auto recensione

Leggo abbastanza addietro e trovo una scrittura puntuta, asciutta. A tratti nervosa. Ricca di insoluti. Un pensiero che borbotta tra sé e poi esce per incontinenza. Più sotto, sento il raffrenarsi perché dire troppo non conviene mai. Spesso le chiusure si sospendono, lasciano i compiti per casa, le soluzioni aperte. E cosa c’è di meglio di una chiusura che apre?

Gli aggettivi non ridondano, c’è una ricerca delle parole nella memoria, non nel vocabolario, si sente che esse portano ad altro e affascinano. Mancano, o sono rare, le similitudini e quindi è attenuata la voglia di trarre un insegnamento generale dal particolare. L’aforisma però è presente, la sua asciuttezza ammalia lo scrivere. È pur sempre un po’ moralistico, ma ha la funzione di mettere in ordine le idee e aiuta chi si contrappone: a nettezza si risponde con nettezza.

Complessivamente è il giorno a fare da padrone: ciò che accade urge e trabocca. C’è un piacere nell’urgenza, ovvero quello del consumare perché il tempo lineare non concede ripetizioni. Emerge la necessità di avere più tempi a disposizione, e lasciare che ognuno possa dare ciò che può. Sono scritti notturni o diurni, formazione che è salita, con gioie e fatiche inattese. Insoddisfazione, che implica necessità di soddisfare. Perfezione e innocenza per andare oltre alla realtà, così imperfetta e complicata di colpe non sue. Autoironia e consapevolezza dei limiti messi in una tensione febbrile, vissuta molto più dentro che nelle parole che anzitutto parlano al sé. Priorità, per fortuna, alterate rispetto a ciò che conviene ed è utile. La ricerca di un equilibrio non è pace, ma oltre. E in questo oltre c’è il futuro.

il fine del dolore

Che ne diresti di respirare un po’ d’aria pura, o almeno diversa, da questi miasmi in cui ti rivolti da anni? Il tuo dolore costante, esibito, è ammantato di thanatos, è nutrito di psicofarmaci, si rivolta su se stesso trovando sempre le sue ragioni per esistere. Ma quali sono le tue ragioni? Davvero vorresti star bene oppure c’hai definitivamente rinunciato? Il dolore è un bozzolo forte e caldo, come la percezione di vivere nella sfortuna, alimenta una diversità che è comunicazione. Spesso è arrogante questa comunicazione, ha un solo oggetto importante: il dolore sentito. E’ anche violento perché esibisce il lato oscuro che tutti abbiamo in misura più o meno grande, ma è fragile perché oltre il momento in cui avvince allontana.

Forse è la solitudine che vuoi, il far largo attorno: o partecipate della mia pena oppure non mi considerate davvero e quindi meglio che non ci sentiamo, vediamo, parliamo. Credo che la solitudine in questo caso non consoli, ma sia la verifica voluta del proprio star male, un modo per star male di più. Ma è davvero questo che vuoi? Star male indefinitamente? Non dirmi che non capisco, però nessuna guarigione è possibile se si cura solo il sintomo, nessuna speranza oltre un ripetersi di pastiglie, ritualità che diventano i punti nodali della giornata. Ansiolitico, altri farmaci per le reazioni psicosomatiche, sonnifero. Non vorrei tu smettessi, ma che fosse un percorso verso una liberazione dal dolore di vivere, verso una luce. Il fine del dolore non è forse la sua fine?

Lo so che hai pensato e pensi, non di rado alla morte, ma so anche che sei nella vita, la coltivi, la speri. Te lo dico perché i suicidi hanno una disperazione diversa dalla tua e un dolore innominabile (e tu invece ne parli diffusamente), perché nel loro approfondire si trovano di fronte alla morte come negazione del dolore di vivere. Ma la loro ricerca non è la tua, non hanno più spiragli e neppure voglia d’essere capiti. E’ una solitudine estrema dove qualsiasi presenza diventa eccessiva, con una comunicazione che neppure parla e resta la sola presenza. Ma non sono assenti, si interessano, hanno amore, i suicidi, solo che non c’è più speranza e neppure  desiderio d’essere commiserati, anzi è proprio il contrario e quando non desiderano più essere amati hanno varcato la soglia.

Tu puoi farcela, ma ora come un tempo dipende da te, dal tuo sorriso, dalla capacità di non accettare quella che sembra essere una condanna e non lo è, non è il tempo che ti toglie vita, ma sei tu che te la togli. Lo so che è difficile, ma non sei sola se superi il confine del dolore, prova a pensarci.

p.s. lo so che non leggerai, potresti dirmi, ma allora che scrivi a fare? Quello che ho scritto te l’ho detto a voce, magari le parole non sono state le stesse, è passato tempo, però le ho ripetute. Non ho nessuna verità né qui, né su altro, ma ciò che ti imprigiona l’ho visto altrove. Non era lo stesso, però era sovrapponibile e questo mi convince che non sei solo tu ad essere così. Altri stanno meglio, altri restano nel dolore, ma non vale per tutti,  e sarebbe bello che tu facessi un altro tentativo. E poi un altro ancora, caparbiamente, fino ad aver ragione. La tua non la mia, ovviamente.

dizionario personale: comunicazione

Nel più grande giacimento di parole creato dall’umanità, basta avere la coscienza che non resta nulla, o quasi, di importante.

Ciò che scrivo su questo blog è quindi, prevalentemente per me, non cambia chi mi sta attorno, al più, come ogni scrittura, cambia me. Se parlo di politica, di entusiasmi, di sentimenti, di cose che mi colpiscono, sento il limite che esiste nella comunicazione: cerchiamo negli altri dei pezzi di noi stessi. Oppure ascoltiamo e ancora cerchiamo pezzi di noi in quello che sentiamo. E così nel leggere, nei film, a teatro, è un continuo ricercare tracce ed immagini di noi in quello che ascoltiamo, vediamo, leggiamo. Come se fosse con noi la comunicazione e coincidesse con la nostra vita in cerca di conferme.

Ogni tanto qualcuno mi dice che sono incommentabile ed è una conferma di quello che penso: ciò che trasmetto è uno scrivere pensieri che neppure si cura di essere chiaro. Ma non può disperare chi accetta di essere letto perché è un illuso che conserva la speranza nella forza salvifica della parola: il ponte che attraversa l’abisso di due mondi separati. Quando questa sensazione passa,  allora subentra la consapevolezza che mi scrivo addosso e che la sua utilità è capire un pezzetto di più. Non è nè poco nè  tanto: è il limite e basta esserne consapevoli.