In modo palese oppure tra le righe, ciascuno s’attende un’attenzione. Spera che essere oggetto di pensieri e gesti, da parte di chi è per lui importante, sia commisurato al vivere che dedica agli altri. E questo dare, oltre l’egoismo e il narcisismo che ciascuno di noi possiede, è una spinta comune, portata innanzi con fatica. È un impegno, una cura, un amore per noi insieme ad altri.
Il danno compiuto in questi 40 anni non è l’emergere del piacere, con tutta la sua carica di crescita e realizzazione, ma il fatto di considerarlo una questione personale e in ciò togliendogli la portata eversiva ed egualitaria. Questo ci riduce ad atomi in attesa di incontro. Energia trasformata che non coagula in stelle.
Può sembrare eccessivo mettere insieme le solitudini con il riconoscersi e il sentirsi oggetto di attenzione profonda, ma se non esiste un movimento reale, non virtuale, che rimetta assieme le persone e le renda relazioni sociali, tutto resta labile; l’insoddisfazione diventa abitudine, il piacere effimero, la felicità una parola.
Le emozioni semplici sono le più forti, perché native e sorgenti di vita. In esse si trova l’io e il noi, si trova l’attenzione, la forza, l’amore e il giusto. Pensiamoci a cos’è giusto e a come procedono i nostri conti con esso. Pensiamoci perché in esso si annida ciò che ci serve. È un considerare il noi come parte di quell’io che vuole vivere, perché siamo noi se amiamo e siamo ricambiati e ogni attacco all’amore, in qualsiasi forma esso si esplichi, è un attacco alla libertà, al piacere, all’essere assieme, al giusto.