inquinamento luminoso

Qualche anno fa verso Asmara.

L’aereo, nella notte, sorvola la penisola arabica. Sotto i deserti, le sabbie fino al mare e poi l’acqua, anch’essa nera. Notte nella notte, nero nel nero, sopra c’è un’immensità di stelle, sotto la dimensione spaurita dell’uomo che cerca il sonno per ritrovare al mattino la luce.

Dopo il Cairo e prima di Abu Dhabi c’è solo il buio. E di nuovo buio sino a Sana’a. Le imperscrutabili ragioni economiche della compagnia aerea tagliano due volte il deserto e il buio che avvolge tutto. Nella sosta forzata all’aeroporto, restare a bordo sarebbe il massimo del confort, ma si deve scendere. C’è un’espressione che mi torna in mente: gli occhi feriti dalla luce, ed è così. Il buio era primordiale, ma dolce e ovattato, induceva la vista di cose senza distanza o il sonno, secondo la stanchezza, fuori la luce violenta lo sguardo con la plastica dei duty free, degli arredi pieni di arabismi fatti in Cina, ferisce la quiete e il buon gusto. Tornare a bordo, dopo aver capito il proprio nome detto da un altoparlante pieno di consonanti, è una conquista e una liberazione. Ancora buio. Per ore di volo.

Anche la costa è buia. Penso al mare sottostante, incessante di moto, ai pirati di cui non si parla più. Chi si muove nel buio sa cosa deve fare, ha almeno due sensi in più, il primo è la capacità di coordinare ciò che i cinque sensi avvertono, il secondo è leggere il buio come spazio, dargli misura per potersi muovere. Chissà cosa vede e sente un animale notturno, noi, figli della luce, abbiamo abusato della nostra madre, scordandoci che la notte era anch’essa madre di vita e non solo di riposo e così per noi il buio non ha misura e ciò che non ha limite impaurisce.

Il buio sotto l’aereo dice che qualcosa è accaduto sulla costa, che lo Stato che sorvoliamo ha deciso cose che riguardavano le luci e quindi gli uomini. Mi raccontavano che Massaua era una sorta di territorio libero, divertimenti poco compatibili con un regime di povertà diffusa, poi c’è stato il taglio netto, via i giovani, via le attività, via tutto ciò che può nuocere ad una dittatura. Anche il divertimento e il turismo nuoce se fa parlare troppo liberamente.

Il nero della pianura continua verso l’altopiano, si vedono luci troppo piccole, anche se l’aereo non è alto, siamo su Asmara. Dopo le luci di Abu Dhabi, quello che c’è sotto è piccolissima cosa, sembra una strada di paese quella che taglia il centro, luci di lampione rade, si intuiscono le case, ma non ci sono palazzi alti, mancano le luci rosse di segnalazione. Eppure è una capitale. Scoprirò poi che quella dimensione di case che si estendono senza alterare le dimensioni, induce una quiete, come ci fosse una presa del territorio da parte dell’uomo, ma senza fretta. Intanto è notte fonda, l’aeroporto è illuminato di luci giallo brune, ma sembrano lampade notturne che non devono disturbare il sonno, e fuori, dopo il piazzale dei taxi improbabili, dilaga nuovamente il buio. Nelle notti seguenti ho spesso alzato gli occhi e li ho immersi in uno strepito di stelle. La Rift valley non è distante, e ho pensato: ecco ciò che vedevano gli uomini che ancora non sapevano d’essere tali.