giorni nebbiosi

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Stanotte c’era nebbia. Molta, come a volte di usa da queste parti. Le luci dei lampioni illuminavano cerchi ristretti di giallo. Verso l’alto apparivano finestre insonni. Quando si è innamorati e vicini, la nebbia spinge a stringersi di più, protegge e isola l’intimità. Ma genera anche il desiderio di caldo, di casa, per cui i passi si fanno più rapidi, i percorsi netti e decisi. Nella nebbia appaiono e scompaiono le cose, sfumate e ricche di un mistero che solo in questi casi mostrano. I suoni si attutiscono, assorbiti nella miriade di goccioline sospese. Forse anch’esse entreranno in vibrazione prima di cadere su quel suolo che si bagna: flatus vocis.

La nebbia come metafora: travisamento delle cose, alterazione dei sensi, bisogno del calore di qualche certezza.

Ognuno di noi naviga nella nebbia come può, ha una luce interiore, una morale naturale che se non indica la strada con precisione, almeno permette di chiedersi chi siamo.

Già, chi siamo?

I nostri gesti anzitutto, ciò che è tangibile e che pur contenendo incertezze e ambiguità, dice molto di noi, delle nostre paure più che delle speranze. Ad esempio, chi invoca la necessità e la convenienza, espone paure nel merito della scelta. Ci dice che sceglie per un fine che non è quello di cui si parla o si vorrebbe, ma è necessitato a farlo, insomma non si sente libero. Libero da cosa e da chi? Quanti amori si spengono perché c’è una necessità, una convenienza che rende il coraggio più arduo. Negli atti conseguenti alle parole c’è un sentire che si palesa ed uso l’esempio dell’amore proprio per la sua carica di eccezionalità che cambia davvero le vite. Se ci si ferma davanti al mutare, sentito come determinante del vivere presente e futuro, con quanta più facilità ci si possono raccontare storie sulle motivazioni di ciò che si fa. E, badate bene, non penso che il coraggio in qualche modo c’entri, perché, a mio avviso, il coraggio è qualcosa che non fa conto della vita futura ma è il kairos, coglie l’attimo. Ho letto di recente un libro che parlava della correlazione dovere/coraggio, cioè il compiere ciò che si deve senza delegare ad altri il compito. È anche questo, ma spesso ci viene chiesto un libero coraggio che include la partecipazione al futuro, e questo è il coraggio che preferisco, quello senza medaglie, che agisce e agirà di conseguenza.

I gesti sono noi e il nostro contrario (la necessità), ma dietro ad essi c’è un pensiero, c’è uno stare interiore prima dell’essere. Noi diciamo che siamo confusi, oppure che abbiamo principi, diciamo che ci poniamo domande o che siamo in evoluzione, che siamo indecisi e stiamo vagliando, che ci dispiace, che siamo concordi, ecc. ecc.. Ognuno di questi stati d’essere, e molti altri descrivono la superficie di un flusso, ma non dove esso stia andando e neppure se siamo immersi in esso, se nuotiamo contro corrente o ancora se noi siamo flusso. Per capirlo bisogna scendere oltre la sensazione ed andare in quel luogo oscuro che motiva molto del sentire e molti gesti. Ognuno ha le sue tecniche, anche per starne alla larga, ma comunque lì dentro c’è il chi siamo davvero. Il fatto che questo emerga per bolle di coscienza, che ci metta davanti alle contraddizioni che allegramente ci teniamo, non rileva più di tanto. Anzi per fortuna è così, altrimenti saremmo prigionieri di una necessità che non evolve. Però trattare con quel chi siamo, farlo dialogare ed evolvere con noi, è cosa necessaria per un insieme di parole che ci appartengono e descrivono desideri: serenità, felicità, equilibrio, leggerezza, consapevolezza. Basta sapere che esiste questo noi con cui dialogare, che non è così mutevole di opinioni e che ha un set suo per valutare ciò che accade. Che ci accade. I risultati del dialogo interiore sono sempre precari, non definitivi, ma fanno fare passi avanti. Tutto questo dirada la nebbia? A volte riporta la certezza del sole e dell’estate e non è poco, quasi sempre distingue l’alone fiabesco dalla realtà delle cose, aiuta a separare le chiacchiere dai fatti. E anche questo non è poco, perché alla fine il gesto diviene consapevole, non parla d’altro, ma resta all’oggetto per cui lo si compie. In questo momento di nebbie senza fiaba, senza amanti e senza case accoglienti, ha una discreta importanza sapere dove andare, chi si è e in cosa si crede.   

p.s. con molta eleganza il presidente del consiglio ha definito chi non la pensa come lui: accozzaglia. Se il libero pensiero ha questa implicazione, sono parte di questa accozzaglia.

17 pensieri su “giorni nebbiosi

  1. Un post da leggere, rileggere e leggere ancora.
    E perdersi tra le parole come si fa nella nebbia, dove il cuore sente ciò che l’occhio non vede.
    (P.s. Ah, nell’accozzaglia ci sono anche io!)

  2. Nella nebbia, come hai giustamente detto, c’è la consapevolezza di essere e delle proprie decisioni e intenti, soprattutto ora serve anche la nebbia….almeno speriamo!
    Rientro anch’io nell’accozzaglia 😉

  3. Mi accodo. Spaventosamente reale ma spesso difficile da ammettere e razionalizzare. Conoscersi e parlare intimamente con se stessi è cosa alquanto difficile e bisogna maneggiarsi con delicatezza e cura.fa male,può fare male..deve fare male.ma credo sia utile e necessario.

  4. Teoricamente so chi sono e dove vado. Con me ci parlo spesso ma è inutile…prevale l’istinto quasi sempre…e quando non prevale dopo un po’ l’istinnto mi costringe a cambiare. La nebbia piuttosto la vedono quelli che si confrontano con me

  5. Odio la nebbia e fortunatamente su queste colline toscane la incontro di rado. La nebbia mi toglie il respiro e mi lascia la pelle umidiccia… no, non mi piace! Ognuno naviga nella nebbia come può… non è forse questa la vita?

  6. E’ vero navighiamo nella nebbia, spesso, ma anche nel chiarore, nella luce, nella notte. Tu sai bene, Alidada, quante cose che ci attorniano, sono in realtà delle boe, delle “bricole” come si dice da queste parti dove ormeggiare la nostra barca o trovare la strada. La nebbia qui può essere umidiccia e molto romantica, dipende 🙂

  7. Che bello avere coscienza di sé Diana, mi piace molto il fatto che la nebbia sia in chi si confronta con te. Bene l’istinto, a volte fa a pugni con la razionalità, poi la realtà vince 🙂

  8. @qualcuno tipo me: non è mai a costo zero scendere nel profondo, ci si ritrova meno “belli” ma molto forti e vitali. La delicatezza e credo anche l’autoironia può facilitare le cose, essere gentili e fermi con se stessi è un buon modo di parlarsi.

  9. Buon giorno Silvia, se la nebbia serve per sfumare la durezza delle cose, sì certo serve anche la nebbia, e se essa racchiude la nostra voglia di parlarci ancora di più. Mi piace che tu sia nell’accozzaglia, mi sento in buona compagnia 🙂

  10. Mi piace il tuo gusto delle parole, senti che contengono, non le usi a caso, ti parlano. Condividiamo molto Pindaricamente, e le tue, lo sai, mi piacciono, moltissimo quelle che fanno parlare il cuore. 🙂

  11. probabilmente se io fossi abituata a vivere nella nebbia alla fine anch’io ne saprei apprezzare anche il lato romantico 🙂 … può darsi

  12. I risultati del dialogo interiore sono sempre precarii, non defintivi, ma fanno fare un passo avanti….
    questo in particolare e altro…mi suggeriscono…dà da pensare…

  13. Forse perché Fabrizia il moto è una infinita serie di equilibri instabili. Se non riesco a parlare con me stesso cosa posso dire di me agli altri? Basta non esagerare nel dire e nel tacere. Che sia una bella fine settimana 😊

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