Credo che la bellezza non dipenda dall’amore,
ma che esso, solo, la evidenzi,
credo che la luce non abbia segni
al più mostra l’ombra per apprezzarla meglio,
forse tu parli della felicità,
altra cosa, che entrambi sappiamo fugace
e ripetitiva,
come l’amore, quando lo si lascia irrompere.
La bellezza resta e l’amore si spande attorno,
vestiti e terreno ne sono bagnati,
come in una corsa con un catino d’acqua sulla testa
dove conta arrivare
e ridere per quanto sta accadendo,
ma la bellezza resta
anche quando il terreno s’è asciugato.
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ci doveva essere del bello
“Gli uomini cercano il bello, perché la bellezza ricorda loro vagamente il buono. L’arte racchiude una bontà che rischia altrimenti di sparire.” Ulf Peter Hallberg: Trash europeo.
E’ più facile cercare la bellezza nelle cose, nei ragionamenti scritti, piuttosto che nelle persone o nelle situazioni. Anche la razionalità solo nell’attimo acuto della dimostrazione del vero oggettivo ha una sua bellezza assoluta, ma poi degrada nelle singole verità e nella competizione. Diventa brusio del vero. C’è molta più bellezza in dialoghi che evocano e che all’apparenza sono sconclusionati piuttosto che in ragionamenti che cercano di portare la ragione da una parte per interesse, arroganza, intrinseca debolezza.
E ci doveva essere del bello in ciò che accadeva, nelle cose che venivano dette, nel succedersi di parole così piene di umori gettati contro qualcuno, contro un’idea, contro le pareti, il soffitto, visto che anziché guardare negli occhi spesso veniva fissato ciò che stava oltre. Doveva da qualche parte esistere una bellezza che ricomponeva uomini, parole, conseguenze. Se si fosse fermato il momento in una fotografia si sarebbero guardati i visi, i gesti, la noia, la tensione di alcuni, il disinteresse di altri. Ciò che portava quelle persone in quel luogo, e le teneva assieme, era uno scopo comune. Solo che ciascuno aveva una propria idea dello scopo, idee e obbiettivi, anche personali, differenti. Il legante era che altrove la possibilità di un successo, di un riconoscimento della giustezza del proprio sentire, si sarebbe affievolita, sarebbero tutti diventati singoli e soli.
Se c’era una bellezza in quell’esile tenere assieme era difficile farla emergere. Forse per questo sentivo l’ineluttabilità del decidere l’altrimenti da ciò che pensavo, e così speravo finisse presto. Perché comunque la fine è un inizio, comunque è una consapevolezza maggiore, comunque se non insegna, almeno riporta ordine alla possibilità e riapre al sogno. Perché prima di ogni cosa che contenga bellezza c’è un sogno, e nel farsi quel sogno deciderà se contenere ancora il bello oppure attraverso la delusione, puntare oltre. Sognare di nuovo e riprendere il bisogno di una bellezza che si vorrebbe tenere, ma sfugge, com’è giusto sia, perché non c’appartiene. Non appartiene. Il massimo a cui possiamo aspirare è condividere la bellezza. Nulla di più, il resto è al suo servizio.
lettera alle donne che conosco
Le donne mi affascinano da sempre, ma l’ammirazione è altra cosa e quindi va riservata. Non mi piace la differenza di genere eppure sento che esiste davvero. Mi è naturale pensare alla parità, ma so che non basta dirlo e che il maschio ha molto da cambiare assieme al farsi perdonare.
Non mi piacciono le ricorrenze, però l’8 marzo è cosa d’altri e sapranno bene che farne le interessate.
Stamattina pensavo alle donne fondamentali della mia vita, perché un uomo comunque non prescinde da questa coscienza del femminile. Pensavo a mia nonna, che nata nell”800, aveva viaggiato molto e chissà cosa aveva visto, che si muoveva da sola, ma non entrava in un caffè e tanto meno in un’osteria, se non accompagnata. Pensavo a come tutto fosse -ed è – tenuto assieme, ben oltre i disastri, dalle donne. Mi veniva in mente la loro marcia che ho visto, e gli scossoni, i ripiegamenti, gli errori, le lacrime, perché le donne hanno fosse lacrimali profonde che contengono la dignità. Parola abusata almeno quanto le donne e non a caso di genere femminile, ma che contiene l’essenza di un uomo.
Capivo che le donne contengono la parola, che non hanno bisogno di usarla sempre, che hanno una natura aliena per gli uomini, che capirle è una pazienza da trovare perché mai si conclude. Ma tutto questo era ancora poco per spiegare il fascino e l’attrazione, come se dovessi rassegnarmi a non capire appieno, ad accettarlo ed esserne sconvolto, pur rimanendo uomo. Ad esempio, quando vedo donne sole, o in compagnia tra loro al bar, sono incuriosito, ammirato. Guardarle è una bellezza che dà piacere, non so cosa dicono, ma capisco ora che è qualcosa che non riuscirò mai ad eguagliare nella confidenza e nella comunicazione empatica. Non so se questo sia comprensibile per una donna, non si tratta solo vedere la bellezza fisica, ma quella di un altro mondo che si mostra e che convive con il mio.
I tempi mutano, questo parlamento è ricco di donne, come mai prima, forse è ora di avere un presidente del consiglio donna, un presidente della repubblica donna, forse è ora, basta che le donne ci credano. Gli uomini sono abbastanza inermi nel gestire il potere immeritato che hanno, alzano la voce, a volte sono violenti, ma sono deboli, capiscono che non hanno possibilità logiche o intellettuali per opporsi e soprattutto hanno paura. Paura di una visione del mondo, delle priorità, che non coincide con la loro. La “questione” femminile non è cosa da uomini e questi lo sanno, tanto da aver dirottato sul tema della parità le questioni da risolvere. Non basterà quindi avere il potere, ma esercitare la visione particolare che se ne ha. Non amo molto le distinzioni basate acriticamente sulla differenza, ogni bandiera contiene qualcosa che occulta altro, ma vedo e sento la differenza. Vorrei solo che questa diventasse un modo di vedere condiviso, qualcosa che arricchisca entrambi. Solo che raramente è così e spesso la differenza è il recinto, una difesa, in cui si chiudono le donne, dove gli uomini non possono entrare perché incompatibili. E siccome non credo sia così, allora penso che la differenza arricchisca se viene condivisa, accettata, capita e se poi la differenza generica si sostanzia nella singolarità, diventa unicità. Vale anche per gli uomini. Che saranno e resteranno egoisti, sopraffattori, infantili e affezionati alla loro nascita, timidi, tracotanti, complicati, disarmanti, perfidi, ingenui, affascinanti, predatori e prede, forti e incapaci. Ma quante di queste qualità saranno condivisibili, migliorabili, modificabili e non semplicemente scambiate tra generi se la contaminazione dei mondi non avverrà? Quanto potrà diventare gene recessivo se non riconosciuto come tale da entrambi?
Se penso alla vita, e non parlo solo di biologia, non riesco a immaginare un mondo che evolva e che proceda senza le donne protagoniste. Non riesco a immaginarlo e sono dipendente da questa consapevolezza, perché qualsiasi progetto inclusivo del genere femminile, lo sovverte, lo modifica, lo accelera o lo blocca, semplicemente perché irrompe un modo diverso di vedere le cose. Non è sempre giusto ciò che proviene dalle donne, ovvero, non è giusto per tutti. Non sempre un capo di stato donna, introduce elementi di innovazione e di cambiamento che assomigliano a quelli che ho in testa, ma so che anche la destra, la conservazione, al femminile, ha un altro sapore rispetto a quella degli uomini, che sarà meno acuminata, meno settaria, più attenta al sentire e ai sentimenti. Anche il diverbio, il confronto diverrà più acerrimo, ma più chiaro, la pace più netta, gli interessi meglio definiti. E’ un altro modo di vedere che può coincidere con fatica e pazienza tra generi e qui mi torna l’immagine di mia nonna, che mi prendeva per mano e mi mostrava le cose, diceva le cose che vedevo, ed io, allora, vedevo con lei. Anche le parole vedevo insieme e diventavano mie, e così io ho le parole di mia nonna per descrivere il mondo essenziale, per sentirlo. Quel modo di vedere si è ripetuto nella mia vita, ma meno da parte maschile, perché non c’era tempo, l’attenzione era un lusso rispetto alla velocità, alla fretta di fare. Da parte femminile, invece, ho sempre ricevuto tempo, ho compreso che le donne donano tempo perché sanno cos’è la vita, l’attesa, e dalle donne davvero importanti per me, assieme al tempo, ho ricevuto modo di capire, di vedere diversamente e molto amore. Per questo le ammiro e l’ammirazione se diventa condivisione, non ha gerarchia, non mi sono mai sentito più in basso, ammirandole, solo preso per mano e capito.
Grazie.
croisette
Visti dalla terrazza del Palais, sembrano stormi di passeri in inverno. Uguali, neri, avvolti d’abiti firmati nel vento di marzo. S’aggregano a crocchi e disputano chissà quale becchime. Quelli indietro, chiedono insistenti: chi è, cosa c’è, da quando? Ma nessuno risponde. I primi si serrano, discutono animatamente in più lingue, ridono. E bevono. Santoddio, come bevono. Per tre giorni è una continua bevuta. Gole assetate che tracannano champagne, vini spagnoli, italiani, cileni, francesi. Senza sequenze, nè logiche. Solo i tedeschi sono veramente democratici, cominciano con la birra, dopo il vino, finiscono con la birra. E ruttano e ridono, con occhi tristi, perchè chi comincia a ridere è contagioso, ma sa che non c’è nulla da ridere.
Ad ore canoniche i crocchi diventano sciame, si dirigono verso alberghi, ristoranti, pulmann, limousine a nolo. Ed inizierà l’orgia del crudo: ostriche, scampi, crostacei e conchiglie, tra chiacchere, donne e preoccupazioni. Anch’esse crude.
Non funziona, perdio, non va nulla. Hai visto gli arabi, non ci sono più, restano i russi, i coreani. Neppure i giapponesi si son fatti vedere.
E’ diventata una sagra, piena di parvenù, con un sacco di progetti e niente soldi. Non vale i costi, noi veniamo solo per far capire che non siamo morti.
Che dici ci si vede l’anno prossimo?
… saremo rimasti metà dell’anno scorso…
E i passeri diventano falchi, sono pronti a bersi le uova per sopravvivere.
Visti dall’alto si aggregano, sciamano, parlano. Soprattutto parlano. Non sperano, cercando di vivere, aspettano che passi.
Oltre la strada, lungo la Croisette, nella piazza i pensionati giocano a bocce, altri guardano o camminano, cercando di svernare bene.
I ricchi scivolano sulla confusione e neppure scuotono il capo: sono trasparenti i passeri. Dopodomani se ne andranno e il casinò tornerà decente.
In fondo la Costa Azzurra è l’unico posto democratico, dove un’auto da 150.000 euro, guidata dal bello di mammà, sparisce a fianco delle Bentley e mentre il nostro si guarda smarrito, basta dire indifferenti: qui sei nessuno e non sono arrivati i comunisti, è il capitalismo, bellezza.

