Un nodo. Come quelli che mia nonna mi insegnava a sciogliere.
(In realtà lei mi insegnava la pazienza e il nodo lo chiamava gropo. Che era cosa meno raffinata e suscettibile di analisi, ma la sua ruvidezza lo rendeva scioglibile. Sciogliere è riportare le cose in un ordine accettabile.)
Solo che questo nodo è dentro e riassume altro.
Cosa include la topologia di un nodo oltre all’evidenza ?
La complessità.
Cioè tutto quello che non si riesce a maneggiare: il futuro, i ricordi, le cose non fatte e quelle, purtroppo, fatte, i no non detti a tempo, il muro dei sì, ciò che si è tenuto a forza e ciò che si è tagliato. Beh, tagliato è una parolona visto che dentro al nodo c’è anche quel legame.
Un nodo tiene assieme e impedisce di andare dove si vorrebbe. Come i cani a catena. E questo nodo non si scioglie. Non con la sufficiente velocità, almeno. E non va né su né giù. È lì a ricordare che solo con le dita che portano al cervello si può agire per non aggiungere complessità.
Il contrario della complessità non è semplicità, ma scelta, errore, pazienza.
Ecco, tutto qui.
Semplice essere complessi, molto meno trasformare i nodi in gropi per scioglierli davvero.
Prima o poi occorre farlo, non c’è alternativa. Buona serata!
I nodi, da noi si dice i grop, in dialetto…i nodi sono tanti avolte e sgrovigliarli non è per niente facile. Da dove si inzia? E dove si finisce?
e che dire dei nodi che per essere sciolti generano nodi. I grop è quasi i gropi, segno che i dialetti sono lingua.
Bellissima riflessione Willyco. Ti consiglio, a questo proposito (e se non l’hai già letto) un interessante libro di Eugenio Borgna “Di armonia risuona e di follia” . La malinconia ( e, nei casi più gravi, la patologia psichiatrica) che produce grandi opere d’arte (sia letteraria che pittorica che cinematografica). Bisogna averlo per groppo (in romano ) in gola, altrimenti tutto si appiattisce (anche se non averlo, almeno ogni tanto, da una certa soddisfazione). “Si tocca il fondo/ quando si diventa indifferenti/ anche al proprio dolore.// Quando ci si aggrappa alla morte/ per ricevere un po’ d’affetto/postumo.// Quando non si ha più niente da ascoltare,/ più niente da dire, più niente da vedere.// Quando una bocca parla/e non se ne sentono più i suoni.// Quando l’indifferenza/ti strappa alla vita/negli acquitrini del nulla.// Quando il disgusto è tanto forte/che non dà spiegazioni.//Quando il dolore tace sommesso/ e annientato dal suo stesso silenzio/diventa come pietà.// Quando hai le braccia distese/e non sai che fartene.// Quando le lacrime si sono rapprese negli occhi.//Quando quell’urlo di disperazione/ è diventato afono/ e tu gridi, gridi/ ma non ti sentono.//Ma continui a sprecare la tua lealtà/ e aspetti nel tempo/ con umiltà.”
Molto bella come immagine quella di accostare il nodo ai groppi che ci portiamo dentro. Certi nodi poi, se fatti veramente bene, non si sciolgono mai.
Grazie Lavinia per il tuo farmi riflettere. Lo fai spesso nei tuoi versi. E grazie per avermi riportato a Borgna, che da un po’ di tempo tossisce per la polvere dei miei scaffali. ,
@E.: Il mito di Gordio e la soluzione di Alessandro mi hanno affascinato a lungo, salvo poi concludere che mi piace più sciogliere che tagliare. Essendo complicato di mio non è che poi nello sciogliere non annodi, anzi, quindi fabbrico nodi che forse è una declinazione del non sciogliere mai.
Come hai ragione… e i nodi in gola?
Ci sono dei noti che tengono, non sono gropi. Sono nodi tessuti con fili lisci, facilmente digeribili con il tempo.
Non si sciolgono, restano a memoria: sono insegnanti di vita
Parli di fili d’oro e d’argento, Marta, quelli che sono un tessuto comune che tiene l’intimità 😊