il voyeur non incontra mai nessuno

Si sprecano troppe parole utili ad altro sentire. Accade ovunque e così non ci si accorge più della differenza, anzi diventa linguaggio e poi modo d’essere comune. I superlativi, le parole che descrivono emozioni stabili e profonde vengono usate per rappresentare un moto d’animo, una pulsione. Il virtuale ha semplicemente portato alla luce ciò che siamo o vorremmo essere, impedendo a chi comunica con noi di discernere se raccontiamo la verità su noi stessi. Manca il linguaggio del corpo che parla assieme a noi. Puntare tutto sulle parole non basta, serve l’ incontro per capire se c’è qualcosa che resta oppure se si deve relativizzare tutto, crederci per un attimo e poi basta. E cosi nel virtuale, si può essere entomologhi che osservano da distante oppure partecipare profondamente, in fondo è praticare un voyerismo che ha alternative e scruta prima di palpitare.

C’è però il rischio di non varcare mai davvero la soglia del tangibile, di immaginare qualcosa che non c’è e allora ci si ritrova soli a dialogare con un fantasma. Certo c’è sempre quella fragilità del dire e dell’essere letti che ci riporta ad unità, e comunque sia, non si può che essere se stessi, ma è un sentire amputato, parziale.

Eppure non poco viene messo in mostra oltre le parole. E anche il bisogno di parlare del nostro disagio ci rivela: il trattare le ferite è il modo con cui si vive. Siamo sempre reduci da qualcosa che ci ha coinvolto, che ha lasciato tracce e solo la cattiva letteratura racconta che esse siano il nostro passato. Sono i nostri fallimenti ma non ci sono stati solo quelli, per fortuna, altrimenti non ci sarebbe nessuna voglia di raccontare. Le ferite che si raccontano col sorriso sulle labbra sono quelle che quasi non fanno più male. Per le altre serve il rapporto diretto, essere abbracciati prima che compresi e la verità del condividere è in quel l’abbraccio.  

Può fare tutto questo il virtuale? Non credo perché è di per sé immoto, cristallizza la realtà nel frame. Mostra un’ immagine del presente, mentre quando si vuole condividere profondamente si ha bisogno di mettere in comune il senso del tempo. Il virtuale fa altro, chiude qualche lacerazione, aiuta a parlare a sé, a riconoscersi per chi cerca di farlo. Non è poco, anzi, ma se si vuole di più, dopo un po’ la meraviglia del riconoscersi nelle parole dell’altro, per procedere, ci sarebbe bisogno di un passaggio di verità che solo la realtà ci può dare.

6 pensieri su “il voyeur non incontra mai nessuno

  1. Concordo in tutto con la tua riflessione,il virtuale ha dei limiti,il raccontare alcune cose di se stessi è uno sfogo che in qualche modo non ha vera necessità di riscontro,di consolazione. Può capitare di condividere uno stato d’animo di cui si è letto l’umore,ma non è possibile certamente interagirvi, talvolta risulta già difficile farlo nella vita reale…
    buoan giornata
    Daniela

  2. Il mio pensiero sul virtuale ricalca il tuo in tutto,alla fine se il rapporto è vero deve portarsi nella realtà, di qualunque natura esso sia.
    Buon fine settimana 🙂

  3. Virtualità ???
    Beh, @Willy caro … da buon ingegnere io la vedo come “l’ insieme di definizione” della funzione continua Y= f(Realtà) !
    In questa mia visione, le singole vite di ciascuno/ciascuna di noi, sono gli “integrali definiti”, dal punto iniziale “nascita” al punto finale “morte” di codesta funzione .
    Onde, se si vuole uscire dalla virtualità, a ciascuno/ciascuna è necessario integrare la funzione “realtà”, mentre se non si ricava l’ integrale … ebbene la virtualità resta una gabbia inutile, dove tutto possibile, ma nulla è reale !

  4. Non l’avevo mai pensata sotto questo aspetto Cavaliere. Mi verrebbe da pensare che sia proprio la virtualità come variabile dipendente, che impedisce di calcolare esattamente la realtà. E’ un bell’argomento di riflessione l’algoritmo della realtà. 🙂

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