Ero lì a cena l’antivigilia di natale,
le guance rosse per l’aria gelida ed il chianti,
si mangiavano verze e cotechino
e questo faceva ridere parecchio.
Entrò un’orchestrina di fiati.
Canzoni natalizie con tromba, trombone e bassotuba.
Uno strepito incredibile
nell’ambiente ridotto e pieno di persone.
La cosa mise un’irrefrenabile allegria
gli occhi e i commenti correvano tra i tavoli
urlando e poi ridendo,
assordati, c’affrettammo a dare mance generose
e loro, i musicisti, riprendevano
con un bis di ringraziamento,
finché ci fu uno scambiare di sfottò
tra le note di un’allegria generale.
Solo il ragioniere
era rimasto imperturbabile.
Mangiava il suo brodo
e alzava appena gli occhi,
poi rivolgendosi al vuoto
distintamente disse:
ma come l’è, di nuovo il natale?
E ridacchiò.
Ecco, allora ho capito
che la mia solitudine era un lusso.
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il ragioniere
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Mi piaceva quel posto,
c’arrivavo la sera da un corso,
mai solo e con molta allegria.
Mi piacevano le tovaglie pulite,
il cotone pesante,
gli antichi lini un po’ lisi, alle feste,
le stoviglie retrò, le pesanti posate.
Mi piaceva il menù consigliato
la cucina milanese e toscana,
la cassoeula ed i pici,
il parlarsi tra i tavoli,
le vecchie glorie sulle pareti,
il fiasco di chianti al consumo,
la scelta del pane tra sciapo o salato.
Tra muri bianchi rivestiti di legno
un angolo di fotografie,
e un tavolo singolo per il ragioniere.
Col cappotto addosso
d’inverno cenava,
d’estate un gessato,
la cravatta col nodo stretto
mai fatto di fresco.
A monosillabi ordinava,
un sopra ciglio o l’indice alzava,
e non i piatti ma una sequenza
del suo menù personale
in cui c’era solo L’inverno e l’estate.
D’inverno un brodo di pollo, la pastina sottile,
poi patate lesse e costatina Ben cotta.
Un minestrone d’estate, a volte insalata
o verdura cotta e il pollo lessato,
un bicchiere di vino, il fernet e il caffè.
Sempre solo, in mezz’ora mangiava,
alzava lo sguardo mentre i denti puliva,
poi il cappello metteva e salutando usciva.
Il mercoledì il posto alle otto era vuoto
più tardi arrivava.
C’era il varietà e al ragioniere piaceva,
le ballerine com’erano?
Il cameriere ammiccava
il ragioniere taceva.
Sorridevano entrambi.
E la cena iniziava.
rune
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Sono rune le emozioni d’inverno,
calligrafie che cercano chiarezza,
s’allineano come percorsi d’uccelli nella neve
che cercano nutrimento per aggiungere del tempo.
Nell’invenzione del futuro
s’è cancellato il presente,
e la speranza porta fatica al nuovo giorno,
attendo si ricomponga un disegno,
un linguaggio di poche parole.
limpide di chiarezza e semplici da dire.
rune
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Quando sono partito il treno era colmo,
un pomeriggio di festa
e di folla che andava,
le storie di ognuno raccontate ad alta voce,
sembrava fosse un vagone d’allegria,
La mia tristezza taceva e cercava un rifugio,
ero giovane allora,
le rune parole smozzicate
per trattenere il pianto,
nel tempo si sono poi mutate in segni
d’una partita ancora non giocata,
ora dicono
e nell’ascoltarle c’è silenzio
che scava legno, acqua
e pietra.
pescare la luna
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Lei si era innamorata di un altro, all’inizio senz’avvedersene.
O forse se ne avvide?
C’erano le circostanze, il caso fece il resto.
Lui disse ch’era già accaduto, ma prima s’era potuto rimediare. Adesso non c’era più nulla da fare.
Passò il tempo, neanche tanto, anzi poco. Forse per un simmetrico bisogno d’attenzione, anche lui s’innamorò di un’altra.
All’inizio senz’avvedersene.
O forse se ne avvide?
Si generarono dolori, qualcun altro ne fu sorpreso, in passato, gli pareva, d’aver saputo rimediare .
Poi gli sembrò d’essere quasi ucciso dal dolore e che solo il ferire gli riportasse vita, ma si stancò d’essere senza luce, e cominciò a vedere il mondo che gli ruotava attorno.
Mentre il tempo scorreva, nuovi nodi s’erano allacciati.
Vite, che sembravano squassate, ritrovarono abitudini conosciute.
Ma anche le altre vite,
ch’erano apparse nuove,
diventarono un po’ usate.
Forse l’ urgenza ormai non era più tale.
Tutto sembrò acquietarsi
e ciò che sembrava forte, lo fu un po’ meno
e quello che brillava, perse un poco la sua luce.
Così avvenne che pensieri, più o meno uguali, si formarono in teste che s’erano profondamente conosciute: nei grovigli di destini,
e un capo sempre fugge mentre disegna nuovi eventi.
Ricominciò l’attesa che il nuovo accadesse e la storia facesse finta di ripetersi.
Perché anche nell’abitudine allo star bene,
la speranza ha sempre porte da cui uscire.
If, si disse e di pescar la luna ricominciò a sognare.
ancora l’allodola non canta
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La luce è a volte così stanca che si piega
e dorme appena fuori del cuscino,
così l’aria nella notte ascolta
e nutre il respiro, al buio
vede sogni e pensieri che si annodano
dietro gli occhi chiusi,
i timori che si vestono e danzano
parlando nell’orecchio.
C’è un tepore di corpo e piuma:
una nuvola senza tempo
s’aggira tra veglia e sogni,
mentre le cose si dispongono in attesa,
tace il buio, finalmente,
e ancora l’allodola non canta
dal caldo del suo nido.
notte d’inverno
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S’è sparsa la luna nel cielo d’inverno
lotta con la nuvola che l’abbraccia
c’è calma di vento
e l’aria cade fredda,
pioggia sottile d’ozono e polveri.
La salvia dialoga col mirto e il rosmarino,
tra loro l’antica rosa
che ha perduto ogni foglia
e attende che qualcuno la protegga.
Insetti voraci nella notte
ancora si satollano
prima del sonno nell’oscura Terra.
La luna esce fulgida
e illumina le cose,
senza un gremito, lamenta
ciò che vede e ascolta.
mattina
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L’ho amata questa mattina.
Ancor prima che nascesse,
l’ho sentita entrare nel tiepido del letto.
L’ho amata nel cielo grigio senza luce, nella prima pioggia,
nel freddo della notte.
L’ho amata nella sua luce d’acquario,
nel profumo del caffé che sale,
nel sottofondo di radio 3,
nella musica che conduce il cuore.
Magia d’un silenzio che si fa parola.
botteghe
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Un vecchio barbiere a cui spegnere la sigaretta,
proporre i miei pochi ricci,
e portare dentro bottega.
Ha le parole guardinghe di chi non conosce,
il tempo che batte la vetrina,
e la strada con le auto ormai troppo grandi.
Ci sono ancora per fine anno
quei piccoli calendari dal profumo sguaiato?
Prima ciarliere, le forbici ora esitano,
lo specchio rimanda il viso stupito,
tra ironia e ricordo, si schiara la voce,
tra poco la pensione lo porterà altrove,
e l’asciugamano umido e caldo sul viso
è un abbraccio tra vecchi.
inutile
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Inutile, come il rintocco lontano,
il ricordo si sveglia
è bronzo pensoso,
traccia d’aria e di colore sulle cose.
C’è il borbottio del sole d’inverno,
quello gentile sui vetri,
che accarezza la neve,
e s’accontenta di brillare la pioggia,
dolce senza illudere
mormora la stagione del gelo.
Tra oggetti ora fidati
le cose si sentono scordate,
ma attendono, madie ricolme
di pazienze infinite in cui si consumano,
eppure stanno,
certe d’essere riprese.
Con gli anni s’affinano I mesi,
i minuti stanno al loro posto,
solo gli anni s’ammucchiano
e l’inutile diventa arco di stupore,
molto si è compiuto
ma ciò che attende è nuovo,
come quel germogliare
di cui non si conosce la foglia
mentre la radice è parte di noi
e beve nel mondo.
Ho amato e il cielo rammenta,
urge la vita in questa unione
in cui ogni segno è curvo
come cuore forte e paziente.
Se stendo le braccia alla luce
ne sento il battere dolce.