Semino piante odorose, verdi medicine, fiori selvaggi e gentili, arbusti che desiderano essere grandi alberi di pianura per vedere oltre le cose. L’educazione della natura si fa lezione di vita e attendo: in qualche parte del mondo s’aggregherà il futuro, quello in cui potrò immergere le mani, il pensiero. Trasformare il ricordo in passato. Sarà un piccolo assembramento di cose e di pensieri prima sparsi, messi assieme per il caso che non è poi mai tale e da una fiamma nascerà la luce.
Ho il corpo, l’aria, il sole e della notte, il fresco. Ho diverse cose inutili a cui tengo, molti libri e musica da udire, sono uguale fino a un certo punto, mi differenziano gli affetti che colmano il mio tempo. Sono generosi e si versano da una brocca nella mia sete d’essere amato, e bevo quel tempo così diverso che ora scorre a lato.
Mi sono seduto sulla riva del tempo in una giornata già piena di primavera, ad attendere, che ci sia del nuovo che mi faccia immergere nel flusso, che quella fiamma lontana sia guida e diventi luce e direzione a cui affidare il corpo e, del vivere, l’intuito dell’andare. Intanto, con pazienza, attendo, mentre nell’ombra d’alberi cresciuti, tra l’erba così alta e morbida, e fiori e profumi troppo a lungo scordati. Forse per quello, non io solo, abbiamo seminato.
E nel chiarore che filtra tra le foglie e l’acqua, con devota voce, chiamo a raccolta l’elenco delle cose mai fatte e desiderate che ora attendono, loro, il giungere e lo scoprire la bellezza, finalmente conquistata.
Abbiamo il corpo, l’aria, la luce e terra , sabbia, acqua, rocce da percorrere e mai come ora, l’attesa che il mondo ci prenda per il suo incanto, che l’uomo e le sue bellezze siano vedute per ciò che sono e poi saranno. Per questo seminiamo piccoli fiori e modeste parole, ad allargare il cuore, gli occhi, la mente, finalmente, e allora nulla sarà come prima, ma più bello, mai visto, mai vissuto. Così sulla riva d’un tempo nuovo si spegne l’abitudine e nasce ora la libertà di essere differenti per davvero.