hai…

In evidenza

Chiusa la porta
ora l’aria è una lama che sfugge,
la luce batte sui vetri, 
sgomita, apre varchi, 
chiede alle probabilità,
che gli occhi socchiudono,
che il sogno inizi. 
Là dove il verde si guarda
e s’intenerisce di sé 
chiedi a chi tiene conto,
dei fili dell’erba, 
d’ogni orma passata, 
del volo in ogni sua specie. 
Vedi come scava la luce nei muri, 
cogli l’ombra dei passi 
che addolcisce la pietra, 
E senti del cuore gli inciampi, 
il canto sommesso delle cose in disparte, 
e il dire tuo, nel pensiero che esita,
diviene cura eccessiva del gesto,
sino al sospiro che ammutolisce. 
Immagino la penombra, 
il rumore della quiete 
e l’offerta che sceglie, 
dal senso la forma del dirlo,
accosti il sentire
come fosse colore
e dissona o converge
del tutto la piena armonia.

acque stanche d’uccelli

pensare d’essere pensati

specchi, inquieti specchi

mattina

Un mattino morbido avvolge le finestre nella luce,

le tende si gonfiano di tenui colori,

È un tempo dolce che chiede ascolto, anche gli oggetti non hanno fretta,

si mostrano

col piacere languido delle cose,

che osservano il respiro lungo della notte.

Trascorsi i sogni, grani d’infanzie mai chiuse,

il risveglio è gemma di voglia

che si protende verso l’aria nuova.

I profumi del caffè sono densi e quieti.

annunciano che c’è tempo

e sarà nella corteccia d’altro tempo.

Un brusio sommesso

arriva da lontano,

incauto, indifferente,

è decrittata immagine di vita

che si svolge,

libro che il vento sfoglia è non fa leggere.

La pipa sul legno attende,

il computer è chiuso:

piante nell’acqua in controluce,

mentre un taglio di sole sceglie tra i libri,

la musica,

le frasi per dirsi.

Intanto la radio racconta,

appende parole,

le cuce con fili sottili.

Le sgrano una per una,

le scompongo nel suono,

che sia questo uno dei significati dell’udire?

Non ascoltare più,

render proprio ciò che per altri è diverso, vederne la trama,

e perdersi nell’inutile

così denso di significato.

esecrare

Oh scarsa mia opinione, oh timidezza,

ho celato le spinte del cuore,

in rossori incongrui di sé vergognosi,

così anche la fantasia che ribolliva,

è stata gettata come dadi sul tavolo,

sperando che il doppio sei non uscisse,

per non giustificare l’essere felice.

E ancora, ciò che sapevo,

l’ho celato tra sguaiati paraventi di riso

e scarsa curanza di me,

perché volevo sì, essere invisibile,

ma pur capito,

come l’uccello che alza a noi lo sguardo,

e se ne nota il facile fraseggio d’ali,

la livrea e la grazia, ma non la fatica,

e neppure il suo essere creatura d’aria,

pensando l’essere per lui facile

ciò che a noi sarebbe impossibile.

rendo grazie

Ogni giorno che ci è stato dato, 

ogni momento che abbiamo donato,

ogni pensiero ricevuto,

ogni notte rischiarata,

ogni figura che ora è voce, 

ogni possibilità che diventa amore,

ogni refolo d’aria fresca nella notte.

ogni pietra seduta, calpestata, sconnessa e consumata,

ogni bellezza che è stata donata,

ogni attenzione che ci ha visto e si è soffermata,

ogni rimorso ch’è stato consolato,

ogni attesa in cui qualcuno è arrivato,

ogni solitudine cercata,

ogni pensiero che ha capito, 

ogni telefono cancellato,

ogni auto partita senza i pensieri che ha portato, 

ogni nube mutata nell’acqua che ha ristorato,

ogni persona che ha visto come eravamo e ci ha parlato,

ogni metà verso cui si è camminato,

ogni sogno, tenerezza e confidenza che in noi hanno creduto,

ogni stagione che sorridendo la seguente ci ha donato,

ogni volta che abbiamo guardato l’acqua e meditato,

ogni sosta in cui abbiamo ricordato che altra vita avevamo sognato

mentre vivere e amare ci ha sorpresi,
resi forti, accolti e accompagnati,

e ogni volta ancor più ci ha insegnato a capire che siamo vita,

indefinitamente e pienamente vita, per ogni attimo,
ogni giorno e notte, sempre. 

A tutto questo e molto altro rendo grazie.

suoni in attesa di precisione

I suoni si gonfiano dalla vecchia radio;
morbidi sul rumore di fondo
assomigliano a colpe mai perdonate.
Onde medie e valvole imprecise, per scelta,
oggi riportano ai tepori rumorosi d’infanzia,
agli elastici un po’ lenti,
alla voglia di rimettere a posto indumenti
negli accordi che sbavano appena.
Basta tendere l’orecchio e s’ intuiscono pensieri,
che infilano imbuti di note:
pare, m’era sembrato, mi pareva,
bianchi e neri di suoni, simmetrie di sentimenti, rimbalzi.
La musica ? Non ci salverà, come i ricordi.

Il pensiero è altrove,
nella luce d’inverno che corre presto nella notte,
rossa ed umida in cerca del calore,
che fa vibrare di carezze il cuore.

variazioni sull’aria della frescobalda

Si diceva che in fondo non abbiamo altri criteri per scegliere in un gruppo: gli amici, i nemici, gli indifferenti.

Vale anche ora, gli indifferenti a noi, non contano.

Ognuno di noi contiene la propria malattia e su questa costruisce vita e relazioni. 

Ne ha sensibilità, ma la mette in disparte, la maschera di necessità.

Scrivo di marginalità, penso cose strane e futili, uso quello che conosco per indagare con lo sguardo a lato. Mi interessa vedere intorno dopo aver guardato negli occhi, perché lì dentro ho trovato pezzi di me.

Conoscere la propria malattia significa averne intera la paura, vedere che l’indifferenza è appena dietro l’angolo pronta ad azzannare.

Quindi non è vero che l’indifferenza non conti, specie quando si maschera di cinismo, non è più inazione e azzanna la volontà.

Curare la propria malattia, significa capirla e temere il cinismo che non fornisce interessi veri. Solo le passioni sono a lato del cinismo, agiscono con chimica strana che combina occasioni e sentire. E se quasi mai si completano negli enunciati che le avevano generate, forniscono, comunque, la materia del vivere.

Scrivo spesso di piccole cose per me grandi e mi occupo di cose vere, mi saturo di realtà ogni giorno, al contrario di quando si parlava molto e si faceva poco o nulla e si viveva altrove. A lato. Allora restava quel vuoto, quell’inanità che genera la percezione della propria insufficienza colpevole.

Anche adesso.

Così la mia indignazione diventa passione e si scatena appena fuori della banalità di ciò che questo paese è diventato.

Ognuno è soggetto felice delle proprie passioni.

Per età potrei dire che non è più compito mio, che non m’interessa più. Ma in fondo la terza metà della vita, non è destinata a fare ciò che non si poteva fare prima, quello che non si è fatto è definitivamente perduto, ma il nuovo che è interessante, i nuovi percorsi e vincoli, le nuove virtù.

Ognuno di noi contiene la propria pazzia e ne ha nozione.

Spesso è l’unica libertà, la parte vera che si possiede, per questo è intollerabile viverla con continuità. La pazzia non conosce il limite tra il particolare e il generale. Totius ex parte. Era uno dei principi della magia antica, nel particolare c’è tutto il conoscibile dell’universo, tutte le contraddizioni, tutte le forze e le equazioni fondamentali. Per questo cerco la mia pazzia nei particolari, li lego alle passioni con sottili rossi fili di seta, scrivo di sciocchezze e m’intrido di realtà.