hai ragione, sorrido poco

Hai ragione, sorrido poco. Eppure durante la giornata l’ironia non mi manca, ma quando scrivo, i pensieri coagulano su una realtà che sta ancora nell’anticamera della dissacrazione, cioè nell’attesa di essere davvero compresa. Poi può venire lo sberleffo, ma prima c’è la perplessità. Quindi con la scrittura sorrido poco. Ci devo mettere una pezza, passare a pensieri più leggeri, scrivere con ironia. E invece mi accorgo che mi rifugio nel paradosso che ha bisogno del parlato, di assonanza di parole, rovesciamento di significati. Giochi, cose d’un attimo, per alleggerire, quasi una mossa del cavallo rispetto al reale. E’ il confronto con ciò che vedo, che non mi piace.

Eppure attorno non mancano segni di una forza allegra che percorre questo Paese. Magari sono mie fantasie, ma sento che non tutto è stato rovinato. Che hanno devastato la superficie però il resto ancora è disponibile.

Ieri ero prima a Mantova e poi a Gonzaga. Due fiere diversissime. Quella della letteratura, con i suoi colori pastello nelle copertine e nei vestiti delle donne, con le persone che si assembrano, vanno verso convegni d’amore e d’intelletto, ascoltano, parlano di cose loro e di tutti, si siedono nei caffè, per terra, si immergono in un quadro che per una volta non è protagonista ma contenitore come ai tempi dei Gonzaga, applaudono, partecipano, si entusiasmano, criticano. Insomma vita. Una vita particolare, fatta di assonanze, di discorsi non detti, pensieri che condividono il terreno su cui corrono. Un popolo a parte, lettori impenitenti, persone che usano una particolare modalità per pensare, osservare, vedere, uscire dalla realtà, tornarvi sereni o incazzati perché leggono. E leggere è pensare, alzare gli occhi, lasciarsi imporporare le guance, ributtarsi nella frase, dire ancora oppure basta, arrabbiarsi o gioire, ma quasi mai essere indifferenti perché l’indifferenza chiude il libro e il pensiero. Leggere è imparare a pensare diversamente contaminati dalle vite altrui e dalla fantasia, così guardo attorno e sento d’essere parte di quella folla che cicaleccia pensieri con una direzione positiva, (pensare, riflettere, è una direzione positiva del vivere essendo movimento, rottura di paradigmi), penso che questa è una forza vera. Che spinge per uscire dalle banalità della politica. Che chiede cose importanti, vitali, come i diritti: la scuola, la salute, il lavoro, il benessere, il disporre di sé. E fa bene vedere una folla di persone che ascolta Rodotà, che partecipa, applaude, si alza per rendere omaggio a un pensiero scomodo. Fa bene perché vaccina dal cinismo che tutto sia scontato e ci dice che il terreno comune esiste, e le persone pure. Che una minoranza può fare del bene a tutti, non solo difendere privilegi o raccontare balle. Che forse il pensiero non basta, ma l’impressione è quella che con i messaggi giusti, si possa rimettere in moto l’agire che è conseguenza di un ragionare elevato, di un bene comune, di un sentimento forte.

Quindi esiste un’Italia possibile e con un poca di pazienza si possono cambiare le cose.

Ci penso, approfitto di questa impressione per annullare le notizie che riguardano la condanna di B., gli stratagemmi in corso, i soliti avvocati, le furbizie, lo spettacolo indecente dei pretoriani e dei servant. Mi pare che conti poco e che passerà. Non è davvero importante seguire i destini di quest’uomo che dovrebbe essere condannato per i delitti civili commessi e permessi, ben più che per le colpe fiscali. Come Pasolini evocava, servirebbe un processo per il potere mal gestito. Lui allora parlava dei capi della D.C., rei dei mali fatti al paese. Non accadde nulla, ma ancora servirebbe non restasse impunito l’impoverimento delle persone e delle coscienze, la rovina dell’economia, l’illusione di ricchezze facili al posto del lavoro, l’immoralità dell’agire pubblico, la corruzione, l’illegalità permessa. Non dovrebbe perché il potere ha bisogno della lezione dei sottoposti per tornare servizio e non arbitrio.

Ma se ci sono tante persone che seguono, leggono, pensano e vengono a Mantova in una giornata di settembre dev’esserci speranza. Sì, non tutto è perduto. Mi ritrovo con una positività, ben fuori dal cinismo che vede tutto scontato, già vissuto e fatto. Mi pare di non appartenere al gregge di quelli che sanno come va a finire, che ci sarà la sorpresa, e si possono rovesciare le cose, inopinatamente essere felici. E se questo avviene collettivamente perché non può avvenire singolarmente? La felicità non dura ma è un tendere, e se si cerca la felicità le cose accadono, ci si dichiara disponibili all’emozione, all’innamoramento del vivere che include l’altro, al sentimento che esclude il calcolo. Insomma ci si prova e la vita muta. Qui poi il contesto dei pensieri è fremente di vita, le persone, la città, l’emozione che invade l’aria. Mi viene da dirvi: venite da nord a Mantova, passate in mezzo ai laghi, scontratevi con questa visione di mura, palazzi, cupole, logge, prima di immergervi nelle stradine, prima di sentire i ciottoli che vi riportano ad altri piedi, altre figure, altri tempi. Sarete colpiti dal fulgore di una piccola reggia in un territorio che è ordine interiore e spinta di lavoro, opera, mutamento, intelligenza applicata per millenni a trarre benessere dagli stessi luoghi. Qui è la terra che trionfa e la gloria dell’agricoltura è questa: non invecchiare, essere vicina alla vita tanto da riprodurla indefinitamente, avere tempi circolari. E Mantova è una piccola capitale tra le piccole capitali che punteggiano la pianura padana. Già, la pianura padana, le capitali del grano, della carne, dei formaggi, dei salumi, luoghi profondamente connotati, identità, dialetti, eppure quantomai Italia, paese, persone, non gente.

Questo è un Paese vitale, fatto di persone prima che di individui e che spinge per uscire dalla costrizione anche quando si lamenta.

Lo sento il pomeriggio a Gonzaga. Fiera millenaria. Una fiera che parla delle stesse cose da più di 500 anni e non si è ancora stancata, che trova argomenti nuovi, che mostra tecnologia accanto ai tortelli di zucca, lo stracotto e il riso alla pilota. Incredibile la quantità di persone che sta ovunque tra odore di frittelle da sagra, banchi di tutti i tipi che vendono di tutto, tonnellate di merce cinese, di plastiche che si spezzeranno tra un anno, vicine a tecnologie raffinatissime. Energie sostenibili, sistemi serra, agricoltura 2.0,, c’è una spinta enorme che trascina tutto, la tradizione, i modi di pensare, la percezione particolare che ha chi cammina sulla terra, la prende in mano, la annusa e poi sale su un mezzo da 10 tonnellate per lavorarla. Ieri sera un agricoltore poneva una domanda che ho sentita bellissima nella sua tenerezza: ma quando pesiamo con i nostri mezzi sulla terra, cosa le facciamo, quanto male sente? Qui si sa che in 5 cm c’è quasi tutta la diversità biologica di un terreno, è naturale che ci si preoccupi. Così mi viene in mente che nella campagna l’anima è rovesciata, che ciò che sta sotto è sterile, e che la terra è impudica, e inerme, nel mostrare la sua vita, la fertilità che ci dona. Nella fiera millenaria, la vita è superficie, ci sono migliaia di persone che non parlano di letteratura, che però hanno idee, ci sono giovani dappertutto, viali intasati di voglia di vivere, di stimoli e desideri e si mescola tutto. Vita ovunque. Con il cinismo tradiamo la vita, la neghiamo, L’italia è in questi luoghi, non anche questi, è questa vita, superficiale o profonda che pullula, non è possibile renderla sterile con la banalità dei piccoli/grandi interessi, non si deve, è un delitto. C’è speranza in tutto questo, credo che nessuno possa davvero abbattere la vita di questo Paese, ma questo non significa lasciar fare, lasciar correre, anzi vuol dire ritrovare l’allegria della vita, permettersi di ridere. Non ho usato parole leggere, me ne accorgo, segno che mi lascio condizionare dal plumbeo di chi mi vuole intristire, imprigionare in una condizione senza speranza e invece io la speranza la pretendo, e con essa l’ironia e il sorriso. E se c’è vita, si può fare.

piccole compulsività

Ci sono reazioni esagerate, lo spazzare il tavolo e a volte rovesciarlo, che sembra pure meglio in quel momento. Magari per sfogarsi e non pensarci troppo o per dimostrare qualcosa a qualcuno. Così c’è chi ti chiede l’amicizia in questi luoghi e poi ti cancella senza neppure dirlo. Come se il mondo virtuale non avesse una sua creanza e sincerità se siamo tra persone e non solo tra alias. Invece sembra che per qualcuno o molti, tutto appartenga al fare e disfare, quindi semplicemente si preme un tasto e non ci sei più. Ma anche se è così, basta pensare che c’è pure di peggio, quindi bisogna farsene una ragione. E posso assicurare che, contrariamente a quanto si pensi, non è difficile, non si sta male che poco e la ragione arriva subito. Accettare ciò che non si capisce non e’ poi così difficile se si scrollano le spalle da inutili pesi.

Già faccio fatica a comprendere chi ha la costante tentazione di cancellare tutto, come ci fosse qualcosa che davvero si cancella, che essere messo dentro o fuori d’una porta, lo riservo, per il dolermene, a chi conta davvero, al più la considero come l’ennesima conferma che se questo mezzo e’ vacuo, solo noi possiamo dargli consistenza, restando ciò che siamo davvero.

Restando, per l’appunto.

lunga e paziente, la grammatica del cuore

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Il cuore tiene strette le sue alchimie, i segreti che connettono ciò che accade.

Fa accadere e si stupisce, esita e spinge a fare, coglie il reale e s’alimenta di sogni e di possibile.

Sorprende il cuore, nei suoi inesplorati contenuti, è inesauribile contenitore di meraviglie da cui estrae oggetti colorati, drappi scuri e ancora colore.

Di natura strana il colore che viene dal cuore, altera ciò che si vede, muta la percezione dei sensi, muove le gambe a correre e fa star fermi, chiede silenzio ed eccita parole e risate.

Conosce il senso degli aggettivi, il cuore, sa la profondità della tristezza, la leggerezza vaporosa dell’allegria, la bellezza tempestosa dell’amore, la soddisfazione queta della comprensione.

Il cuore ha paura e forza per superarla, solleva l’ansia e la placa, si emoziona fino al pianto e si distende nell’abbandono.

E’ insondabile e senza tempo, il cuore, combatte con la ragione e spesso vince perché pratica l’impossibile, ha memoria e oblio, giudizi inappellabili che solo lui può mutare. E tiene ciò che conta davvero mentre sciala ciò che non dura.

E’ generoso e sa perdonare, il cuore, con il suo tempo che non è quello della ragione.

Si lascia leggere, il cuore, e insegna la sua grammatica, con pazienza inesauribile, per l’intera vita.