la misura geometrica dell’amore

Un’amica rifletteva sull’amore, e pensando a come andavano le cose, diceva fosse cosa sempre doppia per aver titolo d’esistere. E ancora poneva il fatto che dentro questa parola ci fossero le identità che si trovano, integrano, fondono.

Anche, ho pensato.

Però mi pareva che l’amore fosse pure un segmento che unisce due estremi e che nell’infinita serie di punti che li congiungono, ciascuno si potesse trovare, nella misura e nel senso. E a volte l’uno sorpassava l’altro, altre mancava un pezzo, ma ciò che contava era il fatto dell’andare verso l’altro e che il segmento fosse comune.

E poi la discussione è continuata.

tu per me sei l’Asia

Pensa all’incontro della sera. Ai luoghi che conosce così bene. Alla case con le scritte sui muri. Ai respiri che da esse provengono per antiche conoscenze. Le ha detto.

Tu per me sei l’Asia che sfocia nel Pacifico e nell’oceano Indiano, le vie che contengono la seta, il mistero delle lingue che si trasmettono e mutano. Un immenso bivio di colore e senso. Sei ciò che si vede e che si lascia vedere. Ciò che si concede. 

Guardandosi attorno sente una sensibilità assoluta. Come si fosse fatto d’una strana droga. L’utile si scioglie nell’inutile. Ne sente la potenza passionale fortissima. Potrebbe contare i fili d’erba nei vasi, separarli dai fiori che verranno, cogliere la magia del verde che si fa colore per qualcosa di sconosciuto. Non è solo vibrazione d’onda, è altro quando viene smosso dal vento. È complemento oggetto di qualcosa di misterioso che è insieme parte e tutto. Dimostrazione d’alterità. Capisce cosa deve provare uno scienziato di fronte all’ultimo passo che poi apre a una scoperta: una porta che si spalanca e una luce che entra. Sente l’impazienza del nuovo che sarà seguito da una pace serena, un distendersi e lasciarsi andare nella fiducia. È lo stato di grazia, questo, si chiede? L’attesa può essere parte dell’incontro? Gli sembra di sì. E il pensiero si adagia e si sospende nel vedere. 

Sento il mistero che si svela. Non per mio acume e merito. Non per ragionamento, ma per sensazione e fiducia. Ciò che puoi dirmi è parte di ciò che realmente mi racconti e in questo mi sento privilegiato dalla vita, da ciò che accade. Mi sento accomunato ai tanti che hanno sentito e sentono diversamente ciò che a loro accade. Ricordo un pezzo di strada solitaria molto distante da qui. Potrei sovrapporla ad altri momenti in cui mi accadde la stessa cosa. È quella sensazione di essere già stato in un posto che tutti abbiamo provato almeno una volta. O almeno spero che sia davvero così per tutti, altrimenti ci si dovrebbe preoccupare, che dici? Sorride. In quella strada c’erano cose che non facevano parte delle solite esperienze. Piante non usuali, il paesaggio attorno, la consistenza della strada. Distanti, ma alla vista, c’erano opere d’uomo in rovina. E si sentiva la vita. Quella stata e quella in corso. Capivo che per un po’ di tempo dovevo solo lasciar entrare, permettere alle mie connessioni neuronali di sbagliare. Lo sbaglio è creazione, lo sai vero? Anzi cessa di essere sbaglio e diviene realtà proprio quando partendo da qualcosa che sembra certo, si ricombina e crea una nuova certezza. Lo facciamo tutti. Sono i nostri assiomi. E la differenza è tra chi riesce a metterne insieme di nuovi e quelli che ne restano prigionieri. Ossificati nel pensiero. Mi perdo seguendo il discorso che vorrei farti. In quel luogo, c’era una strada diritta. Non c’erano bivi, capisci, non c’erano scelte. Come se queste fossero già avvenute, risolte. E quelle costruzioni testimoniavano che non solo si era vissuto, ma prosperato in quei luoghi proprio per quelle scelte. E allora mi pareva di percepire che c’era una logica in quello che era accaduto che si ripeteva nel presente. Le scelte lasciavano i bivi alle spalle, rendevano diritta la strada, ma non ne toglievano il mistero. Io ero il mistero e ciò che mi stava attorno. Insieme.

Passa il tempo senza tempo. Sembra ci siano tantissime cose da fare. Tutte urgenti e tutte fuori dell’attesa. Come ci fossero infinite alternative. Perdo tempo, pensa, ma non mi muovo perché questa sensazione di acutezza del sentire è così bella e singolare che nulla è più importante. Si guarda attorno e vede, improvvisamente le stanze, le cose, come le vedrebbe una persona che entra a casa sua. In quel caotico disporre d’oggetti, di libri, di artefatti, di strumenti, c’è lui. Si sente nudo, mostrato com’è nel profondo. Si possono leggere le passioni, i dubbi, le scelte e il loro contrario. Si vedono le paure e le sicurezze. Ciò che è stato predisposto per ciò che non è avvenuto. Sa che il significato di tutto questo può essere banalizzato in un giudizio. Sa che questa nudità contiene non poco narcisismo, che il lasciarsi andare è modificare l’attesa verso il mistero. Non prevedere nulla. Sa tutto questo e si guarda come pensa lei lo guarderebbe. 

Di te ho solo un sentire buono. Un profumo, uno sfiorare che scatena il tatto. Ho il colore prima della forma. Mi è accaduto viaggiando, forse essere lontani ci libera dall’impero del contingente, di vedere il colore denso che parla per suo conto. Che dice qualcosa di misterioso. L’equivalente della lingua che non capivo e che ascoltavo nella sua musicalità. Le parole, quando sono pacate, ancor più nel sussurro, diventano musica. Sono un’estensione del silenzio. Tu sei la musica del silenzio. Il colore che si genera nel cristallo, e non ne è prigioniero. Si sprigiona. Tu sprigioni ondate di mistero, denso e accogliente. Una sensazione di dolcezza calda. Non so come dirla meglio, ma i sensi si passano il testimone in un procedere che assomma. Pennellate di senso che preannunciano una scoperta. E la certezza che ce ne sarà un’altra e poi un’altra ancora. Senza misura e senza fine.

Si prepara. Sta per finire il tempo dell’attesa. E si apre un’altra attesa, che non finisce. Capisce che in continuazione si gettano ponti tra attese successive e che se queste hanno la scoperta che le accompagna, in questo sta il muoversi della vita. Si guarda attorno. La casa avrà bisogno di essere guardata con i nuovi occhi. Ci saranno dei bivi da superare, scelte che rendono chiara la direzione e al tempo stesso ne accentuano il mistero. Esce. 

http://https://www.youtube.com/watch?v=X0TWyMvOO6w

 

“SILENTIUM!”
Speak not, lie hidden, and conceal
the way you dream, the things you feel.
Deep in your spirits let them rise
akin to stars in crystal skies
that set before the night is blurred:
delight in them and speak no word.

How can a heart expression find?
How should another know your mind?
Will he discern what quickens you?
A thought once uttered is untrue.
Dimmed is the fountainhead when stirred:
drink at the source and speak no word.

Live in your inner self alone
within your soul a world has grown,
the magic of veiled thoughts that might
be blinded by the outer light,
drowned in the noise of day, unheard…
take in their song and speak no word.
______
Fyodor Tyutchev (1830), translated by Vladimir Nabokov

dialogo tra un venditore di furtive biciclette e un ciclista

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Per ambientare il dialogo, si deve pensare ad una grande oblunga piazza, invasa dal sole di fine mattina. Sullo sfondo c’è un’antica porta della città, bianca di marmo e corredata di busti di sconosciuti che nel tempo hanno perso fama e tratti somatici per l’economico secentesco uso della pietra di Nanto. Ai lati della piazza, in lunghe corsie di portici e casette multicolori, si aprono negozi dedicati al commercio fatto di bisogni immediati: focaccerie, bar, librerie di seconda e ulteriore mano, modeste cartolerie specializzate in fotocopie di libri e di tesi universitarie, sale studio, piccoli club molto scuri e pieni di fumo. Il tutto è riempito e percorso da frotte di ragazzi che vanno lenti in bicicletta, oppure camminano conversando, godendosi il sole, sbaciucchiandosi e ridendo assai. Le ultime cose non riguardano tutti e vengono compiute comunque in maniera disgiunta.  A circa metà del lungo rettangolo che costituisce la piazza, circolano le auto e si fermano i parcheggi, meglio sia così perché altrimenti ci sarebbe una notevole confusione. Proprio sul lato del parcheggio, una vecchia renault 5 di quel rosso che solo le renault riescono a raggiungere quando perdono ogni lucentezza, sosta con due biciclette sul portabagagli. Un uomo di corporatura robusta è a lato dello sportello aperto, da cui si vedono accatastati in ordine termodinamico, cestini, pedali, catene, selle, fanalini e altro che essendo coperto dall’evidenza non si può che intuire. L’uomo che si intrattiene con il ciclista potrebbe avere la mia età, o anche no, quindi lasciamo che abbia un’età indefinita, le mani invece sono molto differenti. Le mie hanno dita lunghe e unghie curate e pulite, le sue sono corte e larghe di quella robustezza che già fa presagire un discreto dolore se usate per i ceffoni. Non di meno hanno un allegro color ruggine che dà loro un discreto fascino, come fossero mani truccate per un’opera di teatro d’avanguardia. Le unghie sono cortissime e circondate da una sottolineatura nera, come se col pennarello, la sera immagino, facesse una finitura del trucco per impersonarsi al meglio. Il viso è sorridente, le parole serrate e suadenti, e il tutto si vede che fa breccia nel cuore del ciclista che ascolta e tenta di obbiettare con frasi brevi e disperate di risultato. Il ciclista cavalca una bicicletta da donna, un po’ piccola per la sua statura, ha infatti gambe lunghe da camminatore e un fisico asciutto. Indossa un giubbotto e calzoni chiari puliti, le mani abbarbicate al manubrio non permettono di vederne la dimensione e la cura, ma il colore ambrato del dorso, fa intuire una provenienza mediterranea. La bicicletta è rossa dove la ruggine non ha sostituito il colore e si capisce che è un recente acquisto fatto dal venditore con la renault 5.

Dialogo

venditore: Ti assicuro che hai fatto un ottimo affare, è una bicicletta di marca e funziona benissimo. Se per caso il pedale non gira bene, me la riporti che ci metto un poco d’olio, le gomme non sono nuove ma possono fare tutta la città che vuoi. È meglio che la chiudi sempre perché qui le biciclette le rubano. (sorride con conoscenza di causa)

L’analisi del messaggio è già esaustiva nell’esposizione, non ci sono sottintesi : la bicicletta non va proprio benissimo, l’olio sul pedale avrebbe potuto metterlo subito il venditore, è vero che le biciclette le rubano, anzi questa è stata rubata e adesso sta attendendo una seconda vita.

ciclista: anche l’altra volta mi hai detto così, poi non mi hai rimesso a posto il cambio, avevi sempre altro da fare. Anzi sei proprio sparito e non rispondevi al telefono e comunque quella bicicletta me l’hanno portata via i vigili perché era punzonata. Ma quelle bici che hai sul portabagagli me le fai vedere?

Si capisce che il rapporto tra i due non è casuale, che esiste una continuità di affari e che la provenienza delle biciclette non è un problema per entrambi. Casomai è stato un problema di qualcun altro, magari risolto dallo stesso venditore della renault 5. Quindi sono persone all’interno dello stesso sistema etico sociale, sistema da cui, probabilmente, è stato escluso il malcapitato che ha subito il furto, però anche questo sistema ha delle modalità di contrattazione e di garanzia, infatti c’è il tentativo del ciclista di sostituire l’incauto acquisto con qualcosa che sia migliore: la soddisfazione dell’acquirente non è proprio al massimo.

venditore: l’altra volta ho avuto problemi urgenti e sono stato via per sistemare alcune faccende mie (il viso è sorridente, le braccia tracciano in accordo con le mani piccoli giri che significano affarucci), poi il cambio ti avevo detto che bastava tirare il filo o regolare la vite. Peccato che te l’abbiano portata via, era proprio una bella bicicletta quella, non se ne trovano tante così. 

ciclista: e quelle che hai sul portabagagli?

Il venditore si volta, si vede che non ha voglia di tirarle giù, per lui l’affare è concluso. Con una mano tasta una gomma e mostra che è sgonfia, ad un’altra manca la sella.

venditore: sono molto peggio di quella che hai comprato per 40 euro e comunque non vanno, vedi che sono bucate le gomme. Oggi non si trova più chi tiene bene le bici.

Di certo chi tiene bene le bici ha la tendenza a piangerne di più la sparizione, per cui lo stato medio delle biciclette si è deteriorato. Entrambi, venditore e ciclista, sono rammaricati e leggermente disgustati di questa mancanza di sensibilità da parte dei futuri derubati.

ciclista: comunque questa bici è piccola e non mi va bene, non ha neanche un cestino…

La sensazione di aver fatto un cattivo affare sta prendendo il ciclista che ora si avvicina all’auto per vedere meglio le altre biciclette. Il venditore cerca di tenerlo distante, non ha voglia di rimettere in discussione la transazione. Nel frattempo si sono avvicinati tre ragazzi che sembrano in cerca di un acquisto. Il venditore comincia a parlare con uno di loro. È uno studente del primo anno, ha uno zainetto da superiori in spalla, e chiaramente non ha ancora testato il sistema parallelo con le sue tecniche di contrattazione e acquisto, quindi la richiesta è timida, la prende larga.

venditore: se ti serve una bici forse ho qualcosa per te, bella, quasi nuova, ma viene 80 euro. Però non l’ho qui, o vieni in magazzino oppure ci vediamo nel pomeriggio.

Il ragazzo vorrebbe chiudere subito, comincia a trattare perché 80 euro gli sembrano troppi.

venditore: ma se non l’hai neanche vista. Ti assicuro che li vale tutti eppoi è perfetta, ci puoi fare le corse. 

Il ciclista intanto si protende sul portabagagli, mentre il venditore allarga le braccia e cerca di tenerlo distante. Il ragazzo invece parlotta con gli altri due che sono venuti con lui, ne nasce una conversazione plurima dove c’è una contrattazione che oscilla sullo sconto al buio di 10 euro, il ciclista che cerca di strappare una luce per la sua bicicletta da una delle due del portabagagli, il venditore che lo tiene a distanza come può, ma sta per cedere sul fanalino.

venditore: facciamo 75 euro, e ti do le luci avanti e dietro, di quelle a batteria che sono meglio perché non te le fregano. Se hai i soldi andiamo a prenderla. 

Il ragazzo mostra i soldi e dà un anticipo al venditore, il ciclista, intanto è riuscito a conquistare la lucetta da una delle bici del portabagagli e la prova: non funziona. Si lamenta.

venditore: basta cambiare la batteria 

ciclista: ma costa un euro…

venditore: vieni in magazzino che ne troviamo una su un’altra bici

Si apre un’ ulteriore contrattazione, con parole di vari dialetti e lingue, e diversi interessi. Il terzetto è un po’ preoccupato per l’incauto anticipo, ha fretta di andare a prendere la bici. Attorno, nella vita normale la giornata ottobrina rifulge. Dalla porta cinquecentesca adesso esce un auto della polizia municipale. Il venditore sale nella renault 5 in fretta, dà un appuntamento e se ne va. Restano il ciclista con la lucetta che non funziona e il terzetto che chiede notizie su dove sia il magazzino. Attorno studenti mangiano pizze al trancio, la coda alla focacceria si è allungata, il sole scalda i ragazzi, che seduti vicino alla porta parlottano, ridono e si sbaciucchiano. Fuori scena un pensiero: gli anni non mutano mai se non di numero, ma il contenuto è lo stesso.

Cala il sipario.