La notte è profonda e fa così caldo, in questo preannuncio d’estate, che allungare il percorso è un sollievo. L’aria è piena del profumo dei tigli, a terra, i loro granuli gialli si sono disposti in scie secondo i capricci del vento. Aspiro e ascolto la notte. E i miei passi, pesanti tra le mura del vicolo.
Come si gestisce una sconfitta? Cercando di capire quanto il risultato si distacchi dalle attese, analizzandone i motivi, verificando se essa chiude una contesa oppure se la apre con maggiore necessità di cambiamento.
Veniamo da una storia di sconfitte relative, di piccoli passi compiuti con enorme fatica. Cambiare stabilmente il disagio di molti in benessere non è mai stato un processo facile, né stabilmente conquistato nel tempo. Così le sconfitte passate nel ricordo sono anche la materia di un percorso di vita, di coerenze faticose, di scelte fatte in tempi in cui il futuro sembrava infinito. Eppure anche allora faceva male se ogni volta si doveva ricominciare.
La domanda che ogni volta ci siamo posti, era: le idee che si ritengono giuste e buone per tutti, hanno davvero perduto?
Credo però che non si sia capito abbastanza che il mondo è mutato, con esso i linguaggi, ovvero la rappresentazione della realtà e che sia finito un ciclo in cui mettere assieme le proprie difficoltà e bisogni, già creava le condizioni per un sentire comune. La mia generazione conclude un percorso. Era ora, eravamo stanchi, ma questo cos’ha a che fare con le idee di futuro? Se perde la solidarietà e l’equità, se fa un passo indietro lo sviluppo sostenibile ed emerge come unica vincitrice la logica del profitto, abbiamo perduto solo noi sognatori di un bene equo, condiviso, comune?
Sentirsi sconfitti è più che esserlo sul campo, così cerco di pensare che è una battaglia di una guerra infinita, ma intanto, al bivio, la nostra piccola storia ha preso un’altra strada. Non si torna mai indietro, bisognerà immaginare altri percorsi che intercettino più avanti il cammino. Non tocca solo a noi, ci dovranno essere altri accanto per demolire il muro dell’indifferenza.
La notte è calda, materna sembra ascoltare i pensieri, suggerisce di raccogliersi, mettere assieme il dentro e il fuori.
Ma come si gestisce una sconfitta?
Riconoscendola, mettendosi a servizio delle idee e del loro attuarsi, in silenzio. Siamo stati troppo a lungo in scena, adesso è ora di andare, il racconto, anche di ciò che ci sembra giusto, ha bisogno di nuovi interpreti. E l’impegno è, e sarà questo, dare spazio, costruire , aggregare, ascoltando, sostenendo, permettendo che il nuovo che ci attornia venga letto, interpretato, analizzato, reso umano e capito da molti.
Per tutto l’ingiusto che serpeggia e ci avvolge, per tutto ciò che grida e non viene ascoltato, ci è chiesto dalla realtà di dare spazio e capire di non capire abbastanza per superare le solitudini, di essere più radicali, di sostenere il cambiamento senza metterlo sempre sotto le compatibilità di chi detiene intero il potere. Le parti nella società si confrontano, hanno pari dignità formale, ma chi soffre il malessere ed è nel bisogno, ne ha di più, e mai hanno pari forza. Bisogna dare forza a chi non ne ha, più ragione alla giustizia sociale, questa è la strada. E la notte fa capire, che non finisce. Che non finirà mai.
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