il giulivismo climatico

Anche sul cambiamento climatico bisogna evitare il giulivismo, ovvero quell’atteggiamento che instaura positività inesistenti, fabbrica nuovi idoli a cui rivolgersi e trova nel primo dato utile una conferma del cambiamento. I dati ci dicono che non è cambiato nulla in questi anni, che solo con il convergere di azioni dei singoli che cambiano abitudini, assieme a quelle collettive che chiedono politiche forti di tutela per l’ambiente e mutando economia e priorità, si può tentare di arginare il disastro. E c’è l’arma del voto per farlo, per condizionare i governi. Finita la pandemia ci saranno ancora grandi manifestazioni di giovani, e non solo, è fondamentale che tutto questo sia un crescere delle coscienze sul disastro in atto e non solo numeri e foto sui giornali. La stessa informazione ha grandi responsabilità, col suo racconto può creare quella consapevolezza collettiva che muta gli atteggiamenti e le politiche. L’ecologia e la salvezza della specie non deve diventare l’affare del secolo, perché le logiche del denaro hanno compromessi che non sono compatibili con la situazione che si è creata, cercano cioè di lucrare vendendo il male minore. Non riparano. Basti pensare a cosa stiamo pagando con i contributi sull’energia: costi di smaltimento che sarebbero a carico di chi produce inquinamento. Insomma non ci deve essere soddisfazione finché le cose non cambiano davvero, e irreversibilmente, verso una salvezza collettiva, perché, bisogna ricordarlo, anche nelle catastrofi chi ha denaro ed è privilegiato, ha molte più possibilità di salvarsi rispetto agli altri.

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