avarietà

Durante la lunga camminata, durata 3 ore, comprese le soste varie all’ombra, ebbe modo di pensare alla letteratura spagnola e francese, al problema della mobilità e delle città imperfette, all’idiosincrasia per la complessità farlocca, al contenuto del frigo. Questi pensieri non avevano necessariamente questo ordine e neppure si staccavano gli uni dagli altri con quella necessaria limpidità e nettezza che fa di un argomento un insieme conchiuso anche quando lascia la porta aperta alla successiva elaborazione, erano piuttosto un passar di palo in frasca seguendo la sollecitazione momentanea, la spesa da fare, la necessità di onorare un impegno che l’avrebbe costretto a smontare un ragionamento e poi a rimontarlo, mentre quel ragionamento lo sentiva tirato per le motivazioni e affrettato nelle conclusioni. Eh sì, la complessità davvero lo respingeva e non quella che si muoveva dentro una scheda di un computer oppure in tutta quella parte del sapere che solo poteva intuire esistesse, ma piuttosto, solo per fare un esempio, ciò che si celava in uno strumento finanziario che incorporava spazzatura e brillanti e vendeva entrambi come fosse solo composto dai secondi.

Non pioveva da troppo tempo, il fiume era basso e mostrava resti di murature dentro all’alveo, forse mulini, oppure pile di ponti abbattuti da piene o magari case perché quel fiume, come tutti quelli serpeggianti nella pianura, era pensile e quindi era stato soggetto alle precipitazioni delle stagioni di mezzo, finché non si era arginato. Questo aveva determinato vari effetti, la strada di sommità arginale su cui camminava, ad esempio, che gli impolverava scarpe e abiti, ma anche non pochi tronchi morti, ovvero anse del fiume che erano state rettificate e avevano generato delle isole virtuali, circondate dal vecchio tracciato e al cui centro stavano le case che prima erano in riva e poi si erano trovate ad essere in mezzo a terreni nuovi da coltivare. In questo regimentare, rettificare, lui trovava una ragione semplice, una utilità immediatamente comprensibile, anche se non era stato propriamente così perché la velocità di corrivo, ovvero lo scorrere che ogni bambino conosce quando mette una barchetta di carta in un rigagnolo che confluisce in una pozzanghera o un tombino, era aumentata e il fiume aveva portato in mare e in laguna sedimenti che prima si sarebbero disseminati per strada, contribuendo al progressivo interramento della foce e alla creazione di barene che prima semplicemente non c’erano. Come tutto questo c’entrasse con la letteratura spagnola e in particolare con Marias era da chiedere a quella complessità su cui non indagava mai e che era costituita dalle misteriose connessioni che sinapsi, messaggi elettrici, scorrimenti ormonali mettevano assieme nel cervello e in tutte le altre parti del corpo destinate a ricordare e ad elaborare qualcosa. Quello che gli pareva particolarmente confacente al percorso che stava facendo era il racconto che proprio Marias, faceva della finta traduzione che due interpreti facevano a due ministri che s’incontravano. Lui uomo e lei donna come i due traduttori però a parti invertite e come alle frasi formali e strettamente inerenti ai rapporti tra governi, d’improvviso uno dei traduttori introducesse parole non dette e che si riferivano alla vita normale della ministra e che il gioco proseguisse con il garbo e la discrezione che queste cose devono avere per non essere fasulle, mettendo nella risposta dell’altro discrezione e al tempo stesso un rivelare un proprio sentire. C’era cioè, una verità semplice che si nascondeva nella complessità e questa era  riferita al vivere comune, alle difficoltà che tutti conosciamo e al lasciarsi andare ad una speranza che diventava comunicazione intima. Confidenza insomma, perché accanto alla complessità di un codice verbale che doveva essere decrittato, messo in relazione alle infinite subordinate dell’ordine che si esprime in un governo, in una società e nelle relazioni che essa ha con altre società e altri governi formando alla fine un meccanismo di pesi e contrappesi in cui l’immobilità mobile sembra il bene da raggiungere, come la minaccia senza esecuzione o la promessa senza il coinvolgimento, tutto questo, pensava, aveva a che fare con un fiume rettificato che aveva prodotto effetti collaterali e con la vita di alcune famiglie che si erano trovate separate da quelle che erano le loro abitudini e persino dal loro lavoro precedente, dovendo tener conto di nuovi ostacoli per portare i mezzi agricoli all’interno dell’isola che si era creata attorno a loro.

Tutto questo cosa avesse a che fare con quell’impegno che si era preso di scrivere una relazione sull’evolvere di una parte della città e più precisamente della zona industriale che stava mutando funzioni e che si spopolava di aziende senza che nulla venisse fatto per trattenere il lavoro e le competenze che si erano formate e che ne avevano fatto la fortuna nel tempo, non gli era ben chiaro. Ciò che gli sembrava evidente era che sarebbe tornato con i negozi chiusi e che il frigo era scombinato come i suoi pensieri e se certamente qualcosa si sarebbe potuta mettere assieme questa sarebbe stata una immagine, purtroppo veritiera, della sua incapacità ad essere un buon ospite e a stupire la persona che avrebbe cenato con lui. Persona di cui conosceva davvero poco i gusti e le idiosincrasie e che ne avrebbe tratto un’impressione falsata di noncuranza dell’essere accolta. Quindi il pensiero si spostava su come combinare le cose scombinate e trarne un insieme credibile per rappresentare un’abilità. Concluse che sarebbe stato un disastro e che la cosa più semplice non era dire la verità, che avrebbe testimoniato la scarsa cura che aveva messo nel predisporre l’incontro, ma lasciar parlare le cose e parlar d’altro. Togliere dalla testa il pensiero della relazione da scrivere con tutte le sue criticità e girare il tacco. Sì la cosa migliore era tornare indietro e concentrarsi sul verde che vedeva prorompente vicino all’acqua e su cosa avrebbe costruito per dare un senso al piacere di vedersi, all’accoglienza, alla relativa marginalità del cibo rispetto ai discorsi. Avrebbe iniziato con un calice di vino rosso e una musica che gli piaceva, sperando non fosse astemia e che i suoi gusti musicali non fossero troppo distanti. Una musica sincera per ciò che mostrava e un vino che dicesse con allegria il benvenuta che gli si era formato dentro e che cresceva ad ogni passo. Di questo si accorse perché non solo il passo si era fatto più veloce, ma che il cuore un po’ gli batteva e non solo per lo sforzo. E questo certo avrebbe portato alla necessità di una doccia e di un lasciarsi andare al non pensiero di ciò che lei avrebbe pensato ma solo al piacere che fosse lì con lui. 

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