piccoli wafer di risentimento

divagazioni sulla bellezza

ci sarà pure una legge che…

Suono di campanello, si apre la porta.


“Buon giorno, posso avere una confezione di essenziale?”


Da dietro il banco, un camice bianco si volta e sorride.


“Mi spiace, signore, non ne vediamo da mesi, le ordiniamo e i magazzini neppure ci rispondono. Pensiamo finiscano tutte alla Caritas o a Medici senza frontiere.”

Imbarazzo del cliente, ma anche stizza.

“Questo è il terzo negozio in cui chiedo una confezione di Essenziale e le risposte sono come le sue o più fantasiose. Un suo collega mi ha detto di cercarle in Africa o nei centri profughi.”


Sorriso del camice bianco, aggiustatina agli occhiali. Colpo di tosse di uno dei due clienti che seguono quello al banco.


” Non posso che ripeterle quanto le ho detto, signore, dovrebbe provare da qualche collega di campagna, forse hanno qualche fondo di magazzino in scadenza. Qui abbiamo solo Superfluo, di varie confezioni e prezzi, ma di Essenziale, nulla.”

Mormorii alle spalle del cliente, proteste sottovoce, un cliente guarda l’orologio, riapre la porta. Esce.
Il cliente insoddisfatto fa per voltarsi, è visibilmente contrariato, poi ancora si rivolge al camice bianco.


” C’è una legge, anzi la Costituzione, la madre delle leggi, che mi assicura l’Essenziale, deve essere rispettata, sono un cittadino, pago il dovuto, esigo…”

Il camice bianco non sorride più.


“Cosa può esigere, caro Signore, quello che non c’è non c’è, si rivolga alle assistenti sociali del comune, alle associazioni di beneficenza. Ma lei non guarda la televisione, non legge i giornali, non consulta internet, ha mai visto una pubblicità dell’Essenziale? Ha colto qualche invito all’acquisto o alla sua ricerca. No, c’è solo Superfluo che viene offerto in quantità e qualità differente secondo le ricorrenze e stagioni. Perché anche il Superfluo ha cicli produttivi e una domanda variabile, quindi auto, profumi, orologi a Natale e cibo in grande quantità. Tutto in eccesso per poi alimentare le patologie che assicurano altro spazio ai farmaci di moda. Il Superfluo è ciò che muove la società, che la differenzia al suo interno, che stabilisce l’ordine e le gerarchie. Il Superfluo fornisce autorevolezza e potere, può essere gettato, tenuto in gran conto ma è la libertà, se lei non ha questa libertà, non esiste. “


Ormai i clienti in attesa sono molti, le proteste sono ad alta voce, si sovrappongono, si rafforzano, se non ha i soldi per il Superfluo perché deve intralciare gli altri… sarà il solito ecologista… di persone che vogliono limitare la libertà di consumare ce ne sono troppe… basta, esca e lasci che possiamo acquistare.

Entra un poliziotto.
“Cos’è questa ressa?”


Il camice bianco spiega succintamente i fatti mentre consegna una confezione variopinta di Superfluo al cliente successivo.
Il signore che aveva chiesto l’Essenziale, cerca di sgusciate tra le persone. Lo trattengono. Lo consegnano all’agente. Ci ha fatto perdere un sacco di tempo…è arrogante… pretendeva di avere dei diritti… e ha allungato una mano verso camice bianco, l’ho visto io.


L’agente lo prende in consegna, gli stringe un braccio, l’uomo cerca di divincolarsi. L’agente gli dice che dovrà rispondere di resistenza, mentre escono, gli chiede i documenti.


Persone: non gliela faccia passare liscia… attento sta mettendo una mano dentro la giacca… ha una pistola. L’uomo protesta che sta cercando i documenti. Le voci si alzano, viene immobilizzato, l’agente lo ammanetta.
Commenti entusiasti dentro al negozio.
Aumentano le vendite di Superfluo. Le persone vanno verso casa, sorridendo soddisfatte.

In questo paese c’è ancora una legge…

Impulso di scrittura giornaliero
La tua vita oggi è quella che immaginavi un anno fa?

la vita immaginata è un presente quando la si immagina, ciò che poi si determina è il convergere di un poligono di forze dove c’è la nostra indole, i desideri, i fatti, la narrazione interiore che ci facciamo, le attese e la costruzione di ciò che ci riguarda. La vita approssima il nostro interiore più profondo, quanto più ci riusciamo tanto più apriamo la porta a ciò che ci soddisfa e al tempo stesso crea il nuovo. No, non è la vita che immaginavo ma è migliore ed è mia.

non è cambiato niente

ottobre

Primo ottobre. Oggi vorrei una giornata elegante, piena di stile. Lo stile è il dialogo interiore che si mostra.

Ho un dialogo per capello. I capelli sono pochetti, ma sufficienti a far confusione. Lo stile non è confusione, ma una precisa opinione di sé. Dipanare e trovare il bandolo. Esiste sempre un bandolo e un bandolero (stanco).

Il primo ottobre si andava a scuola, i banchi erano altissimi, incrostati di ferite alla lacca nera che li rivestìva come i nostri grembiulino. Erano irti di intagli, di schegge, di storie passate: avevano fatto la guerra e ne erano usciti liberi e malconcio. Ne erano passati per quei banchi di ragazzini prima di me, avevano lasciato unto, sedili lisciati e pensieri in forma di simboli. L’odore d’inchiostro era lo stesso, la continuità generazionale, il primo ricordo oltre a quelle carte geografiche incerte sui confini. Un profumo acuto, una droga che creava dipendenza e macchie. Eccellevo nelle seconde, occorre stile e le macchie qualche volta mi facevano piangere, altre volte mi fermavo ad ammirare nelle loro curve perfette, nei bordi merlettati. Dipendeva dalla carta. Chissà se Rorschach lo sapeva… della carta e delle macchie che cambiano, intendo. Comunque ci guardavo dentro e immaginavo: Rorschach l’ho scoperto così, oppure lui ha scoperto me. Bella cosa essere scoperti dalla persona giusta: accade quasi mai.

Si era appena arrivati a scuola e si festeggiava subito Cristoforo Colombo. Anzi quell’immaginetta di lui, in piedi, che riceveva da indigeni piumati e ossequienti, oro e omaggi. In cambio il nostro elargiva civiltà, benedizioni e collanine di vetro. Con quel mantello corto, i calzoni con lo sbuffo e il corsetto mi sembrava ridicolo, mentre gli indigeni, pur rivestiti quanto bastava a marcare la differenza e ad eliminare il nudo, mi sembravano più interessanti e pieni di stile. Non sarebbe stato meglio se fossero stati gli indiani a scoprirci? A me non sarebbe piaciuto essere scoperto da Colombo, e mentre meditavo sulla necessità di essere scoperti da una persona piacevole, mi scopriva il maestro. Vedeva che ero distratto, che parlottavo tra me e facevo disegni con le macchie. Le raffinavo. Cioè conformavo Rorschach a me. Il maestro non conosceva la psicologia del ‘900 e la cosa finiva in una domanda secca, cioè mi chiedeva cosa stava dicendo, come soffrisse di amnesie o di improvvise incomprensioni. Se non lo sapeva lui cosa stava dicendo come potevo io, nella mia cosciente ignoranza aiutarlo. Ma insisteva e attaccava il mio cognome alla richiesta, con una lieve indecisione sulla pronuncia. Volevo chiedergli se l’accento fonico andava sulla prima vocale prima dell’ultima sillaba e mi pareva di sentire il dubbio fugace, in quella testa grigia, così piena di cose da insegnare, ma pure di fatti suoi che erano come i miei, extrascolastici (però i suoi contavano di più). No, va proprio sulla prima vocale, tout court, e lei lo pronuncia alla tedesca. Non potevo dirlo, ma io il mio cognome lo conoscevo bene.

Finiva sempre male, non riuscivo ad aiutarlo a ricordare quello che stava dicendo e così si confermava il mio assioma, ovvero che essere scoperti dalla persona sbagliata non mi piaceva.
Non lo sapevo, ma gran parte della vita si passa ad attendere di essere scoperti dalle persone giuste, dalle situazioni giuste. Ma per essere scoperti bisogna saper vedere, discernere, cogliere ed essere sufficientemente disponibili e curiosi. Quel tanto che basta per capire che c’è un dentro e un fuori e il fuori non è, per sua natura, ostile, ma spesso è indifferente e poco giusto per noi, e mai comprensivo. Il fuori ha fretta e poco stile, arraffa quello che c’è, ma se vogliamo dirla tutta dipende anche da noi. Lo stile intendo. E allora faccio in modo che la giornata abbia la possibilità di scoprirmi, i tempi giusti, gli attimi colti. Avete mai considerato che gli attimi sono colorati, mai grigi? Così di attimi ne colgo un bel po’, ne faccio un mazzetto e li guardo col giusto rispetto, amore, considerazione. Completo il cogli l’attimo col suo significato: la persistenza del bello che include e non svanisce. Anche questo è stile.

Buon primo ottobre.

come i metalli quietamente sublimare

La sublime inutilità di questo luogo lo rende poetico
è un mandala costruito con la pazienza dei giorni, dei pensieri prima del sonno,
a cui le intemperanze e il ribollire dello sdegno, non hanno fatto offesa.
Qui nessuno t’obbliga a capire, è ciò che d’altri non si conosce sapendo di sapere. Come l’intelligenza nascosta nella stupidità.

Forse è vero,tutti siamo gatti curiosi,
e le vite altrui sono meraviglia, banalità, carezza leggera.
Un soffio che si spande
e fa girare il capo,
come qualcosa che ci riguarda
ed è già sfuggito.

temporale di città

Piccoli dolcetti al cacao si accompagnano al fernet e caffè nella larga tazza. Tra le strette piazzette e nel viale, passano ragazze con vestiti estivi corti e leggeri. Parlano con parole che si di stendono pigre le une sulle altre, ridono spesso. Qualcuna gesticola e si tocca i capelli e il corpo: sta raccontando qualcosa di sé. Gli uomini si fermano rallentando il passo in sincronia con le parole, tra una boccata e la successiva parlano e ridono, ma è una risata meno leggera, pesante di sottointesi.

Il mio sigaro è di dolce Kentucky, poco invecchiato. Lascia un fumo denso e l’ aroma corre nell’aria come un flusso, un ricciolo d’acqua da codice atlantico. Lo seguo con lo sguardo e mi pare un bel momento.

Appena oltre le case, tra i balconi pieni di gerani rossi, s’annida il rumore di chi va di fretta perché ha esaurito l’estate. La città, che è nata dal gioco di un gigante, si incanala tra linee sempre un poco curve, quando è stata scritta, dalle dita possenti di forza e sorriso, ne è venuta una spirale logaritmica e io sono al centro di quel dipanarsi di luoghi che sembra correre verso la periferia e perdersi in un verde confuso con l’azzurro, ma sono anche sulla retta del corso. E lì vedo staccarsi le ore come rintocchi pieni di identità e pensieri compressi in attesa di espandersi nel futuro immediato. Ma è cosa d’uomini e d’animali tutto questo affollarsi di possibilità e accadimenti… mi prendono pensieri quantistici, risuonano le discussioni di Bohr e Heisenberg. Che belle le parole usate per definire ciò che diviene reale solo se osservato, chiamato ad esistere nel momento, in quel luogo e poi liberato da ogni determinismo sino a diventare un tessuto inconsistente che regge la realtà. E penso ai giochi di bambino quando tenendo per i capi un telo si faceva rimbalzare la palla verso il cielo ed essa andava, per una imperscrutabile somma di forze e indecisioni, da una parte oppure da un’altra o da un’altra ancora. Infinitamente indecisa prima di balzare e al tempo stesso pronta verso una nuova possibilità. Così immagino la folla di pensieri e di direzioni non ancora prese attorno a me e le mie stesse, mentre il cielo scurisce e si carica di elettricità. L’aria non vuole cedere al temporale. È così limpida e piena di tanti piccoli suoni tiepidi conosciuti, che si basta. Tutto si accorda nell’attesa di qualcosa, il deciso e la possibilità. E tutti, quelli seduti e quelli che passano, presumono di sapere cosa accadrà tra poco o tanto, ma allo stesso tempo sono attenti ai segni, anche se ostentano una distratta noncuranza. Forse per questa arroganza lieve di un determinismo vitale, o per aggrapparsi a qualcosa di ben noto, si ude il cigolio degli ingranaggi del campanile e si sollevano ironici commenti di sollievo perché le cose sanno far ridere se proseguono nelle parole. E qui c’è un eppure che distrae e si scioglie in uno di quei pensieri che sembrano importanti e si vorrebbe appuntare da qualche parte ma che già nell’indecisione del come farlo, si perdono.
Sono schiuma d’onda che disegna e ridisegna, senza lasciare traccia definitiva, ma tra il rumore secco delle chicchere nel secchiaio del bar, le voci dei passanti e il tintinnare di bicchieri, inopinato risuona alto un evviva! con quel tono squillante che hanno i tenori di coro. Tutti si voltano verso l’indeterminato qualcuno che brinda al momento, alla presenza, a chi paga, e forse anche ai seni della barista. Qualunque sia il motivo si scioglie nell’aria il pensiero d’una carta voltata e mostrata, un arcano maggiore, mentre cadono le prime gocce di tiepida pioggia.

ti parlo della vita sobria

Il cuore degli uomini, dev’essere in continuazione costruito e confermato.

E’ una verità ambivalente, ostica al desiderio di certezze e d’immutabilità che ci percorre. Da essa è inutile trarre subito dinieghi, basti pensare a quanto dei nostri giorni è rete di consuetudine e quanto si misura con tempi che non sono nostri per desiderio e che neppure, forse, vorremmo. Basta guardare quanto di noi è paziente costruzione, per capire che il rifarsi del cuore è un impegno costante e necessario. Ci si rende conto che l’educarsi al sentimento, all’affetto, alla percezione dell’altro, è l’opera nostra di costruzione del sé. Che questa s’affianca all’opera che altri, ben più forti ed arroganti, mettono in campo: la famiglia, la società che c’attornia, le convenienze, le regole, sino ai limiti fisici nostri confrontati con quanto si giudica forte, bello, adeguato. Chi non è bello secondo i parametri altrui dovrà scoprire la propria bellezza e di questa convincere il cuore per evitare l’infelicità. Come pure varrà, per la forza e l’adeguatezza, il mediare con l’esterno il proprio benessere, sottoporlo, anche quando questo sia precario, a una serie infinita di aggiustamenti che ne consentano l’equilibrio. E ciò vale per le conseguenze della ricerca al ben stare, ovvero il benessere economico, oppure quello affettivo, od ancora quello sessuale, ciascuno di questi esigendo un compromesso tra ciò che si vorrebbe essere e ciò che si è davvero. E quanto l’essere sia esso stesso un mescolarsi di evidenza e di parti celate, lo sa il cuore che trova in suo punto d’equilibrio nel parlare con sé, mostrandoci ciò che siamo davvero. Superata l’età della sfida, della ribellione senza pensiero di conseguenza, ciò che viene dopo è un’intrecciarsi di forze, di fili che collegano e tengono, ma che se s’ingarbugliano portano verso nuove, intollerabili, prigioni. In questo c’è un dipanare, un pensiero d’ ordine che cerca di plasmare il tempo e darsi priorità, un prima e un dopo, una valenza nelle persone e nelle cose. In questo ordinare interiore c’è molto del fare e dell’educare il proprio cuore. Usare la parola cuore per ciò che sta nel cervello, significa mitigare la lama della razionalità dalla propria insensatezza, il vincolo che ci metterebbe costantemente in decisioni che, proprio per la loro nettezza, prescinderebbero da noi e non sarebbero parte di quella educazione al vivere bene che in fondo fa parte di tutte le aspirazioni e di tutti gli eccessi che comprendano la vita e il vivere. Ma questo cuore, costantemente rifatto e confermato, è quanto di più nostro abbiamo, quanto possiamo mostrarci per riconoscere il nostro tempo e ciò che siamo e da esso partire per riconoscere come abbiamo vissuto e vivremo.

Se un pensiero mi attrae con maggiore forza, è quello che per scelta, semplifica, riporta a sobrietà il ribollire barocco delle vite, l’uso interiore degli aggettivi (ci sono aggettivi interiori che c’illudono, danno la sensazione d’onnipotenza, portano a crederci eterni) che scatenano la meraviglia fugace e la disperdono in infiniti rivoli di senso, tanto che alla fine, d’esso non resta traccia, inghiottito com’è dal predominare delle abitudini e dei condizionamenti, cancellato dalle pulsioni soddisfatte e subito dimenticate, riportato in una perenne eccitazione al fare confuso con l’essere.

La vita sobria è una vita complessa che si scioglie in pensieri forti senza dominio, che si conforma al proprio tempo interiore e c’accompagna in stanze che si liberano di pesi, in archivi virtuali che s’ordinano ed in scelte che quietano.

Il mio rappresentare le vite come poligoni di forze, sempre mutanti in relazione a ciò che improvvisamente diviene importante e tira in una direzione, non è quello che vorrei, perché è un equilibrio che ferma il movimento e trova un compromesso statico in attesa d’una nuova tensione che rimodelli il tutto, ma vorrei piuttosto il conformarsi ad una vibrazione d’onda che percorra il dentro e il fuori, faccia sentire che si è parte dell’universo e di se stessi assieme e che questo vibrare, talvolta, all’unisono, non è solo la felicità, ma la consapevolezza d’essere all’interno d’un mondo al quale ci conformiamo senza subirlo e continuando a crescere. 

Insomma l’uno che prosegue la sua infinita corsa e ricerca che mai non avrà fine ed il tutto che si disvela mostrandosi per pezzetti di scoperta e meraviglia, includendoci e fluttuando assieme a noi.

Non si esaurisce nulla, il processo (il vivere) continua e sapere d’esserne parte rimodella in continuazione il cuore.

estivo salmo laico

Libera i nostri occhi dal calzino bianco nella scarpa nera, dai sandali col fantasmino, dai calzoncini al ginocchio e dalle loro gambe bianchicce e magre.

Suggerisci agli spiriti estivi la libertà della noncuranza elegante che allieta l’anima e il suo trasparire.

Fa che i corpi siano liberi dove possono rifulgere e stiano bene negli abiti che li accompagnano tra gli altri, senza voler loro dimostrare nulla.

Lascia che i colori riposino nel pantone, che gli abiti lascino guardare i visi, che la bellezza trovi se stessa senza voler assomigliare a chi non è.

Difendici dai pois e dai quadri scozzesi messi nei posti sbagliati dai cervelli dei corpi indifesi.

Tieni a bada i forti colori nelle città che si sciolgono al calore delle nuove torride estati e portali in vacanza verso il mare.

Fa che i cappelli siano sbarazzini e sobri, che esaltino i visi, portando la loro luce a chi li guarda.

Fa che non incontriamo persone in costume da bagno nei sentieri di montagna come non incontreremmo bagnanti con scarponi in spiaggia.

Difendi l’estate dei nostri corpi dal cattivo gusto e toglici dal suscitar ridicolo in chi ci vede.

Fa che siamo uomini di scarso giudizio e di grande tolleranza, che gli occhi siano allegri come i pensieri, che il sorriso accompagni ogni sguardo, il silenzio ciò che non si condivide e l’ironia il dir di sé.

Il tempo muta gli uomini e ciò che essi fanno, il sole abbronza la pelle, scolora le cose, decompone la plastica, accartoccia la carta e ciò che essa contiene, rende inutile ciò che prima era importante alla vanità mentre esalta l’ombra e il vento fresco di una finestra che parla con un’altra in tramontana. Rendici consapevoli che ciò che cambia il mondo in peggio deve suscitare ripulsa e non supina accettazione.

Fa che lasciamo tracce leggere con le nostre parole, perché esse, come alito, se profumano di menta e di fresco, rendono più bella la vicinanza e dolce il comunicare.