sabato pomeriggio

In evidenza

È lo sfogliare quieto
del catalogo già visto,
la vita scorsa:
figure e tratti di discorso
attirano interesse
e le fantasie di percorsi abbandonati, spremono il possibile mai stato.
Ozio pensoso per il freddo sabato
che già novembre saluta
e fugge dalla calca
e dalle luci delle feste.

Il giorno s’addensa nel tramonto
freddo del colore pieno
che riga l’orizzonte,
è l’aria limpida che lo scrive
e porta il sospiro lieve della notte.
Poi sarà il laborioso sonno
a traboccare dove tessono
I fili mai tessuti
e le trame inusitate.
Storie dal senso arcano
di figure amate,
sicure di sé interpellano,
tra enigmi ed emozioni.

Ci penserà il mattino,
con luce piena e fretta di pulire,
a cancellare quel dirsi
perentorio e senza luogo.
Ma cosa sono quelle briciole rimaste?
Colori e pezzi di vissuto
da spargere nel giorno,
come coriandoli di festa
all’usato nuovo
che già urge l’attenzione.

https://youtu.be/N1TjiaYUbHE?si=uoSuey700U-IJDqh

oziosità

In evidenza

Decifro le mie vecchie annotazioni
contendono il margine nei libri,
hanno il candore degli anni,
tremori inutili di senso.
Le parole hanno scadenze e paure,
e il significato è voragine
ma spalanca fondi luminosi,
e vedersi può accogliere il limite,
il suono che non torna,
ricordare il sussurro che fioriva
e arricciava il labbro
mettendo il pensiero nel sorriso.

E ora ciò che è stato è aria,
traccia che conduce,
come il profumo della rosa impavida
che solitaria affronta l’inverno,

Dallo zaino riposto
esce un rivolo di sabbia,
l’odore di battigia e il profumo del sole sulla pelle,
tutto congiura lieto
nel pensiero d’un allora
diverso e stato.

https://youtu.be/Q2wneBVssPc?si=5Jn_T4ZY5t96CK02

da qualche parte nascerà

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Da qualche parte nascerà il mondo nuovo,
non dubitatene.
Scorre nel sangue,
s’ annida nei pensieri,
la realtà lo alimenta e lo fa crescere.
Sarà con noi oltre la convenienza,
oltre la cupidigia,
oltre l’egoismo.
I sentimenti hanno misura
solo nell’uomo senza amore
assieme diventano fiume e mare.
E’ un bisogno di vita,
non un desiderio e così emergerà,
prima, come grido di pochi,
poi crescerà
e dilagando farà battere i cuori,
scaldare le tempie.
Farà esercitare le intelligenze,
per mostrare l’evidenza a chi non vuol vedere.


Del resto vediamo, subiamo, sentiamo cosa produce un capitalismo senza dialettica.
Lo viviamo nell’ambiente che si deteriora E ci rifiuta, nel lavoro che manca, nelle crisi che non trovano soluzioni, nel distacco sempre più forte tra chi ha e chi non ha.
Lo sentiamo nei diritti che si affievoliscono, nell’uomo che conta meno del denaro, lo vediamo nella diseguaglianza che cresce, nella povertà senza riscatto, nella ingiusta lotta tra poveri per strapparsi un diritto.
Perché consumata la democrazia, il rispetto, la dignità degli uomini, il denaro lucra sulla crisi, sulla salute, sui settarismi, sull’intolleranza.


Nascerà da qualche parte, avrà un nome antico, rivoluzione, e parlerà ancora con parole antiche: uguaglianza, fraternità, libertà, ma tutto sembrerà nuovo a chi lo vivrà.
Non è una speranza, è una certezza, è sempre stato così, la storia non si ripete ma obbedisce alla spinta verso l’essere assieme, verso il costruirla assieme.
Non prevalebunt è l’equivalente del no pasaran, sempre le stesse parole, sempre gli stessi bisogni.
Profondi, radicati, incoercibili, certi.

non c’è futuro senza lotta

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Cosa ha visto
il vecchio comunista palestinese,
la sua vita è lunga,
i suoi occhi sono chiari,
le parole scandite,
aguzze pietre intrise di terra,
ricordo e presente.
C’è l’ombra di un olivo,
s’appoggia appena
e toglie il sudore il dorso della mano,            
il pensiero segmenta la vita,
il passato, l’attesa, il dolore.
Il quotidiano fare,
l’amare, sperare.
Non c’è futuro senza paziente lotta,
senza il bene che è giustizia.
Già nel lavoro è il rifiuto del sopruso
e nel dar vita alla terra amata e stenta
è resistenza, l’olio profumato e il grano.
Essere per i giorni che verranno,
sentirne il profumo
nel vento che il sole riscalda
e a sera rinfresca e parla di casa
come una carezza che fiorisce
dalla pelle dura di lavoro
e d’amore.

scienza che non s’apprende

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Nel pomeriggio radioso lungo una banchina di stazione,
o la sera in un bar di periferia,
tra chiacchiere e fumo
tazze orlate di schiuma
e bicchieri bagnati di birra,
qualcosa si rompeva incidendo la carne.
Parole senza tempo né luogo
e neppure creanza,
irrompevano nell’estate che si apriva alla festa,
o nella riva ancor calda del mare d’ottobre,
ridevano di noi,
dei nostri passi nudi tra sassi impietosi
in torrenti a primavera,
erano il tempo che illude il suo compiere
e piccoli addii per costellare malinconie
ed errori

per fortuna vissuti.
Così riposta la memoria, alimentato il rimpianto,
è rimasta una scia,
di scarpe lasciate a fianco dei cassonetti di città,
per rinnovare il cammino,
ma conservo il giallo dei tigli di maggio,
la ferocia dei tannini di noce,
l’asprore dolce dell’uva da vino
e la bruma dell’erba dei mattini d’attesa.
Non ho memoria di ciò che ho nascosto
ma stanotte I tuoi sorrisi erano luce nell’ombra,
quieti I timori posti nel canto del futuro subito,
e tra notturni sogni di fuoco e di polvere,
c’era l’ultimo calore condiviso
nel cielo impietoso che stringeva l’abbraccio.
Nulla s’apprende, nulla che conti,
l’amore, la gioia sono sorprese,
e nel loro riflettersi la luce si perde,
in un gioco di specchi dove la sostanza rapprende e nasconde,
ma non trattiene qualcosa di rosso
ed è nel lampo che il moto degl’occhi intravvede d’essere stato
e non ancora compiuto.

https://youtu.be/dB5gEzLqTlg?si=FvKlCuYI1NFF7t8_

dolce e inerme è il restare

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Apprestarsi al meriggio,
fidando nei gesti appresi
e all’avaro pensare,
al fraintendere
che è richiesta.
Scorrono semi d’intuito,
scintille che non appiccano fuochi,
e anelano aria pulita,
come la mano che sente dell’acqua la carezza
ne scioglie gl’innumeri fili.
È così l’aria che di noi serba impronta
e mescola allegra ignare persone,
e non conosce la direzione del caso
ma avvolge di refoli tiepidi la pelle,
il viso, il corpo che l’accoglienza indiscreta.
Così è la luce, e il sospendere la penna sul foglio,
aspettando che la parola si colmi,
mentre è il senso che riempie
e ferma ogni tempo,
lo confonde, lo quieta.
Dolce e inerme, è il restare,
sospesi e inconclusi
come ogni buono che ci attende.

hai…

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Chiusa la porta
ora l’aria è una lama che sfugge,
la luce batte sui vetri, 
sgomita, apre varchi, 
chiede alle probabilità,
che gli occhi socchiudono,
che il sogno inizi. 
Là dove il verde si guarda
e s’intenerisce di sé 
chiedi a chi tiene conto,
dei fili dell’erba, 
d’ogni orma passata, 
del volo in ogni sua specie. 
Vedi come scava la luce nei muri, 
cogli l’ombra dei passi 
che addolcisce la pietra, 
E senti del cuore gli inciampi, 
il canto sommesso delle cose in disparte, 
e il dire tuo, nel pensiero che esita,
diviene cura eccessiva del gesto,
sino al sospiro che ammutolisce. 
Immagino la penombra, 
il rumore della quiete 
e l’offerta che sceglie, 
dal senso la forma del dirlo,
accosti il sentire
come fosse colore
e dissona o converge
del tutto la piena armonia.

le parole si accolgono prima di capire

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Le parole sono imprecisioni del sentire che attende di capire.
Noi che innocenti diciamo siamo i mediatori dell’attesa.
So che non è risposta al percorrere il profondo,
ma così il pensiero corre libero
fino ad inciampare in una riflessione
che fa ciò che deve
e si sofferma e guarda la nuova luce generosa.
Poi dirà qualcosa fuori tema a sé,
le cose migliori nascono dalla fatica del niente
dalla mente che ascolta e accoglie senza chiedere.

pomeriggio di novembre

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È così raro tenere il filo dei ricordi senza tempo,
cucirli d’ordinato andare
mentre gli occhi s’alzano verso il vetro e il cielo.
Dolce è passare il dorso della mano,
e scrivere immemori il vapore,
presi dalla trama delle gocce
che corrono e cancellano la storia.
Pomeriggio d’autunno di cui amare il calore immoto,
è tenera la penombra della quiete prima della lampada,
che rammenta il segno d’un rumore antico.
Il pensiero annusa il tempo
e taglia il cotone con forbice affilata,
attento al gesso dei confini,
per cucire una sorpresa stata.
Come voce nel teatro vuoto,
nella casa dagli accostati scuri,
la notte entra staffilando la residua luce,
il credo dell’amare
è rimasto a guardia del sentire.

uomini e case 1

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La porta a due battenti, le due palme, il viale
sassi bianchi di torrente,
sono ingresso alla vita che si srotola,
corsia di fatti, trama e ordito.
Una foto color seppia ritrae la casa,
l’ uomo al centro stringe una borsa
come l’urgenza che lo chiama ad andar via,
ai suoi lati moglie e figli.
sorridono stupiti per la fotografia.
I pensieri si sono rappresi allora
e se anche il loro tempo si sforza
non potrà tornare.

La casa del dottore aveva una porta ad arco,
due finestre ovali ai lati,
un viale di sassi bianchi arrotondati dall’acqua di un torrente,
due alte palme si guardavano prima del selciato,
tappeto prima della casa,
era di trachite grigia a rettangoli spaziosi,
aveva accolto giochi e tavoli d’estate,
timidezze prima del bussare,
occhi bassi e sorrisi al cielo
nell’andare.

Al dottore nel 1927 la bicicletta
fu rubata, mentre di notte
aiutava un parto complicato.
Tra luci fioche la vita faticava a uscire,
e lui ragionava, cercava soluzioni
nell’ arte appresa mai per ciascuno eguale.
Infine tutti erano immersi nel sudore
la mamma, il bimbo appena nato, il dottore.
Del furto parlarono I giornali,
ma non dissero ch’era tornato
a piedi nella nebbia,
tra capezzagne e fossi,
nel buio Il cappello grigio era ben calcato.
Più della pioggia, i pensieri, la soddisfazione,
dai salici il viso carezzato,
con la borsa stretta in mano,
nella notte vagava tra campagna e case.
Cercava il ricordo d’una strada
e ancora udiva del nuovo nato il pianto
stretto alla camicia di mamma
come la sua madida di sorriso
e bianco.

Tornava spesso tardi,
dalla casa, sul sasso bianco di torrente,
si sentiva il passo,
nella notte sempre atteso e stanco.


La casa ora resta sola,
dopo la tangenziale,
isola tra case,
e dietro il muro di mattoni,
c’è il piccolo viale,
tondi sassi di torrente,
due palme e un selciato,
sulla porta nessun nome,
solo la foto color seppia
a ricordare che molto era dovuto
a chi qui era vissuto.