I natali passati

In evidenza

Nei natali vissuti
la mappa delle attese,
del nuovo che attinge alla speranza.
Nei ricordi trovo chi ora sono,
cosa si è compiuto,
quello ch’è mancato.
Ho una vita di natali diversi,
di caldi pensieri scivolati nel sonno,
di neve e cappotti spinati,
di sciarpe rosse e guanti di lana bucati,
di trepidi ultimi giorni di scuola,
di interrogazioni e disfatte,
mai perdonate nelle pagelle a gennaio.
Le notti di Natale a lungo ho cantato
e anche quando più non credevo
ho sentito l’amore che univa
I giorni e l’attesa.
Ho visto persone vagare
le notti della vigilia
e nessuna chiesa li cercava,
quando al freddo guardavano le luci,
chi usciva felice,
finché il portone chiudeva,
allora s’allontanavano nel buio
in cerca di risposta
o anche solo d’una parola, ma nessuno parlava.
Chissà che fine hanno fatto
tante tristezze sotto il cielo,
dove hanno riposato,
e cosa è stato per loro il mattino di festa.
Ogni anno la neve ho atteso
e qualche volta è accaduto,
allora c’è stato il gioco e la gioia,
le guance infuocate
il cappotto con i segni delle risate,
poi a casa la cura,
la cannella, il vino bollente, le mele
una carezza sui ricci
e il sonno felice che la festa ha concluso.

Buon Natale alle donne e agli uomini di buona volontà.
.

dicembre ’68

In evidenza

La città sembrava inerme,
pacifica, ma incredula
per le prime occupazioni.
All’università gli studenti
volevano toccare la libertà senza l’ossequio al potere baronale.
Bestemmie,
in un dialetto che le intercalava.
Era una città divertita o infastidita, abituata alle intemperanze giovanili,
altrove, però, nell’oscurità torbida
di rancori mai sopiti
covava uova di serpente.
Tornava il nero che mai era morto per davvero.
Arrivò la nuova violenza dalla strage di Milano,
troppo intelligente
per non essere parte d’un oscuro piano,
di quella destra che s’era esercitata
nei tentativi di rovesciare la democrazia. Ciò che sconvolse per un poco la città
e soprattutto me,
furono i nomi dei fascisti rivelati.
Quel Freda con lo studio d’avvocato
davanti alla biblioteca dove studiavo,
che beveva il caffè
dove anch’io andavo,
e poi quel Facchini,
conosciuto da ragazzo.
Abitava allora vicino a casa mia,
molto per suo conto
ma anche lui i fumetti li scambiava.
e mostrava con orgoglio
la sua abilità nel costruire radio
e nel trafficare con resistenze e condensatori.
E in quella valigeria di piazza Duomo,
s’erano comprate le cartelle per la scuola,
la borghesia, borse di lusso e le valige in pelle.
Tutto era concentrato in poco spazio,
in persone e luoghi noti,
in cognomi e in mestieri usati,
ma sembrava che oltre l’apparenza
sempre ci fosse ben altro d’importante.
Il Configliachi, l’ istituto per I ciechi,
dalle cui scale volò il bidello
era un posto come un altro,
ma lui aveva iniziato a dire
di questo nero di città.
E poi un filo ricuciva nella mente
Il rettorato ch’era saltato in aria
poco dopo un incontro con rettore, l’antifascista Opocher,
fatto con noi studenti.
Ricordo ancora le sue parole,
che citavano quelle dell’amico suo Marchesi:
neppure i fascisti furono in grado di togliere la libertà all’università,
volete farlo voi?
E noi non occupammo il Bo,
tramutando quella sera
la protesta, in un corteo.
Dopo scoppiò la bomba
e il caso evitò la strage
non la volontà di chi la pose.
Chi doveva capire non capi
e chi sapeva preparava altro.
Ricordare quegli anni è ricordare
ciò che venne poi :
Iniziava la stagione del terrore,
la paura di viaggiare sui treni
e capire che quelle uova di serpente,
quel nero, non se n’era andato mai
ma aveva figliato.
E figlia ancora,
molto più indisturbato.

La città era Padova ed era il dicembre ’68.

in cerca di sé

In evidenza

Profondamente capirlo e farlo proprio.

le parole si accolgono prima di capire

In evidenza

Le parole sono imprecisioni del sentire che attende di capire.
Noi che innocenti diciamo siamo i mediatori dell’attesa.
So che non è risposta al percorrere il profondo,
ma così il pensiero corre libero
fino ad inciampare in una riflessione
che fa ciò che deve
e si sofferma e guarda la nuova luce generosa.
Poi dirà qualcosa fuori tema a sé,
le cose migliori nascono dalla fatica del niente
dalla mente che ascolta e accoglie senza chiedere.

molliche di ricordi

In evidenza

Nei gesti precisi,
le indecisioni d’un tempo scordate,
c’è l’abitudine al buono pensato,
e così nasce un profumo,
che si spande e apre la festa.
Mi perdo nei sogni, impasto farina
con i ricordi che si fan strada,
tra parole e pensieri.
Allora siamo entrambi bambini
tra vecchie pareti giochiamo.
mi nascondo, commuove il pensiero,
di lui, cresciuto lontano,
che sicuro d’entrambi, rincorre.
Conosce le astuzie di porte e mobilia,
ride e protegge,
un’ottomana accoglie
dei fratelli la lotta felice.
Fino al richiamo,
è pronto si pranza,
il profumo sollecita,
s’insinua, sì spande,
pervade l’amore,
e curioso, piccino, lo cerco,
ed è lì che m’attende,
dorato e sornione,
ammiccante d’assaggio.
nel desco della domenica
il pane condiviso e l’amore ,

prima della scuola, allora

In evidenza

Si rincorrono soli e temporali,
come un tempo I ragazzi nei cortili,
nubi e alberi grondano acqua e luce
e la terra beve:
restituisce dove il pensiero non arriva.
Poco oltre s’elevava un bosco al cielo
nelle radure correvano fiori
e gambe prive di stanchezza,
ora la sera racchiude polle di ricordi,
il tavolo la luce, la finestra il cielo.
Prima della scuola, allora
le mie ginocchia erano strie
di polvere e di sangue,
le tue erano linde e accorte.
Accanto su una pietra antica
era così gentile la tua mano
che toglieva il sudore dalla fronte,
e il fazzoletto odorava di sapone
e casa.
Sarebbe servito al gioco, poi,
ora guardavamo il cielo
che scolpiva nubi e meraviglia.

in città l’autunno

In evidenza

Penso al tuo autunno
così eguale e così diverso,
qui gli alberi ancora sentono l’estate
quella che da te rifulge piena.
La città si è scrollata la calura,
corre nelle gambe degli scolari,
allegri per l’aria e per gli amici.
Nelle strade troppe auto
visi sempre tesi di ritardo,
più tardi aprono i negozi,
ma chi cammina ha una meta, un luogo,
e il passo dell’affanno.
Ci sono da te i ragazzi in strada?
Qui escono alla sera
mentre il rosso nel cielo già s’estenua,
si siedono nei bar, ridono, passeggiano,
I baci non attendono la notte
ed è un scivolar di passi
indifferenti al traffico,
mentre fervono attese e parole sussurrate,
nelle strade colme di chi torna.
Nella mattina I ragazzi erano in piazza,
le bandiere sventolavano,
cartelli e slogan ritmavano l’andare,
loro sentivano le grida da lontano,
l’autunno a Gaza, l’omicidio
che non rispetta l’età e le stagioni.
Avevano Il cuore colmo,
che traboccava rabbia, compassione e pianto,
e hanno camminato a lungo,
gridato e chiesto pace
sino ad essere afoni
maltrattati mai muti.
Con loro camminava l’amore,
felice di aver chiesto vita.

buon inizio d’anno

In evidenza

il prato

l’imprecisione dell’amore