Un gran concerto CD 318 non vola, lui invece, il pianoforte lo pensava, ma non era così. Lo scoprì cadendo, come succede per la banale imperizia di chi non è abituato a distinguere ciò che è prezioso e si fece molto male. Eppure lui aveva volato a lungo con Glenn Gould. Almeno dieci anni tra il 1960 e il 1970 incidendo gran parte dell’opera clavicembalistica di Bach.
Era stato uno strumento rifiutato il CD 318 Steinway, messo nell’angolo di un grande magazzino a Toronto, in attesa della rottamazione, dopo aver suonato a lungo con diversi concertisti. Cambiati i gusti per i pianoforti sembrava superato nella sua gentilezza, ora serviva potenza di suono e meccaniche più rigide su cui esercitare la forza delle dita. Avete mai visto Gould suonare? Dalla sua leggendaria sedia, fatta e montata dal padre, ormai ridotta a un rottame dall’uso, si metteva in una posizione squinternata rispetto alla compostezza dei concertisti, era in basso e la testa quasi si appoggiava alla tastiera. Il braccio non sovrastava il pianoforte, ma lo interpellava e lo abbracciava, quasi danzando assieme. Gould era in perenne ascolto della corrispondenza tra ciò che suonava e ciò che aveva dentro. Suonava nel pensiero e si aspettava che il pianoforte fosse un infedele tramite, ma che questa infedeltà non impedisse l’amore.
Ci sono punti dove il genio non può accettare altro che lo strumento che lo esprime e strumento e persona si cercano. Con pazienza e furia come accade in ogni amore che si trasforma in passione. Ci fu poi un tramite, un accordatore semicieco che vedeva i suoni come colori e capiva ciò che Gould chiedeva, era Verne Edquist, una persona eccezionale perché altri non poteva essere chi entra in sintonia con un genio. E fu lui che tentò di ripristinare il CD 318 dopo che praticamente era stato sfasciato dalla caduta. Fatica immane, quasi coronata da successo. Quasi perché il CD 318 non era più lo stesso. Cose che solo chi cerca le corrispondenze tra l’anima e le cose può avvertire, ma era così e anche Verne non vedeva più gli stessi colori, sfumature certo, ma per un semicieco erano linguaggio e differenze che non potevano passare inosservate. Così Gould incise poco e con difficoltà ancora sullo Steinway. L’ultima edizione delle variazioni Goldberg fu suonata dalla solita sedia ma su uno Yamaha.
Ci sono cose che restano proprio perché si assomigliano ma non sono ciò che erano all’inizio, così può essere il modo di sentire una passione tanto da identificarsi con essa. La passione non è sempre la stessa, può scemare, trasformarsi oppure diventare un tentativo di assoluto. Se Gould voleva suonare Bach come neppure Bach avrebbe esplorato se stesso, anche il pianoforte avrebbe dovuto essere altro da sé. La passione funziona così, nel coincidere con essa si diventa ciò che non si sarebbe mai stato, quindi altro da sé. Come nelle follie creative, nel racconto di ciò che dentro urge e non trova le parole che esprimano leggerezza e potenza nel giusto grado, ossia che coincidano con il pensiero. E non con un pensiero che sfugge ma con quello che sembra radicarsi e invece è il prodotto della ricerca nel profondo. Estratto da esso, portato alla luce tanto che inizialmente è un po’sorpreso di essere in un luogo che non ha mai visto, con una luce inusitata ed esso stesso finalmente consapevole di coincidere con chi lo conservava in sé. Parole e note si sovrappongono nei significati. Nessuna parola può sostituire un’emozione, può ricrearne la parvenza ma non andare oltre, le note possono farlo. Possono ripetere le emozioni e andare oltre ad esse, superare chi le aveva scritte nel significato profondo. Questo pare provasse a fare Gould, e nel suo cercare di seguirlo, anche il CD 318, cercava di essere uno strumento che non esisteva ovvero un pianoforte che suonava in modo nuovo. Non un clavicembalo in forma di pianoforte, come aveva voluto farsi costruire Wanda Landowska, perché mai avrebbe potuto esserlo, ma veloce e preciso, leggero nei tasti perché il tocco era l’accento della parola, ma anche ripieno nei bassi a fornire terreno compatto e fertile su cui dispiegare la melodia. Per questo il CD 318 con Gould volava e cantava con lui. La loro era una passione senza nome né limite, incontrata per caso, come accade a ciò che non finisce ma che si esalta ad ogni incontro e in questo amore aveva trovato chi era in grado di assicurare ad entrambi la corrispondenza, Verne Edquist, che non era solo un grande accordatore ma capiva lo stesso lessico che mette assieme pensiero e suono. Chi ha avuto modo di ascoltare Gould e i non pochi altri che si mossero poi sulla sua scia interpretativa sa che un genio resta unico e spinge innanzi l’umanità, senza volerlo né con un metodo che lo renda felice per questo: gli mancherà sempre qualcosa. Ma per tutti gli altri che non hanno a disposizione altro che udito e capacità di ascolto, ci sarà una nuova sfumatura di luce, un colore che prima non esisteva, un volo che sembrava impossibile eppure è andato avanti a lungo, guardando il mondo dall’alto, anche se lo sguardo di chi ha trovato in sé quel modo di volare, spesso, era parallelo alla tastiera, con la bocca che parlava ai tasti, le spalle a seguire il dispiegare del suo, ogni volta unico, volo.
post scriptum: queste parole sono solo l’espressione, parziale e imperfetta, di una predilezione per Glenn Gould che mi ha regalato, e regala, molto. Mi infonde serenità e aiuta a capire quanto piccola sia la comprensione che posso esprimere, ma anche in questa piccolezza mi fa vedere la bellezza. E ciò credo sia importante in questo tempo di incertezza perché solo la passione ci aiuta a vedere quello che può cambiare questo mondo.
Io non mi intendo di musica. Però sono un appassionato ascoltatore. Questo post era davvero interessante, mi è piaciuta quell’immagine del pianista che sembra diventare una cosa sola col suo strumento e il finale:trovo anch’io che i grandi cambiamenti son dovuti alla passione e al trasporto che mettiamo nel nostro agire quotidiano.
Glenn Gould era una cosa unica con gli autori che gli parlavano. Gibbons ad esempio e Bach. Lo strumento doveva riprodurre il suono che aveva dentro, non fu mai facile né definitivo. Lo Steinway CD318 fu ciò che più si avvicinava a questa passione senza limite.
“Lo Steinway ‘CD 318’, al quale sono più legato che a qualsiasi altro strumento, ha sempre dovuto sopportare un massiccio intervento chirurgico prima di ogni produzione di Bach: io parto dal presupposto, infatti, che un pianoforte non ha la benché minima ragione di risuonare sempre come un pianoforte.”
“L’interprete deve essere sicuro di fare istintivamente la cosa giusta, di poter scoprire possibilità di lettura di cui neanche il compositore era pienamente consapevole.”
Glenn Gould