cambiamento. Così ci si sente vecchi e gufi e non interessa più aver ragione, ci si dedica ad altro, si esce e basta.

le donne e gli uomini di Kobane

Prima la vita, dopo la pace. Hanno distribuito le armi alle donne, a tutte, anche a quelle anziane, a Kobane. Le donne hanno sopportato le follie degli uomini, hanno accudito figli e protetto compagni, che altri avrebbero ucciso. Sono state custodi nella storia di questo animale pericoloso che si chiama uomo, di quello che gli permetteva di continuare ad esistere. L’ultimo baluardo, prima culturale, poi fisico, all’estinzione. C’è una fierezza particolare e un’ appartenenza al genere, nelle donne, che l’uomo fatica a possedere. E a capire. Per lui funziona l’istinto di sopravvivenza, per la donna si aggiunge la protezione della propria continuità. A Kobane le donne curde stanno combattendo, come altre donne hanno fatto e continueranno a fare nel mondo. Ciò che sorprende è lo scarso clamore che tutto questo suscita, anche i gesti individuali, così tanto amati dai media, si spengono in una quotidianità offensiva. Arin Mirkan, finite le munizioni si è fatta saltare in aria in mezzo ai jihadisti dell’IS, Ceylan Ozalp, 19 anni, ha riservato l’ultimo colpo per sé, per non essere catturata. Chissà quante donne hanno sinora fatto, e attuato, lo stesso pensiero: meglio morte che preda della violenza del terrore. Eppure quanto accade laggiù fa un rumore ovattato, privo di consistenza per le nostre coscienze assuefatte. Tanti anni di individualismo ci hanno abituato al fatto che tutto ciò che è lontano non ci riguarda. Eppure quelle donne e quegli uomini curdi stanno morendo in una Stalingrado attuale, per arginare una furia che se dilagasse non lascerebbe nulla di quanto amiamo come valori, come modi di vita, come libertà. Queste donne e questi uomini, muoiono da soli, per loro e per noi, senza uno Stato che li comprenda tutti. Combattono in nome di valori comuni e di una Patria che è stata solo oggetto di spartizioni e interessi cinici delle potenze occidentali. L’America scopre che i bombardamenti non sono sufficienti, che il ritiro dall’Iraq non è stata una grande idea. Magari scopre pure che le armi vengono da paesi che sono amici dagli Stati Uniti. Scopre la sua inefficienza nel governare il mondo. E’ inefficace e quindi il capitalismo provvede per suo conto. Non ci sono principi, né frontiere, tutte balle, impicci, così il petrolio comprato a 30/40 dollari il barile dai giacimenti in mano all’IS, magari finisce anche nelle nostre auto. Noi in silenzio, distratti, la notizia è in fondo alle pagine dei giornali, i telegiornali hanno bisogno di fatti più eclatanti. E a mille km da qui sono solo i Curdi a difenderci dal dilagare del califfato. Almeno il pensiero, la partecipazione, l’onore e il sostegno a queste donne e uomini. Almeno quello. 

l’ideologia e i diritti

Ho l’80%, adeguatevi. Così Renzi dopo la direzione del PD. Però se si pensa che qualcosa sia sbagliato, non ci si adegua e si lavora perché emerga l’evidenza dell’errore. Con l’articolo 18 si è steso un velo di nebbia sulla sostanza di alcune proposte non dappoco nel campo dei diritti nel lavoro e contenute nel jobs act: il demansionamento, ad esempio, che diventa possibile per ragioni di riorganizzazione, oppure l’uso di videocamere sul posto di lavoro ai fini della sorveglianza. O ancora, l’indeterminatezza del combinato tra tutele e diritti progressivi con le dinamiche del mercato del lavoro. In sostanza se una persona passerà la vita a cambiare lavori perché non viene assunto, i diritti non li avrà mai. Dovrebbe essere chiara la distinzione tra privilegi e diritti, il privilegio è qualcosa di indebito e ingiusto che differenzia stabilmente, il diritto è qualcosa che appartiene alla persona e che rende eguali. E’ vero che ci sono molti milioni di lavoratori che non hanno gli stessi diritti, ma per egualitarismo dobbiamo toglierli oppure estenderli? Il dato vero è la crisi economica, i conti che non tornano e i problemi legati a risorse che non ci sono. Bisogna abbassare le tasse e mettere più soldi in busta paga, colpire l’evasione fiscale, perseguire la corruzione, sburocratizzare le procedure. Insomma fare i duri con chi è forte e non accetta facilmente di veder ridotto il profitto o il potere. Invece se si agisce sui lavoratori a reddito fisso dov’è la novità o la bravura?

Così l’ingegneria della penuria non sa che pesci pigliare e al più architetta di spalmare il TFR, ossia una retribuzione differita e quindi soldi del lavoratore, in busta paga.

Caro lavoratore, meglio un uovo oggi  che la gallina chissà quando. Così ti aumento lo stipendio con i soldi tuoi, e visto che  ci sono, per egualitarismo, te li tasso un po’ di più, perché la liquidazione ha un tasso inferiore alle retribuzioni ordinarie. Ma tutto questo non riguarda me, Stato, che bloccando i contratti e differendo la corresponsione delle liquidazioni di due anni dopo il pensionamento, dimostro di non averne più di soldi. Neppure quelli tuoi che avrei dovuto mettere da parte.

Da troppo tempo, anche a sinistra, non si guarda la realtà, che non è solo economica, ma sociale. Si è lasciato che il Paese si deteriorasse senza il contributo dell’analisi e delle soluzioni. Capire e cambiare, estendendo i diritti e togliendo i privilegi, questa è sinistra e riformismo. Provate a pensare quali sono i privilegi veri, quelli che differenziano chi lavora, i cittadini di serie A da quelli di serie B. Pensateci bene e se viene fuori l’articolo 18 o lo statuto dei lavoratori tra le priorità discutiamone davvero, guardando la realtà, non le ideologie. 

reti di città e agricoltura di prossimità

La scorsa settimana, ho curato un convegno sulla possibilità di invertire la tendenza all’uso di suolo e sulla ricomposizione del rapporto tra città e campagna.

Direte: ma cosa c’importa, tanto queste cose sono fuori dalla nostra portata. E invece io penso che i consumatori hanno un grande potere in mano per determinare come vivere, ma ancor di più possono imporre come configurare il territorio che determinerà la vita nostra e dei nostri figli e nipoti. Le città sono nate come risposta alla conservazione/consumo di cibo prodotto dalla campagna. Come luogo dove conservarlo e poter sopravvivere. E le città, e le loro attività di manifattura, si sono prioritariamente indirizzate a soddisfare i bisogni di tecnologia e di trasporto che la campagna e il cibo generavano.  Ma capisco che così non convinco nessuno. Che gli orti di città, il verde verticale, sono vissuti più come bizzarrie o risposte alla crisi piuttosto che come segno che si può andare in direzione diversa rispetto al solo cemento. E sento questa distanza dalla coscienza di poter modificare il modo di vivere, non solo come fatto individuale, ma collettivo, soprattutto ora che la crisi fa accettare molto di poco accettabile. Eppure questo sarà il tema dei prossimi anni perché c’è una tendenza mondiale a costruire megalopoli immani, da cui l’Italia, per fortuna, sembra restare fuori. Pensate che in Cina si programmano città da oltre 200 milioni di abitanti, l’equivalente di tre Italie messe assieme. Ma riuscite a immaginare come avverrà la gestione di questi aggregati immensi di individui, veicoli, abitazioni, di quanto territorio dovrà essere al servizio di tante persone solo per soddisfarne i bisogni primari. Eppure anche se fuori dalla competizione ai grandi aggregati urbani, l’Italia arriva, dopo oltre vent’anni di discussioni, con un procedimento legislativo sulle città metropolitane a rendersi conto che il paese inurbato ha una struttura e una complessità diversa dall’italietta che era fatta di campagna e piccoli centri.

Quindi pur restando fuori dalle progettate megalopoli, è certo che il panorama territoriale italiano muterà. Ma quali saranno gli effetti e soprattutto le nuove possibilità che il governo delle reti di città e delle città metropolitane potranno generare per una migliore vivibilità del territorio?

Se ci saranno razionalizzazioni infrastrutturali, nuova urbanistica e nuove suddivisioni degli spazi dell’abitare e del produrre. Se i cittadini delle reti di città prenderanno coscienza del loro consumare allora si genereranno nuove abitudini a ciò che il territorio produce, si rispetteranno le stagioni e crescerà il benessere. In pratica si tornerà ad un territorio che ha smarrito la sua cultura negli ultimi 50 anni e che ha confuso la possibilità di acquisto con il benessere. Una risposta possibile e relativamente facile, che apre prospettive inedite dal punto di vista qualitativo ed economico, è l’agricoltura di prossimità, dove campagna e città tornano ad integrarsi e si esce dal paradosso che schiaccia sotto i trattori la frutta in eccedenza, che manda al macero il cibo, perché il prezzo non vale il trasporto mentre contemporaneamente cala la possibilità di acquisto. La campagna e il territorio agricolo tra le città possono essere quasi autosufficienti e sopperire ai fabbisogni di frutta, verdura, carne necessari al buon vivere, conservando tradizioni, immettendo nuovi standard salutistici, producendo energia e ottimizzando i consumi.

Quindi le città, oltre a non consumare ulteriore suolo, possono, attraverso i loro cittadini consapevoli, generare una crescita compatibile verso produzioni a km zero, che creano lavoro e cominciano ad incrementare un benessere gestito localmente. Alcune risposte a questa domanda di qualità del vivere e di crescita sono già in essere. Sono le risposte dell’auto organizzazione del consumo, i GAS, i mercati di vendita diretta dei produttori, ma questo è ancora insufficiente rispetto alla domanda che attende di essere organizzata e di diventare interlocutore di prossimità. Attraverso il consumo e la sua domanda selettiva, si apre un ambito di organizzazione nuova del vivere e del produrre, molto compatibile con l’ambiente, perché, oltre a rispettarlo, lo migliora nell’attuale uso, abbatte la produzione di CO2 da trasporto, sviluppa nuove specie vegetali e conserva le culture del produrre, con una redditività e sviluppo nell’agricoltura di prossimità, difficile con l’uso estensivo e indifferenziato delle coltivazioni.

EXPO 2015 vuole dare una risposta al bisogno di alimentazione del mondo, e comunque essa sia, l’agricoltura di prossimità ne interpreta il lato più ecologico e più vicino al consumatore, fornendo una risposta economica e culturale di assoluto interesse per l’Italia, ma anche per altri Paesi dove la sovranità alimentare non è un’opzione ma una necessità. 

Tutto questo si potrà fare? Dipende da noi, da quanto queste possibilità diventeranno consapevolezza prima e domanda poi. Mangiare le fragole e le ciliege a natale è una curiosità, ma se noi conoscessimo il percorso di quel cibo, se avessimo coscienza delle relazioni tra allergie e conservanti, forse si preferirebbero le arance. L’anno prossimo sarà l’expo di Milano a portare il tema del mangiare a sufficienza e con una nuova coscienza, al centro dell’informazione, ma chiusa l’expo torneremo alle abitudini facili del tutto, tutto l’anno? Se così fosse avremmo sprecato un’occasione di libertà, per questo ragionare di queste cose riguarda tutti, ci dà la possibilità di mutare il mondo che ci attornia. E credetemi, anche se vi ho annoiato, provarci non è davvero poco.

8 agosto: nasce la categoria politica del dissidente

Non vorrei scrivere così tanto e spesso di politica. E neppure sono sereno ed equanime al riguardo. Oggi si è approvata una riforma costituzionale importante, spero che chi l’ha fatta non voglia dirsi padre costituente al pari di chi scrisse la Carta nel 1947. L’Italia esce nei suoi equilibri più sbilanciata e fragile, da questa prima lettura parlamentare e purtroppo difficilmente questa legge verrà modificata nei successivi passaggi. Resterà il referendum. In futuro, con l’italicum, la legge elettorale già approvata alla Camera, che assegna gran parte del futuro parlamento, ovvero del potere legislativo (ed elettivo degli organi di garanzia) ad una minoranza del corpo elettorale, chi vince potrà vincere tutto. Essere controllato e controllore. Era questo che il Paese voleva?

Non ho apprezzato il modo con cui la maggioranza del mio partitto ha condotto il dibattito e il confronto, neppure l’opposizione del m5s e di sel, mi è piaciuta. L’una e l’altra più rivolte alla stampa che alla sostanza delle cose, entrambe accomunate dal calcolo politico a futura memoria più che al risultato in aula.  Ringrazio invece i ‘dissidenti‘ per aver rappresentato chi, come me, vuole modificare le cose e dire la propria opinione, lottando fattivamente. A Felice Casson, Vannino Chiti, Walter Tocci, Corradino Mineo e gli altri liberi dissidenti, va la mia gratitudine per la battaglia combattuta anche in mio nome. Da oggi essere dissidente assume una nuova dignità, diventa categoria politica e qualifica chi pervicacemente ribadisce una visione, una alternativa,  senza sentirsi minoranza, perché la ragione non può sentirsi tale. Essere dissidente oggi travalica la questione di coscienza, il sentire personale, diventa una possibilità collettiva e libera di far politica, di modificare la società. Un modo per impegnarsi e lottare senza per forza uscire dalla politica e mettersi in disparte o cambiare bandiera. Praticare il dissenso come coerenza a sé e alle proprie idee, praticarlo ovunque, senza pretestuosità e attese personali, andare in direzione contraria per far emergere le contraddizioni e la ragione, diventa categoria collettiva e quindi politica.

In questo giorni ascolto e penso a quanto sta accadendo in Italia e altrove. Non sono pessimista, spero solo che ciò che è sbagliato non sia irrimediabile. Capisco però che continuando a questo modo, non si risolverà molto: il tempo verrà perso su questioni importanti sì, ma non urgenti né centrali per la vita sociale. Come a Bisanzio si disquisisce e il turco scorrazza dentro i confini. Vorrei astrarmi ma non riesco a non pensare a ciò che capisco, Renzi, ieri sera, invitava ad andare in vacanza tranquilli che tanto ci pensa lui, è una idea che sotto intende che le cose non ci debbano coinvolgere poi tanto. Ci penserà qualcun altro. Una variante del non disturbare il manovratore. Mi spiace non condividere, è così semplice assentire, ma la vacanza aiuta a vedere più chiaro, e così non sono affatto tranquillo. Mi viene in mente l’ashtag per Letta, lo stai tranquillo di pochi mesi fa e anche se parlo poco, sento il peso di ciò che accade. Penso e cerco di capire, se parlo, parlo troppo, ed è come se si desse stura a un contenitore in pressione. Si è accumulato troppo in questi anni e non vedo chiarezza fuori. Ho idee semplici, distinguere tra amici e avversari, tra equità e mercato, tra solidarietà e carità. Vedo un’economia che non viene scomposta dai suoi veleni, vedo sopraffazione e iniquità. Tutto uguale? no, non lo è. Quindi le priorità per me diventano chiare: il lavoro, la giustizia, il falso in bilancio, l’evasione fiscale, i privilegi, la tutela dei giovani e delle parti più deboli della società. Non so quanti sentano le stesse cose, l’impressione è che si seppelliscano i dubbi perché implicano il coinvolgimento e in fondo, vacanza o meno, si vorrebbe che qualcuno risolvesse i problemi senza che fossimo obbligati ad occuparcene, non è mai stato così e quindi non c’è alternativa, o chiudersi in casa e quello che sarà sarà oppure essere dissidenti. Basta scegliere.

chi ha ucciso l’Unità ?

Ieri così titolava il giornale l’Unità, e dopo due pagine di cronaca, le altre erano bianche. Questa mattina, con un vago senso di necrofilia, ho cercato il giornale,ma alle 10 non si trovava più, era esaurito. Molti si saranno affrettati a prendere l’ultimo numero di un giornale che è stato parte della storia del Paese. Comunque la si pensi, dopo i 17 anni di clandestinità durante il fascismo, l’Unità è stato amico o avversario, ma mai indifferente. Su l’Unità si è formata parte non piccola del grande giornalismo politico italiano, e anche nella tradizione del giornalismo d’inchiesta ha avuto grandi meriti. Basti ricordare il Vajont e le mille inchieste scomode e controcorrente degli anni in cui si consumava il sacco urbanistico delle grandi città, nascevano dai problemi i diritti, si lottava per la salute sul lavoro. Era un giornale popolare ai tempi di Togliatti, che pretendeva ci fossero i numeri del lotto e lo sport bene in evidenza, ma è stato anche il veicolo di formazione politica di chi a malapena sapeva leggere. Per questo la chiarezza e la radicalità delle posizioni era necessaria. Poi sono cambiati gli anni, è morto l’approccio ideologico alla politica, le lotte sindacali e i diritti hanno trovato altri interpreti. Negli ultimi anni, il giornale, ha tentato di trovare una mediazione tra le diverse anime del Pd, credo che alla fine non sia stata la strada giusta. Magari sarebbe servita una discussione più radicale, un cercare di capire dov’era finita davvero l’anima radical popolare che aveva animato gli anni delle grandi conquiste sul lavoro e i diritti. Forse lì c’erano davvero le ragioni comuni della sinistra, ma chi può dirlo, altri giornali radicali c’erano e sono sempre stati in difficoltà.

Le difficoltà de l’Unità non sono recenti. Ci sono stati passaggi di mano della proprietà, difficoltà editoriali, eppure la qualità del giornale è sempre stata culturalmente elevata. Ma anche la cultura non ha grande avvenire in un Paese che guarda o alle difficoltà o al profitto. La mirabile sintesi del pensiero “liberale” proposta dall’allora ministro Tremonti, ovvero che con la cultura non si mangia, definisce un’epoca. Anche di cultura politica. Può vivere oggi un giornale di sinistra, di analisi sociale e culturale in Italia? Un giornale che accolga il dissenso come parte di un processo creativo, che veda nell’intelligenza la matrice del futuro, che discuta di politica senza padroni o padrini, che parli un linguaggio semplice e al tempo stesso ponga dei dubbi, che crei la necessità di capire di più? Un giornale siffatto può avere un mercato? Non lo so. Se questo giornale ci fosse mi abbonerei, ma non lo vedo attorno e neppure lo prevedo, perché non c’è un vero interesse per le cose che riguardano politica, cultura, inchieste, approfondimenti, paga molto di più il gossip. Quelle cose di cui parlo costano fatica per chi legge e coraggio per chi scrive, condizioni entrambe difficili per un prodotto commerciale. Così per chi, come me, ha diffuso l’Unità, ha fatto le feste per sostenerlo, l’ha sempre pensato come una parte della propria storia, è un giorno triste. Sono certo che il giornale riprenderà a vivere. Magari dopo il fallimento. Adesso si fallisce più facilmente d’un tempo, per non pagare i conti. Anche la mia generazione nei momenti di tristezza, quando si guarda attorno, pensa di aver fallito e non fa nulla. Cose di reduci, che non hanno più un giornale da esibire. E del resto anch’io lo compravo saltuariamente, più semplice internet oppure Repubblica o il Manifesto. Oggi è andato a ruba con i coccodrilli dei giornali che parlano di perdita, di giorno in cui le idee perdono una voce. Anche gli avversari di sempre lo dicono. E’ curioso che nel momento in cui Renzi ripristina le feste de l’Unità mancherà il soggetto. Forse anche questa è una metafora della politica e nessun fantasma si aggira più per l’Europa. Da domani della testata e del giornale non si sa cosa sarà. Ma io so chi ha ucciso l’Unità: l’indifferenza.

è banale mettere questa canzone, per chi l’ha cantata molto è scontata, per chi non l’ha vissuta è niente. Ma il reducismo è banale, tutto ciò che non ha eredi è banale. E non è una considerazione negativa, ma un tema di riflessione sull’incapacità di trasmettere e quindi di cambiare davvero.

non disturbate il manovratore

Ma Renzi si è chiesto perché, con una figuraccia non dappoco in borsa, gli investitori istituzionali, le banche, i fondi, non hanno comprato FinCantieri?

Una risposta a questo che sembra un fatto collaterale, dà invece misura della realtà: il denaro non ha bisogno di troppe parole e la fiducia ha sempre tempi molto brevi. Si nutre sostanzialmente di giudizi, spesso di pregiudizi, ma soprattutto non abbocca. FinCantieri costruisce navi e se non è in grado di essere un leader certo e imprescindibile, diventa un investimento a rischio. Questo vale anche per l’Italia che vuole la fiducia di chi mette soldi propri o altrui per guadagnarci, i segnali da dare dovranno essere inequivocabili, certi. Spregiudizianti direi con un neologismo cinico ma reale. Insomma si deve far capire qual’è il piano della crescita. Ed è questo il punto dolente: manca un piano industriale dell’Italia. Del ministro dello sviluppo economico, autorevole rappresentante di Confindustria, si sono perse le tracce, non è presente autorevolmente in nessuna delle crisi che stanno costellando il sistema produttivo, ma ancor più non è presente nell’indicare quali saranno i provvedimenti urgenti per lo sviluppo. Al suo posto parlano i ministri del lavoro, delle infrastrutture e sopratutto il Presidente del Consiglio. Già parlano. Un tempo si esponeva sui tram quel cartello per non disturbare chi aveva l’intelligenza del condurre, ma erano le rotaie a dare la direzione e il problema era il traffico, i passanti e l’orario, non il punto d’arrivo. adesso non è chiaro neppure quello e i “capitani coraggiosi” che coraggiosi non erano, hanno scelto altre rotte. Per questo si parla molto e d’altro, di riforme costituzionali, di senato e assetti burocratico-amministrativi. Cose importanti, ma che non interessano agli investitori, tanto che questi scelgono chi predare e si portano via i pezzi migliori perché il resto non gli interessa. Il risultato è che il Paese impoverisce di tassazione chi è a reddito fisso, le imprese che non delocalizzano e nel contempo perde i suoi asset importanti, la capacità di essere davvero competitivo e di avere un made senza alternative per i consumatori. Certo restano alcune eccellenze, ma come i santi e gli eroi sono fari nella notte. Il resto è un bisbigliare d’altro che non aiuta e i fatti collaterali come FinCantieri indicano qual’è la fiducia che in questo momento viene attribuita dall’economia reale all’Italia. E’ difficile, ma lo si sapeva. Lo sapeva Renzi quando si è proposto come traghettatore e salvatore, ora bisogna attaccare sul serio l’inefficienza del Paese, l’evasione e il parassitismo. E lì le parole non basteranno, serviranno le mani.

gestire la sconfitta

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La notte è profonda e fa così caldo, in questo preannuncio d’estate, che allungare il percorso è un sollievo. L’aria è piena del profumo dei tigli, a terra, i loro granuli gialli si sono disposti in scie secondo i capricci del vento. Aspiro e ascolto la notte. E i miei passi, pesanti tra le mura del vicolo.

Come si gestisce una sconfitta? Ci sono quelle passate nel ricordo, ma il futuro sembrava infinito, eppure anche allora faceva male. Se ha vinto la democrazia, le idee che si ritengono giuste e buone per tutti, hanno davvero perduto?

Ora ci sarà la ricerca delle ragioni: il candidato sbagliato, la campagna elettorale poco efficace, la città che è conservatrice e si è presa la sua rivincita. Ma allora in questi anni saremmo stati usati. Credo non si sia capito abbastanza e che sia finito un ciclo. E tutto questo cos’ha a che fare con le idee?

La mia generazione conclude un percorso. Era ora, eravamo stanchi, ma questo cos’ha a che fare con le idee di futuro? Se perde la solidarietà e l’equità, se fa un passo indietro lo sviluppo sostenibile ed emerge forte la logica del profitto, abbiamo perduto solo noi?  

Sentirsi sconfitti è più che esserlo sul campo, così cerco di pensare che è una battaglia di una guerra infinita, ma intanto, al bivio, la nostra piccola storia ha preso un’altra strada. Non si torna mai indietro, bisognerà immaginare altri percorsi che intercettino più avanti il cammino. Non tocca a noi, non più, saranno altri.

La notte è calda, materna sembra ascoltare i pensieri, suggerisce di raccogliersi, mettere assieme il dentro e il fuori.

Ma come si gestisce una sconfitta?

Riconoscendola e passando il testimone. Mettendosi a servizio in silenzio, siamo stati troppo a lungo in scena, adesso è ora di andare, il racconto, anche delle nostre idee, spetta ad altri.