nostalgie operose

Il pensiero torna a terre che mi sono care,

declivi e bosco ceduo, radi cacciatori, pietre che rotolano con un suono di percossa canna.

Curve verso l’ignoto in strade solitarie e sughere rosse di vergogna ai lati.

Da case che non conosco esce il fumo forte della quercia,

un sedile di sughero è vicino alla pietra che ospita la fiamma.

Ne conosco la consuetudine antica, le rade parole, il seguire pensieri nelle faville che s’alzano e il riposare l’occhio nella brace.

Accanto qualcosa cuoce o s’arrostisce senza fretta e parole mute aspettano.

Di solitudine si muore oppure ci si rafforza tanto da sentire incessante l’onda di ciò che attornia e si sminuzza negli infiniti discorsi delle cose,

dove ognuna ha una sua ragione, urgenza, bisogno d’attenzione,

un dire sommesso, che altrove, frettolosamente, vien chiamato amore.

2 pensieri su “nostalgie operose

  1. Di un’aria apparentemente statica, ferma nel sottobosco brulicante, di legami di roverella.
    Antiche leggende di janas e di dee madri che continuano a nutrire questa terra ancora forte.
    Sempre più soli, isolati, isolani che guardano al mare non più con diffidenza ma accoglienza.
    Usano le potenti braccia delle rocce per custodire e, ancora, il nido di pietre circolari per avvolgere la storia.
    Qui puoi scegliere, sceglierti, la vita che vuoi, che manca ai più. Qui non hai necessità del più quando hai già di meno, quando il pensiero negli anni s’è scrollato di dosso zavorre invadenti.

  2. “Qui puoi scegliere, sceglierti, la vita che vuoi, che manca ai più. Qui non hai necessità del più quando hai già di meno, quando il pensiero negli anni s’è scrollato di dosso zavorre invadenti.”

    Hai descritto mirabilmente il sentire di questa nostalgia che è luogo, persone, ma sopratutto un giungere dell’essere. Grazie Marta ;}

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