Mi racconti il tuo limite al credere. Le candeline accese, la piccola preghiera, poi via, fuori dai luoghi in cui tutto si codifica. Un disordine ordinato t’accompagna, t’affascina il vivere che si codifica e s’incanala, l’ordine che emerge, che rassicura. Ma non ti basta, trovato l’ordine tutto s’impoverisce. Tutto il tuo mondo non si esaurisce e se ha un posto e un nome, non fa più sforzi per sapere chi è.
Senti che l’ordine genera un’ansia sottile, svuota le passioni e si chiude nel labirinto della mente. Eppure l’ordine ti affascina e dona tranquillità. Almeno sembra.
Tu hai già le tue difficoltà, i problemi di crescere assieme a ciò che scopri di te ora, ammettere gli errori che insegnano sempre. A tutti. Facciamo così fatica ad accettare gli errori, sembra si perdano pezzi di noi per strada. Definitivamente. La libertà di credere in ciò che c’aiuta, anche quando si sbaglia è una gran cosa. E se questo induce la contraddizione in noi, come non viverla? Noi conteniamo le nostre contraddizioni, siamo abbastanza capienti per tenerle tutte. Anche senza sentirne colpa. Si dicono di noi cose che non sappiamo, ci arrivano echi dissonanti dai gesti e ci pare d’essere proprio quelli. Ci si abitua ai rifiuti come ai complimenti. Basta vivere ed emerge una assuefazione agli aggettivi che li svuota. Gli aggettivi mi ricordano i gusci vuoti dei molluschi, in riva al mare, con il loro leggero rumore metallico quando l’onda li muove. Non hanno più vita, sono altro, ma ci sono ancora. Parte del rumore di risacca, appunto.
Così si tiene tutto, anche il credere e il suo contrario, basta volersi un po’ di bene: una candela, un pensiero positivo e poi via nella luce esterna che nei giorni di sole (c’è una similitudine in questo) abbacina e scalda. E muta i colori, svuota e riempie d’altro l’anima.
(c’è l’anima? non è importante che ci sia davvero, basta sentirla)
C’è un prima e c’è un dopo, ma soprattutto un durante. Vivere è durante, durare un minuto di più delle cose che tolgono, che fanno male.
Resistere un’ora di più della parte che si chiude è già una finestra che si apre. Fa entrare un’idea di sé, una luce con i suoi aggettivi di intensità. Credimi, è meglio del buio.
Chissà cosa ci sarà poi, qui, tra poco, quasi adesso.












