variazioni sull’aria della frescobalda

Si diceva che in fondo non abbiamo altri criteri per scegliere in un gruppo: gli amici, i nemici, gli indifferenti.

Vale anche ora, gli indifferenti a noi, non contano.

Ognuno di noi contiene la propria malattia e su questa costruisce vita e relazioni. 

Ne ha sensibilità, ma la mette in disparte, la maschera di necessità.

Scrivo di marginalità, penso cose strane e futili, uso quello che conosco per indagare con lo sguardo a lato. Mi interessa vedere intorno dopo aver guardato negli occhi, perché lì dentro ho trovato pezzi di me.

Conoscere la propria malattia significa averne intera la paura, vedere che l’indifferenza è appena dietro l’angolo pronta ad azzannare.

Quindi non è vero che l’indifferenza non conti, specie quando si maschera di cinismo, non è più inazione e azzanna la volontà.

Curare la propria malattia, significa capirla e temere il cinismo che non fornisce interessi veri. Solo le passioni sono a lato del cinismo, agiscono con chimica strana che combina occasioni e sentire. E se quasi mai si completano negli enunciati che le avevano generate, forniscono, comunque, la materia del vivere.

Scrivo spesso di piccole cose per me grandi e mi occupo di cose vere, mi saturo di realtà ogni giorno, al contrario di quando si parlava molto e si faceva poco o nulla e si viveva altrove. A lato. Allora restava quel vuoto, quell’inanità che genera la percezione della propria insufficienza colpevole.

Anche adesso.

Così la mia indignazione diventa passione e si scatena appena fuori della banalità di ciò che questo paese è diventato.

Ognuno è soggetto felice delle proprie passioni.

Per età potrei dire che non è più compito mio, che non m’interessa più. Ma in fondo la terza metà della vita, non è destinata a fare ciò che non si poteva fare prima, quello che non si è fatto è definitivamente perduto, ma il nuovo che è interessante, i nuovi percorsi e vincoli, le nuove virtù.

Ognuno di noi contiene la propria pazzia e ne ha nozione.

Spesso è l’unica libertà, la parte vera che si possiede, per questo è intollerabile viverla con continuità. La pazzia non conosce il limite tra il particolare e il generale. Totius ex parte. Era uno dei principi della magia antica, nel particolare c’è tutto il conoscibile dell’universo, tutte le contraddizioni, tutte le forze e le equazioni fondamentali. Per questo cerco la mia pazzia nei particolari, li lego alle passioni con sottili rossi fili di seta, scrivo di sciocchezze e m’intrido di realtà.

75 anni di speranza senza mutare il mondo

Ormai certe notizie non riesco più a leggerle, c’è un limite al sapere quando si sa che l’orrore corre e che non c’è più pietà. Mi chiedo come quei soldati, quegli uomini riescano a non vedere ciò che vedono, a fare ciò che fanno. Quale ideologia stravolga così tanto l’umanità, ciò che si è considerato giusto, rispettoso delle vite.

Noi viviamo lontani e vicini e percepisco una dimensione di disillusione nel futuro, che si è interrotta l’attesa del meglio e con essa la sospensione del giudizio. Sostanzialmente con il mutare dei governi non è mutato nulla per l’umanità crudele ma anche per gli aventi bisogno di una prospettiva positiva che cambi la visione del mondo e nel piccolo, la situazione del lavoro, del benessere familiare, mentre i furbi traccheggiano come prima. Si va consolidando e purtroppo accettando, la novità del presidente del consiglio, donna di destra destra, che porta avanti una politica liberista di destra, con continui annunci di distrazione dimassa a fronte di una realtà pessima, nazionale e internazionale. Provate a pensare a cos’era l’Europa fino al Covid, pur con le sue crisi e iniquità era un protagonista della politica internazionale. Ora non esiste più un leader, una nazione guida, un patto di crescita mentre ci sono nazioni un tempo traina ti in recessione, la Brexit è stata derubricata da problema continentale di libero scambio, la dipendenza e l’ossequio verso gli Stati Uniti si è trasformato in appiattimento politico e industriale. L’Europa è un insieme di stati dipendenti che accettano l’idea della guerra e della propria distruzione. Pazzia, ancora pazzia oltre l’inanità.
La politica nazionale d’opposizione è sempre in frenesia elettorale e mai attenta al cambiamento delle necessità di chi è in sofferenza. I silenzi del presidente del consiglio sulle derive para fasciste vecchie e nuove, sono ancor più evidenti nel clamore competitivo delle singole forze di questo governo e la narrazione fluisce nel disincanto di una opinione pubblica inerte e atona. Si capisce che ciò che si decide in Italia al più compiace i mercati, segue la corrente ma non la dirige. Se si pensasse a ciò che si spegne e a ciò che si accende, in termini di speranze di futuro positivo il bilancio sarebbe impietoso dal punto di vista del cambiamento. Continueranno a darelper tutti, i soliti noti.
Sostanzialmente, oltre la deriva di destra culturale e ideologica, il governo è neoliberista come purtroppo quelli che l’hanno preceduto, ma con una accentuazione nuova che toglie la speranza di cambiamento:accelera la privatizzazione dei diritti, muore lo stato sociale e questo avviene con la sola protesta del sindacato. È neppure tutto, mentre l’opposizione non riesce neppure a contrattare un salario minimo di 9 euro. Gli aventi bisogno avranno sempre più bisogno e meno prospettiva di mutare le loro vite. Se si pensasse a ciò che si spegne e a ciò che si accende il bilancio sarebbe impietoso dal punto di vista della partecipazione.e solo una rivendicazione radicale dei diritti e della dignità dovuta a ogni uomo di questo Paese, di questa Europa, di questo mondo potrebbe ridare speranza. Si celebrano i 75 anni della dichiarazione universale dell’O.N.U. per la pace e i diritti umani ma ciò che accade nel mondo, a Gaza, è morte, distruzione di speranza e di vita, è il fallimento di una speranza.

75 anni di promessa di eguaglianza, di riconoscimento di diritti fondamentali alla vita e alla dignità di ogni essere umano spente nelle mura, nei reticolato, nelle avi affondato, nelle frontiere bloccate alla pietà, nelle bombe intelligenti, negli odi a cresciuti, delle diaspore e nei genocidio, nel benessere stivato dove non c’è bisogno, nella realtà occultatano, mutata, smentita, resa virtuale così il dolore altrui non si percepisce. Non c’è nulla da celebrare se le parole non diventano sostanza e vita, dignità e possibilità concreta di esistere. Non si può celebrare nulla se l’ingiustizia, l’arbitro, la discriminazione regnano e regolano i rapporti tra stati e tra uomini.

Ogni parola diviene ipocrisia, ogni fascismo, dittatura, libertà violata, compatibile con una politica che mistifica la realtà e pone la domanda:volete ciò che avete oppure che vi sia tolto?

di simmetrie grandi e piccole è fatto il procedere

Certe cose cominciano bene poi finiscono peggio in un rallentare vischioso che affatica sino alla perdita di senso. C’è una legge dell’usura che riguarda l’attrito, ha dei lati positivi perché il tempo leviga le cose.

Fa attrito il bene?

E cosa ne resta nella sua immagine accuratamente polita che conserviamo in noi?

Nel rinnovarsi il bene come muta? E se esso apprende dai suoi errori, cosa diventa?

Di simmetrie è fatto il procedere del ricordo che poi si muta in storia, sono grandi quelle che prendono i molti, li avvincono in sogni apparentemente uguali e poi si consumano nella relativa abitudine all’accadere. Così per i piccoli immensi sogni troviamo simmetria mai eguale e dovremmo sapere come i sentieri sempre incrociano altro cammino, ma ciò non fa deflettore e giudica unico il proprio sentire, com’è giusto sia. Non è la fine che in fondo interessa ma il principio e il suo primo svolgersi, potente ed ogni volta unico. E simmetrico.

Ma allora, cosa affatica il sentire emotivo dopo l’inizio in cui l’entusiasmo soverchia ogni calcolo di tempo?

Forse il ripetersi mai eguale, che torna. Anche per noi che siamo eccezione, mai regola. Torna il tempo che quando s’avverte è già trascorso, già pesa, già toglie. Non è come allora, quando iniziò ed era nuvola impalpabile di ciprea, un soffio di profumo nell’aria da cui essere imbevuti, respirati respirando. Il tempo gassoso dell’inizio è diventato prima olio e poi pietra e ha frenato la corsa.
La dittatura del presente, del perenne decidere senza poter assimilare, è un ansare di pensieri che faticano a coagulare, che sono fatica interiore, un non dirlo mai prima del tempo, perché non sarebbe capito e sarebbe un’offesa. E nel frattempo, se l’abitudine non diventa nuovo, il sapore non c’è più, perché il tempo s’è incattivito in rimasugli. Costretti per recuperarne in senso a cercarlo tra gli spazi. Ciò che non si dice è detto, impreciso nei significati, pauroso nel mancare di contorni. Dilaga, chiede e ripete la richiesta d’essere interpretato.

Uccelli impagliati sognano l’antico splendore. Evocano, ricordano, e rendono il passo più lento, la memoria pasticciata, scrivono cielo e mostrano l’abisso.

Eppure c’è una luce. Non per necessità di naufraghi. È nella sublime incoscienza che vede oltre il succedersi immoto delle cose, il loro ripetersi. È nella capacità di sapere che non si sa, nel maneggiare la naturalezza del volo sentendo l’aria. Ciò che sta in essa, sapendo che oscuramente, felicemente, ci riguarda.

l’orologiaio assoluto

Sommatorie

anni perduti

Tutto fu in altri tempi. Tutto sarà di nuovo.

Solo ci è dolce l’attimo del riconoscimento.

il bandolo e la matassa

la terra è mia se io sono suo

non è cambiato niente

cento e sei anni