Elogio del piccolo

Le cose che facciamo non sono quasi mai importanti in assoluto. Non per tutti almeno, e non allo stesso modo. Però continuano ad essere per noi importanti, e ciò che riguarda molti, si allontana da noi, come superfluo. Sembra che ci sia stata tolta, chissà quando, la possibilità di essere davvero attori di cose grandi che riguardano tutti, e che il futuro comune si sottragga alla nostra possibilità di influenza, al più, pensiamo, di subirne le conseguenze. Così si torna al nostro piccolo importante, anche per fuggire sensazioni d’impotenza o d’inutilità.

L’opinione sulle proprie capacità cambia con queste sensazioni, anche se i principi restano, non si spiegherebbe altrimenti il rientrare di molti, per stanchezza prima che per comprensione o età, all’interno di silenzi collettivi. Se poi le sconfitte sono state così ripetute e forti da far rintanare la voglia e la fiducia di poter influire, allora subentra la consapevolezza che ciò che facciamo può essere importante a noi e a chi ci sta vicino, ma che non abbia altri effetti che in noi stessi. Si perde una dimensione e se ne enfatizza un’altra.

È bene o male?

È così, e però non vorremmo negarci un modo per rappresentare la nostra singolarità e per proiettarla verso l’esterno. In fondo il discrimine è tra atti pubblici, che riguardano altri, e atti privati, che riguardano noi, e lo scrivere, il dipingere, fotografare, fare giardinaggio o qualsiasi altra cosa che per noi abbia importanza è un messaggio privato, sintetico, che descrive una singolarità complessa, ma a suo modo esplicita, fatta di cura e di rappresentazione. E così il piccolo cessa di essere tale e diviene grande, perché ciò che facciamo ha sempre una sua grandezza. Forse ci rattrista un poco che questo modo piccolo di esserci, non venga colto, che si pensi ancora di prenderci in giro raccontandoci storie sulla capacità di fare cose grandi assieme. Epperò nessuno le addita più, si mette insieme a noi a costruirle, non si considera che sono tanti piccoli comportamenti a costruire il cambiamento vero. Si preferisce il racconto del futuro che magicamente si compie piuttosto che farlo. E tutto questo diventa rumore, chiacchiera.

Ecco, il nostro piccolo importante include l’amore, non la chiacchiera. Non è difficile capirlo

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