Il cibo era appena tiepido. Non la conversazione e il dibattere, ma la besciamella del pasticcio, rappresa in uno strato apparentemente solido e laccoso, pattinava i discorsi, li rendeva perplessi e instabili. Così nell’affondare il coltello, nell’inghiottire rapido, c’era la ricerca del caldo delle viscere del cibo. Esso doveva pur fare da coibente ed aver conservato uno strato di calore interiore. Come un scendere nella terra alla radice delle cose che si vedono, oppure nel profondo dell’animo.
Caldo era il sapore atteso prima del gusto, il contrappunto al dire che, parlando di sinistra, di cambiamento, doveva essere caldo, e invece…
Caldo è il suono interiore della rivoluzione che porta all’uomo. Quindi quell’abbraccio di piacere e parola doveva esserci, e invece l’incipiente freddo, negava l’abbraccio. Rendeva ostico l’umore, il sapore, il senso e la ragione del mangiare. Più greve il discorso e frequente il vino. Un cercare calore per armonizzare la vita e il fare che muta.
Caldo e freddo come metafore della politica. Parlavamo di sinistra e di presente, la realtà era fredda e priva di sapore, il futuro caldo e coinvolgente. Bisognava cambiare ristorante, andare oltre la precarietà delle minestre riscaldate.
… Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero. … (P.P.Pasolini, Corriere della Sera, 14/11/1974Continua a leggere →
Le notti in cui si attendono i risultati elettorali, sono sempre strane. Se sei nella sede del candidato, guardi i visi, e nella luce che si fa impietosa, vedi la sconfitta o la vittoria, e senti la tua sul viso anche se non ti vedi. Poi pensi che da queste parti accade più spesso di perdere, sopratutto se hai scelto, da sempre, la parte in accordo con le tue idee. E dopo un’ora e mezza o anche prima, sai già com’è finita, però ancora non te ne vai perché speri che qualcosa cambi. Magari arrivi a mattina e i pensieri si svuotano man mano di contenuto, anche la tristezza, se c’è, si trasforma e diventa esame di coscienza e poi si anestetizza. È così anche stanotte, solo che contrariamente a molte precedenti notti uguali, domani non assomiglierà a ciò che hai vissuto. Il bilancio della vittoria o della sconfitta riguarderà il futuro di chi resta e di chi se ne andrà. Ma chi è nato salmone cosa può fare se non risalire la corrente.
Partiamo dalle elezioni e dalle novità della politica (?): le minoranze e il pensiero difforme non conta. Ma si può irridere, trascurare, espungere dalle decisioni una minoranza e chiederne la fedeltà nel momento del bisogno? Sì, se si tratta di sudditi ed è accaduto in ogni monarchia, in ogni dittatura, ma se gli uomini sono liberi, allora questi pensano, fanno bilanci, traggono conclusioni. E decidono. Questo un capo dovrebbe pensarlo, chi vuole esercitare il potere dovrebbe saperlo. Ovunque.
Parlando apparentemente d’altro, in Grecia chi paga la crisi sono i più deboli. Come sempre. E la classe che era media non lo è più. Certo i debiti vanno pagati, ma se si uccide il debitore, i debiti si estinguono oppure lo debbono pagare i figli, i nipoti, e così avanti per i secoli a venire? Non è una domanda da poco perché se uno ruba un po’ paga anche il fratello, se uno sperpera paga anche il figlio, ma se non si è sperperato e rubato perché si dovrebbe pagare al posto di chi l’ha fatto e magari continua ad accumulare e a far denaro? Di queste, e molte altre anomalie, non si discute nella politica dei paesi democratici, che così diventa una politica omissiva, spesso interessata, a volte collusa. Per questo un potere terzo e a suo modo terribile, serve. Serve un giudice a Berlino che giudichi e dica se ciò che viene fatto è conforme alla legge, sapendo che la legge non dimentica l’uomo in ciò che avviene, ristabilisce un ordine che viene violato dall’eccesso e giudica anche il potere. Come nella novella di Von Kleist, dove al mercante di cavalli a cui è stato fatto un torto e che chiede ragione, viene risposto sbeffeggiandolo, bastonandolo in un esercizio di potere che irride. Allora il mercante s’ improvvisa capopopolo, parla ad altri e i torti si riconoscono, e quando questo accade sono guai, perché diventano valanga. Travolgono il giusto e l’ingiusto. Così il mercante, solleva una guerra spietata contro chi l’ha offeso, semina morte e distruzione. Poi tutto viene rimesso in ordine, ma nel giudizio a Berlino, per quanto avvenuto dopo l’ingiustizia, oltre alla condanna, gli viene riconosciuto il torto subito, per cui al mercante di cavalli, pur impiccato, una soddisfazione alla fine verrà data.
Non è necessario arrivare a tanto, ma i motivi per pensare e per decidere con chi stare ci sono tutti: un torto genera conseguenze e non sempre queste sono così marginali da essere inesistenti. E questo accade ovunque, anche in politica dove si tende a perdonare molto e di più. Una magistratura che difenda il diritto oltre la politica, oltre il contingente, serve a tutti perché è la legalità che manca prima della legge. Tutto ciò a dire che i giudici della Corte Costituzionale devono decidere sulla conformità alla costituzione e non sulla convenienza del governo in carica. Qualunque esso sia. Perché sulla legge, e sul suo rispetto, si fonda il diritto del singolo, dei gruppi e la legalità. Le politiche e la convenienza del più forte sono altra cosa.
Finisco con un accenno alla campagna elettorale. Lunedì ci saranno molti vincitori, ma anche molti sconfitti. Credo che chi vuole il cambiamento rischi di stare più tra i secondi che tra i primi. Cos’è il cambiamento? A questa domanda, si dovrebbe rispondere dando fiducia a qualcuno e, nel farlo, sposare una possibilità nuova per i cittadini. Invece se va bene che le cose stiano come sono, il problema non sussiste. E la cosa sembra meno facile dell’evidenza perché se ad esempio nella mia regione, il Veneto, dopo 20 anni di governo di Lega e Forza Italia, il cambiamento è posto in una candidata donna, chi vuole il cambiamento magari obbietta, distingue molto, discetta. Stranamente emergono categorie come la simpatia o l’antipatia, più che una critica su quanto viene proposto di fare. Si potrebbe quindi pensare che quando si dice che le cose non vanno, non è proprio così profondamente vero da motivare una scelta differente. Queste persone, qualunque cosa facciano, saranno sempre insoddisfatte e sconfitte da se stesse, non operando secondo ciò che pensano non troveranno mai chi le soddisfa. Ma questa considerazione sul cambiamento e su chi lo vuole, non vale solo per il Veneto, perché cambiare non ha solo un colore politico, ovvero non lo ha più da molto. Anche altrove, indipendentemente da chi governa se non si è soddisfatti, cambiare significa scardinare apparati consolidati, mutare priorità, sciogliere clientele.
Insomma cambiare, se lo si considera un valore, ha un significato preciso, è discontinuità di azione e di governo, nuovo progetto e nuovo programma. E ciò che si deve decidere è se ci va bene la sostanza di ciò che viene proposto, se esso è conforme ai nostri principi, alle nostre aspettative. Questo è dirimente e toglie ogni alibi a chi vota e a chi non va a votare: ci sono quelli favorevoli alla continuità e quelli che invece vogliono qualcosa di diverso. Il paradosso è che anche nel cambiare si possono scegliere gli alleati e quindi avere altre continuità, altri compromessi, altre politiche che si fermeranno alla soglia del mutamento vero. Non basta dire di voler cambiare, sono i fatti che alla fine parlano ben più delle parole.
Prenotazione tre mesi prima, fare coda allo sportello per la riconferma dell’esame il giorno fissato, spostarsi e fare coda per il pagamento del ticket, 47.15 euro, ritornare all’altro sportello per consegnare la ricevuta di pagamento. Coda. Tra la cassa e lo sportello ci sono 50 metri. Tre code, 150 metri, per fortuna ho le gambe buone e una discreta pazienza. Eppure questa è la migliore sanità italiana, così dicono. Ma la burocrazia e la logica sono allineate al livello di efficienza e di irrazionalità più basso. Non c’è logica , ne buon utilizzo del personale, perché?
Adesso pazientemente attendo che un’ora tassativa per me diventi reale per il medico.
Modesta riflessione per il Presidente del consiglio:
A Napoli ci sono due gestori per due linee di metropolitana: uno sono le ferrovie dello stato con svariati tipi di biglietti, prezzi e scadenze. L’altro è una municipalizzata, l’ANM che gestisce due linee. I biglietti dell’uno non valgono per l’altro.
Oltre a questi gestori esiste la Circumvesuviana, la Napoli- Giugliano-Aversa i cui gestori confluiscono nell’ente autonomo Volturno e la tariffazione è gestita dal Consorzio unico Campania. Comunque Wikipedia può chiarirLe la situazione e non mi permetto di insistere sui particolari.
Le faccio questo esempio che è uno dei tanti esistenti, a nord come a sud, (e penso che anche Ella potrebbe raccontarne di ‘belle’ per Firenze e la Toscana) per chiederLe una fugace riflessione su cosa significhi per il cittadino cambiare verso. A mio avviso significa avere una vita che rispecchi nella cosa pubblica, la semplicità, che gli dia la percezione che non si buttano i soldi inutilmente, che gli faccia tener a mente la distinzione tra utile e inutile, tra equità e privilegio, tra passato e presente. Le dico questo perché ho l’impressione che si stia applicando il principio che il cambiamento inizia da dove c’è meno resistenza, che le cose vere da mutare siano inalterate, che, ad esempio, non sia mutato nulla nelle grandi articolazioni della macchina pubblica. Quella con cui il cittadino si confronta giornalmente, imposta la propria vita in un insieme di certezze che alla prova dei fatti non sono tali. Sono esperienze che fanno perdere la nozione di collettività, che tolgono la sensazione di essere dalla stessa parte, come Ella spesso ci ripete, ma invece radicano l’impressione di essere sudditi. Se il pesce puzza dalla testa, da noi, purtroppo l’odore si è diffuso. Gli elementi che hanno contribuito sono in sostanza due: il potere esercitato sempre e ovunque, e il suo antidoto, il privilegio che permette di temperare il potere, opporre una diversa legalità. Tutto ciò, come Lei ben sa, è inefficiente e costosissimo. Allora le chiederei di cominciare questo mutamento del Paese proprio dalla parte difficile, cioè l’inefficienza e il privilegio. Di far sorridere il cittadino assieme alle sue Ministre, che vedo trionfanti perché passa la legge elettorale o la riforma del Senato e della Costituzione. Attendo assieme a molti altri, ben più di quel 40% di cui parla l’Italicum, che questo cambiamento di verso inizi davvero, perché vede Signor Presidente del Consiglio, io voto ogni 5 anni, ma vivo ogni giorno e vorrei vivere meglio.
p.s. Io sono sereno e attendo il cambiamento e Lei ?
Oggi si celebra molto. Si discute altrettanto. Si smarrisce parecchio. Ciò che si strumentalizza in fondo lo si giudica di poco valore, accade anche con la festa della Liberazione, vista la scarsa attenzione che ha ormai la carta costituzionale, rispetto ad allora. Sembra un passato vecchio, inattuale, ma allora è meglio questa broda?
Intendiamoci, partiamo da condizioni assolutamente diverse. Oggi c’è la libertà, allora non c’era, c’è un benessere che pure nella crisi non è confrontabile con quello anteguerra, c’è un dibattito politico, la critica, la possibilità di muoversi, una eguaglianza difficile, ma perseguibile senza giudizi di razza, religione, genere., tutto questo e molto d’altro nel fascismo non c’era. Però oggi c’è una minore considerazione sul valore di tutto questo, tutto si confonde e diventa uguale, o almeno si vorrebbe fosse eguale.
Revisionismi storici, relativizzazione del contributo dei Partigiani, ma essere stati dalla parte del giusto, aver lottato, cambiato il Paese, riscattata la dignità dei singoli e di un popolo, lottato per la pace, contro le stragi, le sopraffazioni, la fame avrà pure avuto una differenza sostanziale, o no? C’è da chiedersi, nella diminuita percezione del valore della democrazia, quali domande non vengono più poste a chi si occupa della cosa pubblica, quali germi crescono intanto. La Resistenza allora dette molte risposte, ai singoli e alla comunità, pose domande nuove e soprattutto ridiede la speranza a una nazione. Per molti anni abbiamo vissuto di quella speranza, anche chi si aspettava altro dalla Resistenza e si sentì tradito nel sacrificio, comunque ebbe speranza: le cose sarebbero mutate. E mutarono. Ma oggi il Paese vive una crisi che non è solo economica, manca di valori condivisi, questo genera un grande pericolo che il passato sotto altre forme, possa ritornare e che l’Italia, l’Europa ridiventino incubatori di ineguaglianza assunta a sistema, di razzismo, di xenofobia, di caduta di libertà individuali e collettive. Senza valori comuni, senza una religione della libertà, dove possiamo andare? Come potremo cogliere l’ingiustizia, l’illegalità, là dove nascono se non c’è una comune percezione del futuro che oltrepassi il benessere? La grande risposta dell’Italia liberata dalla Resistenza era in questo coniugare: giustizia, libertà individuali e collettive, benessere economico, eguaglianza. Se oggi sono ancora queste le risposte, gli obbiettivi che mettiamo alla domanda di futuro, possiamo celebrare, altrimenti quegli ideali incompiuti sono da compiere, e questo ci riguarda oggi e nel futuro. 70 anni dopo i valori, le prassi, le realtà non compiono gli anni, nascono ogni giorno e hanno bisogno dello sforzo, dell’attenzione, della passione per inverarsi nella vita quotidiana.
Per questo la Resistenza non finisce, ma continua per una società più giusta, eguale e libera.
Renzi può piacere o non piacere, ma è indubbio il suo talento politico unito a una buona dose di fortuna. E, aggiungo, di ingenuità e insipienza degli avversari. Il criterio del simpatico o antipatico in politica non è un valore che determina il risultato dell’azione del politico. Lo adoperò a suo tempo la Serracchiani per motivare il suo appoggio a Franceschini, ma non diceva nulla di particolarmente intelligente, casomai esprimeva un calcolo, una convenienza. Il fatto che Renzi non abbia antagonisti deriva dalla mancanza di un vero leader giovane che abbia idee forti e diverse, eguale carisma e rappresenti una reale alternativa a sinistra.
Per chi? Per la maggioranza del PD e dell’elettorato di questo Paese che non è notoriamente di sinistra.
Quindi una persona che almeno equivalga Renzi e renda accettabile un mutamento in senso egualitario e legale del Paese. Un leader con un progetto innovativo che affronti l’intera agenda sottaciuta da Renzi: conflitto d’interessi, corruzione, legalità, sprechi, beni comuni, diritti della persona, ruolo del lavoro e dei lavoratori a partire dai giovani, welfare, privilegi da togliere, evasione fiscale, piano di sviluppo economico del paese, etica e moralità in politica e nella società, legalità.
Assieme a questo progetto è necessario indicare gli obbiettivi, con le relative scadenze, non agire di conseguenza ma precedendo, far percepire il cambiamento, ripensare profondamente di ruoli e di poteri, anche nelle parti già indicate da Renzi, che su questo ha avuto un’ intelligenza particolare, come sclerotizzate e comunque garantite dell’universo della sinistra storica : sindacati, elités di occupati, diritti senza lavoro corrispondente, gestione dei servizi, scuola, ecc. ecc.
Sinora questo leader non è emerso e l’atteggiamento delle minoranze è a volte succube, incoerente tra enunciazioni e fatti, spesso arrogante, sempre lamentoso.
Ciò significa che l’attuale opposizione interna del PD non è in grado di produrre il leader riformista vero?
Se le caratteristiche di questo leader sono: carisma, capacità di attivare la partecipazione, analisi acuta della realtà, empatia con l’elettorato verso un benessere comune, decisione e democrazia, la risposta è no. La sinistra interna, per la sua frammentazione che fa vivere di rendita molti piccoli capi e per la questione del ruolo del “vecchio” che non è mai stata affrontata davvero, non produce una leadership unitaria e nuova. Ma un conto è la capacità di produrre un leader e un conto la necessità che ciò accada. Se non si coglie la necessità significa che si impedisce alla ragione di dar spazio all’intelligenza e al talento. Questa è la responsabilità reale in carico alle minoranze: impedire che si formi una nuova classe dirigente e un nuovo leader pur potendolo fare. E questo è il vero impedimento alla crescita di alternative a Renzi, cosicché questi può continuare indisturbato a riformare il Paese secondo la sua visione di progresso e bene comune..
E se fosse tutto un maledetto imbroglio questo mutare impercettibile d’opinioni? Non una dietrologia, un burattinaio che orchestra la rappresentazione, ma la semplice deriva degli interessi, cioè fare quello che conviene quel poco o tanto da lasciare uno spazio per la coscienza che si conservi una via d’uscita. Capire le ragioni del potere per trovare la convenienza, insomma, si sa che la coerenza non è solo ardua, ma faticosa e con prezzi da pagare. Pensiamo ai quotidiani, ovvero a chi fornisce le notizie e la loro interpretazione. Repubblica naviga in mare renziano, non basta la prolissa domenicale prosa di Scalfari per un giornale che ai tempi di Berlusconi, aveva fatto delle 10 domande al premier il controcanto del potere e ora di domande non se ne fa più nessuna. Che fosse tutta una questione tra imprenditori? Di inimicizie d’affari? Questa è dietrologia deteriore, ma lo smottamento, dapprima piccolo e lento, poi più forte e consolidato, c’è stato e ora la parte politica del giornale è chiaramente orientata, hanno sposato questa visione della società renziana. Capisco che al Pd la sparizione dell’Unità non faccia poi così danno, a poco serviva anche prima, ed Europa non è mai stato davvero importante. Ma cosa leggere allora? Il Fatto? Le acidosi di Travaglio? Può servire la continua denuncia e l’acquisto di dosi massicce di Maalox, per chi si sente impotente di fronte alla continua violazione di principi e regole? Poi se si pensa alle carriere costruite sulle denunce senza effetto qualche dubbio viene. In questa analisi della realtà, pur smaccatamente di parte e verbosa, la vecchia Unità funzionava bene perché aveva voglia di formare un Paese nuovo e c’era un partito che orientava una visione diversa della società e del futuro, ma dalla narrazione dello “sfacelo” quotidiano, che speranza può emergere? Capisco allora che in sostanza mi manca un giornale da prendere ogni giorno, che non posso leggere solo la parte culturale di Repubblica, che il Manifesto non è sufficiente, che se non c’è una informazione alternativa di popolo, non si va da nessuna parte. Che serve un giornalismo che evidenzi le connessioni tra ciò che dovrebbe cambiare e ciò che cambia. Il privilegio non è diminuito in Italia, non c’è nulla di nuovo, se più non si considera la riforma del Senato e l’abolizione finta delle province come la panacea dei mali del Paese. Pagano i soliti, al più si è dislocata l’attenzione altrove, ma il potere è intatto e ringalluzzito. Oggi siamo nell’era del cambiamento renziano, e le connessioni non sono così scontate, non c’è una critica che leghi presente e futuro atteso e ovunque emerge il pensiero: almeno qualcosa sta cambiando. E questo uniforma le coscienze nell’attesa di vedere che effetto che fa. In fondo questo nuovo non è la preparazione di qualcosa di diverso, più giusto, equo, ma il proprio coincidere con il mutare perché questo di per sé è diverso rispetto alla morta gora in cui il berlusconismo e l’insipienza della vecchia guardia Ds aveva collocato il paese. Ma basta l’analisi individuale per leggere la realtà? No, perché manca un progetto che riguardi i singoli e le collettività e questo progetto dovrebbe essere raccontato ogni giorno assieme all’analisi di ciò che va e di ciò che non va. Ecco perché adesso quando passo ogni mattina all’edicola non so più che comprare e mi pare un maledetto imbroglio.
Premessa: quanto segue è fastidioso, troppo lungo e comunque non dice nulla che non sia un’opinione. Al più è una traccia di discussione. E qui può finire la lettura.
Tema: ma il nuovo è davvero nuovo e il vecchio quanto è vecchio?
Svolgimento:
Qualche anno fa, nel 2009, di Renzi non si sapeva quasi nulla oltre la cerchia dei sodali di Firenze. Dopo le dimissioni di Veltroni per la sconfitta in Sardegna, del PD era segretario Franceschini, che per tenere un po’ assieme, un’elezione senza congresso e decisioni politiche poco comprensibili, convocò il 21 marzo, un’assemblea dei Circoli a Roma. In quell’occasione, e in un’ora disattenta, con un intervento appassionato, si fece molto notare una quasi quarantenne avvocata di Udine, Debora Serracchiani. Strigliò il segretario, chiese ragione e ascolto per gli iscritti che sentivano lontane le decisione della politica del partito dalla vita reale. Con determinazione dettò delle linee di cambiamento. Fu molto applaudita. Cito alcuni passi del suo discorso:
…
Noi non possiamo riconoscerci in un Paese che non investe nella scuola nell’università e nella ricerca.
Noi non ci possiamo riconoscere in un Paese che pensa di superare la crisi economica solo prendendola più allegramente.
Noi non ci possiamo riconoscere in un Paese che pensa che i propri lavoratori siano dei fannulloni e che i medici debbano denunciare i propri assistiti.
E noi non ci possiamo riconoscere in un Paese che non si preoccupa di quei bambini che rischiano di essere bambini non esistenti, bambini che non potranno essere registrati. Io quel paese non lo voglio.
Noi non ci dobbiamo riconoscere in questi.
E noi, dico segretario, non ci possiamo riconoscere in un Paese che non tassa i più ricchi solo perché pensa che siano troppo pochi!
E dico, segretario, che non ci riconosceremo in un partito che non capisca quanto sia importante tornare a parlare agli italiani con una voce sola.
Questo noi lo pretendiamo!!!
…
Poi Debora Serracchiani fu candidata alle europee, e fu eletta a furor di popolo, prendendo più voti di Berlusconi nel Triveneto, poi è stata eletta segretaria del PD del Friuli Venezia Giulia, poi Presidente della Regione, e ora anche vice Segretaria del PD nazionale. Poi si vedrà. Quindi un cursus honorum rapido, con dichiarazioni e prese di posizione nette. Magari non sempre conseguenti a quel primo appassionato intervento, ultimamente spesso parla, mentre il segretario nazionale tace, cioè fa dire ai vice per non metterci la faccia, ma le situazioni cambiano e anche le opinioni possono mutare. Ho parlato di una persona che stimo per l’impegno, anche quando non condivido ciò che pensa e dice, perché la sua storia, come quella di tutta questa nuova generazione di politici, è breve, molto tranchant nei modi e legata a tempi rapidi.
Sembra che uno dei caratteri dell’economia contemporanea, ovvero la velocità e il cambio di prodotto, sia il segno in cui si misura l’efficacia dell’azione e il cambiamento. Il nuovo, insomma. La stessa interpretazione della modernità è concentrata sul fare, sullo sperimentare, sul conformarsi ad una velocità esterna più che a determinarla. Quindi tutto il lessico che ha orientato le idee di cambiamento e di sinistra è diventato improvvisamente obsoleto perché quelle idee volevano cambiare profondamente la società e i rapporti che erano in essa (ricordate il veniamo da lontano e andiamo lontano? Il percorso di lunga lena, ecc. ), mentre ora si punta sull’accelerazione che di necessità si sovrappone a ciò che esiste e quindi all’accettazione dell’economia così com’è, della politica estera come viene (Mogherini, chi era costei?), nella rappresentazione dell’uomo come serve al momento. Quindi un seguire il flusso che mai come ora determina governi e loro azione in forza della crescita e dell’arricchimento di pochi a scapito di molti. La diseguaglianza è un drammatico problema che investe tutte le democrazie occidentali.
Da un paio d’anni viene detto che tutto ciò che è stato fatto finora in politica in Italia, è stato incapace di modificare la realtà, che esso si è perduto in interminabili discussioni utili solo a conservare privilegi e diritti di pochi. Quindi il vecchio è stato, ed è, incapace di cogliere la realtà, è cieco, non vede gli elementi di reale adeguatezza ai bisogni delle persone, i loro nuovi diritti. La cittadinanza si esprime mediamente per interessi, ovvero ciò che non interessa mediamente non esiste, e quindi non è un caso che sia scomparso il dibattito sulla cittadinanza ai figli di immigrati nati in Italia, il diritto a un fine vita decoroso, il conflitto di interessi, la lotta all’evasione, la proprietà dell’acqua pubblica, i beni comuni, ecc.ecc.. C’è una nuova declinazione dell’eguaglianza basata sulla meritocrazia, una sorta di arrichessez vous interpretata come opportunità dei singoli non come offerta di sistema di diritti. Quindi siamo dinanzi ad una nuova interpretazione della realtà che scardina le ammuffite parole delle ideologie e dell’illuminismo. Una interpretazione più che positivista, basata sulla fortuna dell’individuo anziché sull’insieme, sull’io, anziché sul noi.
Questo però non è granché nuovo, basta leggere un qualsiasi classico del liberalismo, quindi la novità è più su una nuova gestione del potere. La mia tesi è che in realtà sia transitato solo il potere tra generazioni e che i poteri veri, quelli neanche tanto occulti siano intatti, anzi che ci sia in corso una deriva che consciamente o inconsciamente ne aumenta l’influenza e la presa economica. Se così è la generazione di Renzi, Serracchiani, Guerini, Taddei, Madia, Boschi, ecc. ecc. ha preso in mano non solo il PD, ma la rappresentazione e la gestione della realtà politica e dell’agire dell’intero Paese. E quello che io penso è che si consumata una lotta di potere, più che di idee, e una parte ha perso perché chiaramente inadeguata a capire cosa stava accadendo, ma che entrambe le gestioni del potere, quella precedente e l’attuale, siano presuntuose e arroganti e non dissimili, quindi il nuovo non è più democratico o attento alla diversa interpretazione delle cose che porta la critica, ma determinato a ridurre la propria realtà ad unica, sia pure a colpi di maggioranza, anche contro l’evidenza, tanto poi se si sbaglia si potrà riparare: siamo giovani, abbiamo tempo.
Mancando una visione chiara di dove si finirà, un modello esplicito a cui conformarsi o meno, le idee nuove sono labili e mutevoli quanto quelle precedenti erano vecchie e irrigidite, però a fronte della lentezza del processo che compone ragioni opposte, che mette assieme gli obbiettivi e li compone negli effetti reciproci, oggi si preferisce la velocità. Gli esempi sono ripetuti, si colloca Rai Way in borsa, si parla di legge sulla Rai e subito parte una offerta di Mediaset che chiede l’acquisto della società di trasmissione che di fatto la farebbe diventare monopolista delle antenne. Ora si mette una barriera al 51% , ma se passerà la legge elettorale che consente a un partito con il 25% degli aventi diritto al voto di portare a casa la maggioranza sull’unica camera che legifera, di determinare capo dello stato e presidente della repubblica chi potrà impedire che una determinazione ministeriale non venga immediatamente modificata? E questo vale per qualsiasi altra privatizzazione senza una legge sui monopoli, senza che neppure si sia riusciti in 20 anni a chiudere una reti di Mediaset, rete quattro, dichiarata non conforme alla legge con sentenza. Banche popolari, Enel, Finmeccanica, non si capisce quale sia il progetto semplicemente perché il progetto non c’è, prima c’era un eccesso di ideologia e di progettazione ora c’è la totale assenza di un piano su cui si possa esprimere un gradimento, un parere, un voto. E la stessa gestione della crisi, nel risolverne problemi, non porta verso una maggiore trasparenza, ma verso la costituzione di nuovi aggregati privati, insomma emerge un modo per privatizzare ciò che è pubblico o già privato, favorendo però la concentrazione in grandi gruppi che poi deterranno l’intera, o quasi, offerta dei beni e servizi.
Quindi il nuovo, è esercizio di potere conforme a una visione giovanilista della realtà, dove la discussione è un impedimento, una perdita di tempo, ma che nel fare poco si cura delle implicazioni. Anche la discussione diventa un atto formale perché altrove si è già deciso, l’ultimo esempio è la convocazione per domani da parte del presidente del Consiglio, dei gruppi parlamentari per esaminare, un’ora ciascuno, i provvedimenti su scuola, Rai, ambiente e fisco. Cosa si può davvero discutere in un’ora e sopratutto quando mai in una repubblica parlamentare il presidente dell’esecutivo convoca i gruppi parlamentari del partito di cui è segretario, forse per dire cosa questi dovranno votare in leggi non fatte da loro? Dove finisce l’indipendenza dei poteri, la libertà del parlamentare e del parlamento? Quindi il nuovo è un potere che non si cura di nascondersi e si esercita visto che adesione e convenienze, non si oppongono. Però questo passaggio di potere generazionale e sua modalità di gestione, non ha sconfitto solo la parte del “vecchi” della politica, ma anche tutta quella parte giovane che non si è adeguata con prontezza alla nuova gestione del potere. Il modello oggi è molto più verticistico, poco democratico perché basato ancor più sulla cooptazione e selettivo in senso di fedeltà al capo, tende ad escludere una reale contendibilità del potere e pensa di essere in tal modo duraturo. Questo è un modello che sta contagiando l’intero sistema politico. Del resto si legge nelle priorità e nella politica sinora portate innanzi, e orientate alle modifiche costituzionali in senso maggioritario, nell’ emettere continui provvedimenti che affrontano i temi più diversi, nel dire e nel contraddire secondo convenienza, nel non toccare nessuno dei potentati reali che assicurano la tenuta del potere oltre la stretta cerchia della politica. E’ significativo che emerga la convinzione di giocare una sfida già vinta per il controllo del potere politico in Italia e il favore del potere economico, che accompagna quello politico, è emblematico di una direzione e di un sostegno conforme agli interessi del primo. Ma per un partito riformista gli interessi del potere economico sono i suoi stessi interessi? Visto dall’esterno il cambiamento è sì nuovo, ma in senso di restaurazione di potentati più che nella distribuzione di nuove eguaglianze e diritti.
Conclusioni:
vista così la situazione non resterebbe che attendere che qualcosa accada di positivo oppure che passi, perché tutto passa. Però non c’è una pazienza sufficiente nei vecchi e negli scontenti, per cui chi non si adegua o è destinato a patire, a diventare gioiosamente gufo, oppure immagina una via di uscita più conforme a ciò che pensa.
Allora la prima domanda che ci si può porre è: va bene esercizio del potere, ma per chi? a favore di cosa? Quindi la prima necessità è favorire la nascita di una risposta aggregante, di un possibile riconoscersi non solo nella protesta, ma nella proposta.
Lo spazio e le teste esistono, possono mettere a disposizione alternative serie, che magari verranno bocciate, ma come si diceva un tempo, bisogna durare un minuto in più dell’avversario perché il giusto alla fine riemerge. Poi servono uomini, punti di riferimento, e qui c’è il secondo problema, se la politica oltre le banalità e la gestione del potere è davvero servizio, servono persone che abbiano la tranquillità di non dipendere da qualcosa o qualcuno, che possano fare riferimento a un gruppo che condivide non il potere, ma il fine per cui lo si chiede. Ci sono questi uomini e donne? Io ritengo di sì, e sono al di fuori della contesa generazionale, si guardano come persone e portatori di contenuti, e capiscono che nelle organizzazioni in cui lavorano, c’è necessità di cambiare fortemente, anche e sopratutto se sanno che non hanno intera la verità.
La sinistra politica da sola è incapace di riformare se stessa e di mettersi assieme, c’è troppo vissuto e troppa rendita di posizione, però abbiamo un esempio, nel ’69 il sociale fu gestito molto più dal sindacato che dalla politica e cambiò la politica stessa. Quindi sia pure con caratteristiche molto differenti, la nascita di un blocco sociale, alternativo, di sinistra riformista potrebbe essere perseguito, ma non a partire dai partiti bensì dall’analisi della realtà di quel 50% del Paese che è sostanzialmente immerso a vita nella crisi e a cui è stato tolta l’unica possibilità di mutamento che aveva ovvero la mobilità sociale. Non è strano che il Papa riesca a vedere e indicare i problemi con una precisione che la sinistra non evidenzia, ed è pure ascoltato. Quindi consapevolezza, tempo giusto per costruire, ed elaborazione di alternative. Se Landini scendesse in politica fondando un partito, sbaglierebbe, ma se la C.G.I.L. si chiedesse fortemente come deve essa cambiare per rappresentare gli interessi di chi lavora e vive in questo Paese, allora le cose cambierebbero. Un sociologo renziano ha detto che è stata seppellita la rappresentanza degli interessi come attore che interferisce con la politica, invece io credo che la rappresentanza degli interessi sia il sale della democrazia e della mediazione che porta al cambiamento di tutti. Se si elimina la rappresentanza non si elimina il privilegio, ma la dimensione dei diritti, ha diritto chi ha il potere, gli altri sono muti, e questo riguarda i partiti, i sindacati, ma sopratutto i cittadini: senza rappresentanza non c’è voce, senza voce non c’è limite all’abuso.
Tesi finale:
c’è stata solo una presa di potere di una parte dei giovani in un partito di vecchi che non si ritenevano tali. Doveva accadere sopratutto per la poca capacità dei vecchi di capire cosa accadeva. Però il nuovo non nuovo anche se il vecchio è stato sconfitto comunque. Se quest’ultimo ora avesse un po’ di intelligenza la eserciterebbe, sia prendendosi la responsabilità di essere conseguente a ciò che dice e sia favorendo che un nuovo davvero tale, nasca. E siccome sono un inguaribile romantico ed ottimista, penso che ogni malattia genera i suoi antidoti e che all’orizzonte davvero appaia un bianco cavallo, adesso resta da capire chi lo conduce.