semplicità

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Semplice non è buono, ma fa bene. E quindi aiuta. Sulla terrazzetta il verde aumenta, chiede acqua e una piccola attenzione. Le aromatiche ringraziano. L’elicriso, la menta, il basilico si sporgono arditi e curiosi verso la piazza d’aria tra le case. Lavanda e timo, più contenuti, osservano. Il ribes nero cresce lentamente, le sue foglie verdi e forti, partecipano alla confusione di profumi. Eppure sono distinti, quando la notte, nell’innaffiare, passo la mano e me ne viene una nuvola intensa, che penso amica. Non come la seppia che schizza il suo nero, ma la risposta a una carezza col buono che si ha.

Il pomodoro cresce nei frutti, lascia sulle mani un odore forte, di verde sapore selvatico; l’ultimo cespo d’insalata si nasconde tra due piante di peperoncini piccanti, ciliegini, ora provocanti nel frutto rosso che avvampa. Oltre, i due girasoli crescono, il rosmarino per suo conto, il rafano potente, i piccoli garofani e qualche pianta grassa. I bulbi sonnecchiano assieme a due cespuglietti un po’ stenti di lantana.

La vita semplice è verde, l’avete mai notato? Ed è pure generosa perché restituisce molto più di quanto riceve. 

pulviscolo

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Dopo aver arieggiato la casa di primo mattino, venivano accostati gli scuri delle camere fino a lasciare una lama di luce e d’aria. Attraverso quella fessura, le cose all’esterno,  diventavano puro colore. Anche quelle usuali e sciatte, pur viste mille volte con distrazione, diventavano nuove e misteriose. E attraverso quella lama di luce diventava chiaro un universo danzante di pulviscolo: nell’aria apparentemente immota, s’ agitavano cose sconosciute.

Ero incantato. Saggiavo  la luce per sentirne il calore. Agitavo l’agitato cercando di scompigliarlo. Muovevo le mani piccole e poi mi fermavo: erano quei minuscoli riflessi che rimettevano in riga me, catturandomi per incantamento. Vivevano, loro, dell’ aria che non sentivo.

Poco lontano, oltre la penombra, le voci care, parlavano piano, perché d’estate anche la voce sembra fare caldo.

A volte bastava un filo d’aria per gonfiare le tende e sentire un fresco che non sarebbe durato, ma sembrava l’eterno cambiare in bene la fatica.

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Gli ho detto: tientelo il tuo hardware, mi va bene il mio.

e lui di rimando ha sghignazzato senza mettere la mano sulla bocca, non riusciva a respirare da quanto rideva e mi guardava con le lacrime agli occhi, dicendo:  Sai cos’è che faccio io, mi tengo tutto e tu amico caro sarai nella merda. Sei già nella merda, ti faranno il vuoto attorno, non ti vorrà nessuno, non ti piscieranno neppure addosso, semplicemente non esisterai più.

Non mi impressioni, continuo con quello che ho e neppure voglio il soft, resto così, per i cazzi miei.

Non ci sei con la testa amico, tu non resti, semplicemente non sarai più.

Io sono un cane sciolto, ma tu non sai cosa vuol dire. Anzi lo sai, perchè un tempo ti convincevi che i cani sciolti erano pericolosi. Inefficaci e pericolosi nel loro deviare dalla moda, dagli obbiettivi collettivi. Ti davano fastidio anche allora, perchè non avevano pensiero comune: traditori, ecco cos’erano per te. Sono ritornato un cane sciolto e cerco i miei simili.

ospite sgradito

E’ arrivato, senza essere invitato, sotto mentite spoglie, non gradito, nè cercato. Subito ha alzato la voce, indisposto, rallentato i lavori di casa e poi, non contento, ha infastidito, impedito. Mentendo senza ritegno, su ciò che vedeva, trovava, incontrava, ha sporcato legami consolidati, interrotto relazioni, mi ha fatto disconoscere, demolire, cancellare ricordi e contiguità.

L’ho studiato e con gentilezza, accompagnato all’uscita, riottoso s’è rivoltato, solo allora ho spinto, inveito, maledetto. Non ne potevo più e ho cercato di sopprimerlo, non più ospite sgradito, ora nemico. E lui? Si è nascosto, mimetizzato e quando l’ho stanato, vantando la propria invincibilità, mi ha sbeffeggiato, deriso, intimidito. Finchè alla soglia dell’esasperazione, ho deciso di sterminarlo, incurante degli inconsapevoli, degli innocenti, ovunque si trovasse. E come per magia è scomparso, si è fatto prendere, ma era un simulacro, un guscio vuoto. Adesso temo ricompaia, che spunti devastando, mentre scruto inquieto ogni giorno, davanti, negli angoli, ovunque qualcosa si muova.

Ah scordavo, il nome l’ha lasciato: xp antivirus protection 08

alludere

Non sentite le rotondità cilindriche nascoste sotto la parola?

Per questo me la sono fumata e adesso, in attesa, guardo il cielo.

Preparazione accurata: l’ho presa tra le dita e messo piano le parole, distribuendole con cura uniforme, poi ho arrotolato. L’allusione era giustamente cedevole, pronta ad essere chiusa con la lingua umettata. Fatto.

L’ho guardata ed annusata, prima di accenderla: bella, artistica, professionale. Aspirando con soddisfazione, ho colto segni nuovi nell’angolo del muro. Quasi scrittura. Chissà chi scrive sui muri e cosa vuol dirci?

Boccate lente, a chiudere, aspirando. E gli occhi si aprono con la mente: l’allusione non delude, solo finisce, lasciando il senso del percepire altro. Cosa si percepisce, non è chiaro, c’è qualcosa che sfugge appena, ma se mi sforzo la capisco. Poi sarà tutto più chiaro, solo che adesso non ho voglia.

E’ una piccola superiorità senza danno, l’alludere, come la femminilità che fa credere all’uomo di essere un metro avanti e ti sorride mentre sarai sempre una spanna indietro.

L’allusione è specchio, ma se non metto la persona davanti allo specchio cosa vedo riflesso?

Roma è perduta, questa discesa non finisce e gli specchi sono desolatamente vuoti.

 

l’amore al tempo della destra

L’ho riletto sussurrando il suono, ma fate come credete. 

Girolamo Frescobaldi: toccata 5, secondo libro: ” non sanza fadiga si giunge alla fine” , ma per Lui ne valeva la pena, questa è solo fatica

 

Pensavo: è come vivere al tempo di guerra. Non nella guerra, al tempo di guerra. Pensavo. Ma che cos’è una guerra. Neppure io lo so bene. Pensavo. Sono nato dopo la guerra che però c’era nella mia vita di bambino. Pensavo. Ho giocato con la guerra: pareva tornasse presto e c’era paura. Pensavo. Ma che ne sanno quelli della guerra e dei padri, che raccontavano la sera in dialetto. Pensavo.

Mia nonna era dell’800, aveva vissuto due guerre, persi tanti Amori. Pensavo. Era vissuta in Svizzera sul lago e poi in Germania con l’impero, è con Lei che sono cresciuto. Pensavo. Con Lei, educata da persone nate nel lombardo-veneto, i cui padri era cittadini della Serenissima. Pensavo. Sono anch’io dell’800. Pensavo. E allora che cazzo ci faccio in quest’auto, di mattina, con i sogni, gli amori, il ’68 e quello che c’è stato dopo, pensavo. E le battaglie in piazza, il cambiamento, è tutto vivo e presente? Pensavo.

Sempre la stessa gente intorno. Pensavo. Non li capisco, hanno votato tutti per la lega e berlusca e mi chiedono di aumentargli lo stipendio, di avere prospettive. Pensavo. Questi vogliono soldi, non prospettive o regole. Pensavo. Sono già in guerra loro e non lo sanno, pensavo, sentono solo l’odore del sangue. Pensavo. 

Sono stanco di cibo e di pranzi fuori, tutto troppo. Pensavo. Anche oggi parleremo delle solite cose, di lavoro, donne, auto, fallimenti. Nulla di nuovo, solo noia. Pensavo.

Cosa mi serve per volare? Voglio volare, pensavo. Cosa mi serve per correre? Sono fermo. Siamo fermi. Pensavo. Siamo fermi e rispettosi e lo prendiamo in culo. Pensavo. Tutto questo è già successo. Ma era diverso. Pensavo. Perchè questa cosa mi dà fastidio? Pensavo.

Perchè non c’è speranza, perchè ho degli amori sconclusi, perchè il lavoro non mi interessa più. Pensavo. Ma non sto male. Pensavo. Com’è l’amore al tempo della destra? Pensavo. Uguale a prima, non cambia nulla. Pensavo. Le faccende mie non le ha mai risolte il governo. Pensavo.

Non è vero l’amore senza prospettiva, cambia. Pensavo. E’ come vivere al tempo di guerra senza guerra. Si consuma senza impegno, perchè il domani è incerto. Pensavo. Ricordi  la “Storia” della Morante e di come lei resta incinta del tedesco, senza parlare, nè godere. E’ così che accade, pensavo. 

Chiuso nella mia auto, ascolto Kleiber e lo amo, pensavo. Ma a chi la racconto l’emozione forte? Pensavo. E dove portare questa gioia che trabocca. Pensavo. Sono più solo, pensavo: non comunico entusiasmo ed il mondo perde colore. Pensavo. Stiamo tutti male e l’infelicità trabocca, esce da sotto la porta e siamo chiusi in bagno. Pensavo. Non chiama più nessuno, pensavo.

Sono dentro un fiume in cui bisogna nuotare e far fatica per restare allo stesso punto. Sarà per questo che il personale è diventato politico. Pensavo. Le mie storie: sono incasinate stamattina, proprio come ieri. Nò di più, ma fuori non pare, con uno sberleffo di insoddisfazione, penso di star bene. Pensavo. Non ho una prospettiva di uscirne e cerco di sopravvivere, pensavo. Guido la mia auto nel traffico: ascolto la radio, metto musica, penso ad altro e guido. Senza gioia nel guidare. Pensavo. Penso a far l’amore, ma questo è bello. Pensavo.

Non voglio far l’amore perchè non c’è altro di meglio. Pensavo. Ovvero, è il meglio a portata di mano. Pensavo. O forse fa parte del meglio. Pensavo. Ma la vita non è solo fottere. Pensavo. E’ anche amare, sorridere, correre senza motivo. Pensavo. Non voglio pensare all’utile, non nei sentimenti. Pensavo.

Sono quasi arrivato. Pensavo.

Dove sono arrivato? Pensavo.

libeccio

Il libeccio ha battuto sulle imposte per tutta la notte.

Le case degli uomini, lo devono infastidire, abituato com’è a rocce, alberi ed erba. E prova a consumarle, a far volare tegole ed appiccicare carte e rami sui muri. Ostenta indifferenza, danza con le cose, per suo conto, ma intanto toglie ragione agli uomini.

Un messaggio al telefono ha definitivamente cacciato il sonno, ma non ho acceso la luce. Guardavo Il piccolo schermo che lampeggiava ed intorno c’era il buio. Sei distante, il tuo pensiero si allunga per toccarmi ed accende questa lucina, come una carezza. I messaggi nella notte sono merce riservata ai baratti d’amore, stabiliscono connessioni a banda larga, fatte di desiderio e struggimento.

Fuori il vento urge e punteggia la tenerezza di te. Mi lascio prendere: i pensieri respirano con il libeccio e scivolo nel sonno che ci accumuna.

singolarità modali

La conversione di Magdi Allam e la ecclesia che ostenta e trionfa: dopo il protestante Blair, il mussulmano scrittore. Di converso, il prete di Trento che fa la colletta per la moschea dei musulmani immigrati, viene diffidato dal vescovado. E’ lo stesso mondo fatto di soluzioni puntuali: mónadi di esemplarità in un agire coerente. Non arrabbiatevi agnostici, laici, atei, cattolici di frontiera e varia umanità, è nell’idea di chi possiede la verità, esibire ciò che rafforza la sua supremazia. Ma con la stessa mano, questa verità, provvederà a reprimere ciò che crea la contraddizione, la molteplicità delle verità. Meglio, comunque, queste conversioni piuttosto che quelle sul letto di morte, vi ricordate di Gottuso? La chiesa scientemente opera per situazioni esemplari al fine di rafforzare un pensiero medio. Ma che fa la laicità teorica ed imbelle? Lascia che anche nella politica, il pensiero uniforme prevalga.  Il cambiamento che poggia sulla ereticità viene disincentivato e ciò che rallenta il nuovo, viene favorito. Non ci sono schieramenti netti divisi su questo, come se il secolo procedesse solo sulla tecnologia e la società si fosse fermata. Anzi quest’ultima, spesso arretra, spaventata dalla propria crescita. Oggi il pensiero individuale è un bene prezioso e negletto, che crea la differenza e chiarifica: pensare singolarmente è un atto d’amore verso sè stessi e verso gli altri, arduo come tutti gli atti d’amore.

del parlar carinamente

Wolfang Amadeus M. mandava lettere e biglietti alla moglie Costanza, riempiendola di soprannomi, di dolcezze verbali, di giochi linguistici e nonsense che suonavano bene: tutti nel contrappunto di carinerie e dichiarazioni d’amore. W.A. amava le donne, nel senso letterale del termine eppure parla di sé come di un maritino fedele: non c’era contraddizione, si usava. Anche adesso.

La mia tesi è che l’eccesso di carinerie nasconda una difficoltà ad affrontare le proprie paure, le insicurezze, la sessualità difficoltosa. Come nella concretezza e crudezza per esorcizzare la timidezza, si enfatizza una parte di sè.Nell’eccesso di dolcezze è come fosse necessario un velo per rassicurare e non dire ciò che si dovrebbe e cioè che le cose non sono davvero così stabili. L’altro è un completamento indispensabile, ma come una tavola a cui aggrapparsi più che un altro io, con cui navigare, condividere e confrontarsi.

L’insicurezza, la difficoltà del rischio di perdere sono avvolti da una nebbia di tenerezze e parole. Vuote? Solo in parte, perchè c’è molto, ma manca la forza di diventare adulti davvero.

Non è un giudizio di valore, si può restare adolescenti per sempre ed essere felici. Chi l’ha detto che bisogna per forza crescere.

uccelli di laguna

svassoIeri, al mare, due uccelli nuotavano nel tramonto. Ogni tanto sparivano in cerca di cibo sul fondo, per riapparire dopo un tempo che pareva lunghissimo. Più d’un minuto, è tanto, per polmoni piccoli e coraggiosi, che cercano anche a 6 metri di profondità.

Nel mare viola e arancio, il pensiero è corso alla similitudine della scoperta del sè, con la vita in superficie, allegra o triste, ma apparente e la ricerca del sè nel profondo. Il cibo per noi è lì sotto ed è quello che ci permette di vivere ed apparire . La maestria e l’arditezza con cui un uccello si immerge, è ciò che vorremmo nel percorso iniziatico alla nostra comprensione.

La leggerezza è nel prodotto di questa semplicità e rischio della ricerca: essere, finalmente senza sforzo, nutriti nel profondo.

Mica facile.

L’uccello è lo svasso maggiore e si arrabbia se lo si chiama folaga.