Si può dire solo come si vive, senza confronto, e si può solo ascoltare. Se esiste un obbligo di giudizio per appartenere a qualcosa, questo riguarda noi, la nostra sicurezza di essere come siamo. Così quello che ci attornia, la profondità di un rapporto, la stessa libertà del darsi fa parte della conformità a noi stessi.
C’è un daimon che attende di essere compreso, che determina le vite. La nostra anzitutto. E genera insoddisfazione finché non è nella strada giusta, quando ricerca di qualcosa nel posto sbagliato, oppure anche nel rapporto giusto. Sempre ci chiede di essere noi. Di mostrarci a noi stessi e di vederci.
Non è da tutti amare la ricerca di ciò che si è; meglio il conformismo, la leggerezza del posarsi appena, l’approvazione scambiata per amore nel come tu mi vuoi. Meglio conservare il certo e poco che indagare l’incerto. Non è questione d’età, ma di difficoltà. Scendere nel profondo di noi stessi, genera dubbi, mostra i limiti, ma anche la vera natura che dev’essere assecondata, sviluppata, dominata. Così il daimon diviene vocazione, determinazione a raggiungere la propria coincidenza, e ci si libera, per quanto possibile, della sovrastruttura di ciò che ci è stato insegnato come modalità di stare assieme, ma che corrisponde solo a soggezione a un senso comune privo di ragione e autore. E che costringe a piegare la felicità che è in noi, al caso.
Sapere che questa è la continuità sociale non basta per far emergere quella identità profonda che può rendere sereni e a volte felici, ma che è anche la condizione per dare un contributo vero agli altri, a chi si ama, ai nostri principi, a quella briciola di mondo che noi possiamo rendere differente. Per questo seguire la propria vocazione è importante e spesso controcorrente. E genera apparente solitudine per la difficoltà di trovare ascolto. Noi siamo forma e sostanza. Entrambe le cose, quando ci corrispondono, non generano colpa bensì vita che tenta, prova ad assomigliarsi, a sorridere fin nel profondo, a lasciarsi andare con fiducia a se stessi e a essere coscienti di ogni ricordo, ogni ruga, come un tentativo di vedere oltre l’apparenza.
Rileggendo cose scritte negli anni, alcune le raccolgo in cafeoulivre.wordpress.com, ritrovo un percorso fatto di tentativi, sconfitte, approssimazioni e importanze che si sono distillate in poche, essenziali certezze. Eppure posso dire due cose che mi riguardano, vedo il mio passato come un’acquisizione difficile di vita e sento che la ricerca non è conclusa. Ciò che ha occupato molta parte del mio tempo si è dissolto e ne sono uno dei pochi testimoni, ma questo non è importante in sé, lo è invece l’accorgersi e il capire quante delle presunte identità pubbliche sia stata forma e come esse siano esondate nel privato, dettando vincoli e comportamenti.
Siamo così meravigliosamente mutevoli che il viaggio di scoperta di noi stessi è il più epico che possa capitarci.
Credo che il nostro mutare sia l’approssimazione a quell’essenza profonda che non finiamo di scoprire.
È un viaggio in cui siamo, volendo, protagonisti e come ben dici, è epico e irto di meraviglie. Questo ci regala il vivere con noi.
Ennesimo post – capolavoro. Sono sempre più orgoglioso di essere da tempo un tuo follower.
È un piacere e una consolazione sapere che qualcuno mi legge. Grazie di cuore wwayne 🙂