scrivere con malinconia

silenzi assordanti

caro diario

linee di frattura

s’ammucchiano le nubi

domani per noi è ferragosto

Nei paesi si festeggia,
tavolate, cibo e musichette,
le voci scivolano tra dialetti e cori: specialità tipiche del posto,
ma appena fuori non c’è più nessuno,
a sera solo voci da finestre illuminate,
luce di lampioni,
perimetri di case.

Segni d’una notte che non mente
che non avvolge e non rassicura.
il tramonto s’è riempito di nubi gialle e grigie,
la città lontana proietta voglie in cielo,
ma le stelle cadenti si nascondono
e neppure un desiderio durerà a lungo.

Vicini lampi annunciano la pioggia.
che verrà, presto, grigia,
e sporca d’abitudini,
pur di non lavare il mondo,
s’infilerà tra gli steli e bagnerà i fiori del campo,
gorgoglierà in grondaie di rame rosso verde,
si getterà tra scacchiere di chiusini
giocando con polvere e lamiere,
ma non con noi che abbiamo chiuso il cuore,

Non con noi che circondiamo l’amore di rifiuti,
non con noi che non ci stendiamo più sull’erba
e non guardiamo chi è vicino,
chi è lontano,
ma ancora ha forza di collocare un desiderio in cielo.

pleiadi

lavoro

Parlare di lavoro oggi quando ci è mutato tra le mani e la capacità di capirlo costringe a rincorrere i dati più che quello che esso contengono, porta a domande semplici, a parole che descrivono ciò che dovrebbe essere un lavoro: sano, sicuro, retribuito equamente, arricchente per chi lo compie oltre che per il datore, dignitoso. Ci sono mondi possibili ed economie alternative che contengono questo lavoro, difficili, certo, perché basati su giustizia ed equità, ma non fuori della portata degli uomini. Deaglio dice che bisogna partire dal lavoro com’è diventato oggi e su questo esercitare una comprensione e una guida che lo muti o almeno ne attenui gli effetti più impattanti in termini di precarietà. Ad esempio se la competenza diventa rapidamente obsoleta avere percorsi pagati di formazione continua che siano a carico di chi lucra su queste forme di innovazione dovrebbe diventare una componente del ciclo lavorativo. Portare il sostegno a chi perde il lavoro non verso la pensione ma verso un nuovo lavoro dovrebbe essere la caratteristica assistenziale di questo mercato mutato che non si basa più sul lavoro fisso e la competenza acquisita. Cambiare in questo modo il mercato tra domanda e offerta di lavoro non può prescindere dalla constatazione che gran parte di esso è ormai concentrato nei servizi e che la manifattura in Italia produce un quarto del PIL.
Tutto questo e molto d’altro giustificherebbe una comprensione della situazione e un intervento da parte dello stato che progetti un nuovo futuro e non lo subisca. Difficile che lo faccia un solo Stato con successo più semplice se diventa un problema europeo. Quello di cui non si parla spesso è se il lavoro, anche quando c’è, sia sufficiente nella sua retribuzione per assicurare una esistenza libera e decorosa. Oggi questo non avviene se non in parte e segmenta la parte più attiva della popolazione tra chi ha troppo (minoranza) e chi ha troppo poco.
Troppo o poco rispetto a una società che impone livelli di consumo insostenibili e funzionali a una produzione globalizzata che comunque retribuisce troppo poco gran parte del lavoro che impiega. Una via d’uscita sarebbe quella di aumentare costantemente il valore di ciò che si produce attraverso la ricerca e l’innovazione, ma questo è il settore in cui l’Italia spende meno. Altra consapevolezza da acquisire sarebbe quella che il lavoro senza limite a cui viene soggetto chi ha un contratto precario e non solo, isola ulteriormente la persona dal contesto lavorativo e sociale, non diviene parte di un gruppo che produce qualcosa di cui sentirsi protagonista ma è solo un fornitore senza identità collettiva. Questa parcellizzazione della persona che segue le tante altre presenti nella società della realtà digitale, impedisce una crescita comune. Si guarda il PIL ovvero quanti beni e servizi vengono prodotti ma non la società che li produce e così una nazione di schiavi potrebbe avere un pil elevato ma nessun diritto per chi lo ha prodotto. Ebbene una nazione di schiavi ha ancora la possibilità di un senso collettivo dell’identità derivante da una funzione, può socializzare l’ingiustizia e il sopruso e ribellarsi, una nazione di individui in competizione tra loro, con retribuzioni al limite della sopravvivenza non percepisce più l’ingiustizia come fatto collettivo, anzi la ingloba nella percezione normale della realtà. Questo è il campo in cui un nuovo partito e l’umanesimo socialista dovrebbe esercitarsi.

passerà…

C’è una parola veneta, transete, che probabilmente deriva dal latino transeat, ed esprime il portar pazienza, il farsene una ragione. Credo sia un sentimento comune che, ad onta delle dichiarazioni roboanti della destra, coinvolge il Paese e i suoi abitanti. Però questo attendere che passi, non ha la filosofia e gli occhi antichi di chi ne aveva viste tante e sapeva che anche i forti, gli arroganti, i dominatori, passavano davvero, ma è più una sfiducia sulla possibilità di cambiare. La mobilità sociale non esiste più, i dati sul l’occupazione migliorano ma se si guarda a cosa c’è dietro, oltre al modo di rilevarli ( basta che una persona lavori un giorno a settimana per definirla occupata), c’è un mondo di voucher, di lavori presi e lasciati, di nero, di precariato senza speranza e un terzo dei giovani senza occupazione. Questo non è un dato transitorio, ma ormai strutturale se non si interviene sulle modalità di lavoro. Il sud cresce più del nord, è un buon segnale ma significa anche che il nord non cresce più, che le banche cedono i crediti difficili, cedono i prestiti fatti alle aziende in difficoltà e le condannano a morte. C’è un corpo ferito che aspetta succeda qualcosa che lo riguardi davvero, che il profluvio di parole porti via la spazzatura della corruzione, dei furbi che infestano ogni angolo di vita. Aspetta attenzione questo nuovo proletariato senza prole, ma non fa, non si muove.
Un politico che stimo, ai suoi tempi democristiano, si chiedeva qualche giorno fa, cosa fa la sinistra di fronte ai grandi problemi dell’immigrazione, della povertà crescente, della sanità negata, dell’insicurezza diffusa. Diceva che una risposta la destra la dava togliendo libertà e promettendo l’impossibile a tutti per premiare i pochi, ma mancava la risposta della sinistra, che non può essere che nuova e diversa dal passato. Parlava del PD e il PD non è la sinistra ma al più un centro riformista che contiene pulsioni minoritarie di sinistra. E allora la domanda è: cosa fa il centro riformista di fronte a questi problemi, come pensa di rispondervi? Ancora con un neo liberismo che è l’antitesi del cambiamento reale dello status quo? Molti sono stanchi di parole, di obiettivi fasulli e non può essere il solo sindacato, la CGIL a coniugare la politica alla sofferenza sociale.

La risposta alla precarietà, latita e prende forma l’accettazione di una normalità, dove è solo il merito non il diritto o la dignità a cambiare le vite, è una non risposta perché quella normalità è l’omissione della gravità dei problemi e la difficoltà della loro soluzione. La normalità in un mondo globalizzato e interconnesso, cos’è?
Far finta di niente e sperare che passi, ma se non passa? Una ricetta sull’affrontare l’ineguaglianza crescente, l’impoverimento delle classi medie, l’illegalità e la corruzione come prassi economica e sociale è stata proposta dalla sinistra radicale europea, Pichetty  ha trovato modo di rappresentare correttivi economici in tempi moderatamente brevi. Altra sinistra si sforza nel mostrare una realtà che vuole mutare in tempi lunghi e azioni costanti di riequilibrio sociale, economico. Ma questo elettoralmente non paga, chi vuole passi la nottata, lo vuole subito e soprattutto non ha intenzione di coinvolgersi se non vede certezze nel mutamento. Così il problema non sono le proposte ma quanto queste possano diventare un orizzonte condiviso, un modo per costruire le vite. Ripeto bisogna chiedersi cos’è la normalità e se quella attuale è quella che vogliamo conservare. Questo è il tema della sinistra, anche per tutti quelli che seppelliscono l’insoddisfazione in un’ attesa catatonica di qualcosa che comunque verrà ma non sarà quello che si voleva perché fatto da altri e per altri fini.

P. S. Cara Elly a calcio, in una partita di beneficenza, si può esultare con Renzi ma per fare riforme radicali che cambino davvero la vita delle persone e le convicano che la sinistra è alternativa alla destra, bisogna giocare con altri giocatori.

riconoscere l’essere