a sera d’ottobre

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Certe sere sto zitto,
guardo l’ombra che si prende l’erba,
mentre l’anima scrolla il peso
del puledro che vuol correre da solo.
Il cielo distilla acqua mescolata a luce,
la dosa sulle foglie,
in gocce la rapprende,
e lo sguardo vede gli attimi di tempo
che scivolano nell’erba.
Libero è il pensiero,
dolce entra nel ricordo,
che mai è lo stesso,
ma nel piatto non muta la pesata.
L’erba, a volte la luce riflette,
altre l’accoglie e la trattiene
così d’ottobre s’affolla ciò che è stato
e si riordina in ciò che innanzi viene.
Star zitto è bisogno di rispetto e quiete,
assomiglia al gatto sazio
e al suo riposo che non chiede.
Verrà la stagion che viene
più lenta, forte,
chiara e gentile a noi
e ciò ch’è stato in essa spero
sia fertile seme.

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si sta così bene qui

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La sera ghermisce luce e case,
spinge il pensiero dentro bozzoli sicuri,
è l’aria che distrae,
sceglie colori,
coglie attese,
mette improvvisa fretta a gambe e auto.
Nella luce che traccia grumi d’ombra
c’è un riposo del sentire fatto di garza,
pronto a rapprendere in parole,
e sorrisi, e dita che sfiorano le dita.
Parla il tempo con la luce,
ora è foglie e cioccolata,
sussurri ritmati dai cucchiaini nelle tazze,
occhi che cercano,
e la voglia che la notte non porti altrove.
Si sta così bene qui,
tra luci gialle e voci sovrapposte,
si sta bene nel pensiero traboccato,
spanto sui tavolini come sentire.
Immersi in luci che sembrano riflessi
le parole ancora taciute,
sono calde di azzardo e timidezza.
Gli occhi s’alzano,
benedicono la stagione del tepore,
guardano nella via
dove scorrono auto e gambe veloci,
e s’intrecciano I destini
evocati dai portoni aperti con intenzione.
Sopra la città una cupola di luci
tiene assieme ciò che non si conosce
con i sentieri dei corpi e dei pensieri.
Scie scrivono ovunque,
il desiderio di non essere
mai davvero soli.

il vero si nasconde

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I gesti che si ripetevano erano aria smossa
che subito si ricomponeva,
ma serbava memoria
come accade alle cose e ai suoni.
Gli anni chiedono dell’amore,
delle sue occasioni,
a chi accumula tenerezze e malinconia,
e ne tesse abiti per la notte
quando gli occhi guardano il soffitto
e i minuscoli chiarori sembrano lampade
che rivelano il senso di ciò che è stato.
Nelle stanze, sulle pareti
e nelle parole che piano si rincorrono
stanno viottoli nell’erba,
strade senza pretesa che conducono lontano,
vicino è tutto ciò che è pace
nel cuore inquieto il vero si nasconde
ma interroga e conta le albe passate.
e i giorni e le vie percorse,
tra pietre divelte dalla furia del nuovo.
Sui muri il segno aggiusta
l’inquietudine di tante proteste,
e il luogo dove tornare
ha perduto le tracce dei colpi di tosse,
gli scalini scavati,
il profumo di caldo e di cibo, la sera.
Il passo ha il presente e il futuro
e i particolari s’affollano,
vociano e mostrano istantanee
su cui scorre il pensiero
e morde l’assenza.

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molliche di ricordi

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Nei gesti precisi,
le indecisioni d’un tempo scordate,
c’è l’abitudine al buono pensato,
e così nasce un profumo,
che si spande e apre la festa.
Mi perdo nei sogni, impasto farina
con i ricordi che si fan strada,
tra parole e pensieri.
Allora siamo entrambi bambini
tra vecchie pareti giochiamo.
mi nascondo, commuove il pensiero,
di lui, cresciuto lontano,
che sicuro d’entrambi, rincorre.
Conosce le astuzie di porte e mobilia,
ride e protegge,
un’ottomana accoglie
dei fratelli la lotta felice.
Fino al richiamo,
è pronto si pranza,
il profumo sollecita,
s’insinua, sì spande,
pervade l’amore,
e curioso, piccino, lo cerco,
ed è lì che m’attende,
dorato e sornione,
ammiccante d’assaggio.
nel desco della domenica
il pane condiviso e l’amore ,

ogni emozione è nuova

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in città l’autunno

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Penso al tuo autunno
così eguale e così diverso,
qui gli alberi ancora sentono l’estate
quella che da te rifulge piena.
La città si è scrollata la calura,
corre nelle gambe degli scolari,
allegri per l’aria e per gli amici.
Nelle strade troppe auto
visi sempre tesi di ritardo,
più tardi aprono i negozi,
ma chi cammina ha una meta, un luogo,
e il passo dell’affanno.
Ci sono da te i ragazzi in strada?
Qui escono alla sera
mentre il rosso nel cielo già s’estenua,
si siedono nei bar, ridono, passeggiano,
I baci non attendono la notte
ed è un scivolar di passi
indifferenti al traffico,
mentre fervono attese e parole sussurrate,
nelle strade colme di chi torna.
Nella mattina I ragazzi erano in piazza,
le bandiere sventolavano,
cartelli e slogan ritmavano l’andare,
loro sentivano le grida da lontano,
l’autunno a Gaza, l’omicidio
che non rispetta l’età e le stagioni.
Avevano Il cuore colmo,
che traboccava rabbia, compassione e pianto,
e hanno camminato a lungo,
gridato e chiesto pace
sino ad essere afoni
maltrattati mai muti.
Con loro camminava l’amore,
felice di aver chiesto vita.

coriandoli d’anima

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Mettere a posto un particolare,
una cosa minuta che nessuno noterebbe. Prendere qualcosa da uno scaffale,
seguendo un pensiero,
soffermarsi guardando l’aria.
Accanirsi nel riparare un oggetto,
che non vale nulla, eppure è una sfida.
Cose che raccolgono,
preghiere laiche
per dare tregua all’amarezza,
si celano nella mania di pensare.
Qual era il fiume che ci avrebbe fatto grandi,
quello che avrebbe colmato il desiderio
e sanata la crepa dell’assenza?
Era la felicità immaginata e condivisa,
la gioia del sollevare le foglie d’autunno
e ridere, si ridere di tutto e di nulla.
Trovata e subito perduta,
attesa al risveglio,
costruita con il lento caffè
e la sua prima quiete,
portata nella fatica ilare del giorno,
nella porta che s’apre e non pensa alla sera.
Della somma felice,
d’ogni vissuto restano succedanei,
e la quiete del rompicapo
che si ritrova nel solo ordine nostro,
una tranquillità
e un deporre le armi.
Quisquilie e coriandoli d’anima,
e a fatica si scrive il futuro.

villano il tempo

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dove ero e dove sono

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nuove solitudini