A Friburgo ci dovevo andare in autunno, e adesso…
Poi le cose prendono un verso che non t’attendevi e puoi solo pensare di ripercorrere le strade di pietra alla luce delle vetrine e dei lampioni, per arrivare in quella piazza vicina alla birreria artigianale. Un’ansa di pietra, sempre piena di studenti seduti per terra che parlano sottovoce e suonano con le chitarre. La birreria è ancora aperta, gonfia di luce, puoi chiedere un bratwurst con una grosse bier di grano e sorseggiare il fresco che imperla il bicchiere, annusare il profumo d’erba e malto. Mangiare piano ascoltando le voci dagli altri tavoli, guardare i sorrisi che promettono e le discussioni che li intervallano. Sentire la birra sul palato, il pane nero di segale e sesamo riempire di gusto dolce la bocca, aspettando il piccante della senape.
Restare in attesa di te, che puoi parlare oppure chiedere che sia io a farlo, mentre la mia testa si riempie di magie che in un discorso diventerebbero follie. Piccole follie, sconnessioni di trame prefissate, smagliature di tempo e di spazio. Silenti o esplicite perché c’è chi tollera che un calzino sia leggermente bucato, che le cose, non tutte per carità, siano appena fuori posto. C’è chi ammette di non pensarla allo stesso modo e non cambia quasi nulla, e chi si perde in compagnia ma non è mai solo. Follie minute che la testa ci regala e intanto il gusto del wurstel, della senape, del sesamo si fondono con la birra e con ciò che sta attorno. Le caldaie di fermentazione di rame lucidato riflettono le luci e cambiano i volti che si specchiano, i grossi tubi ordinati in file parallele sembrano portare liquidi ai boccali, il bancone con le spine è sempre bagnato e pulito da uno straccio solerte. Si sta bene qui, nel rumore che non è mai chiasso e tutto questo si unisce ai ragazzi che fuori cantano sommessamente come parlano e c’è una chitarra che pizzica melodie mentre canto e conversazione si scambiano in un miscuglio variabile dove l’uno non distingue l’altro ma è armonia. Appena fuori la birreria c’è il negozietto di un incisore che lavora fino a tardi. Fa piccoli quadri di equilibristi e di mongolfiere colorate, fili che si tendono nell’azzurro e tengono appesi omini piccoli e buffi che vanno verso castelli di sogno. È gentile, spiega le cose che incide, mostra le lastre e il torchio, potremmo passare da lui, guardare le cartelle piene di disegni e acquistarne un paio per poi ricordarci che la vita è sogno ed equilibrio, ma anche un filo che ci salva se cadiamo.
Fuori la notte è tiepida, davanti la birreria c’è un’altra birreria tradizionale, con lunghi tavoli sotto una pergola all’aperto, però chiude presto e a quest’ora nei tavoli ci sono ragazzi che si promettono qualcosa di bello, di prossimo, si scambiano baci e piccoli silenzi e restano a lungo prima di alzarsi e uscire tenendosi per mano. Non preoccuparti, non li disturbiamo, neppure ci vedono. Escono e risalgono verso la piazza del mercato, verso i portici alti del centro oppure scendono, come faremmo noi, verso un corso d’acqua veloce. È appena dietro una curva, prima delle mura medievali, ha un piccolo marciapiede tra le case e la spalletta dell’argine in pietra. Ci si può sedere, la pietra è ancora calda e guardare la gora, ascoltandone il gorgoglio mentre l’acqua s’accalca per scorrere sotto una casa che era un mulino, e sentire l’aria che si divide in strati, quello tiepido sta sopra e investe il viso, quelli più bassi corrono con l’acqua e sono freschi, così al primo brivido serve stringersi, congiungere cotone e lane, e scambiare calore e bene. In silenzio o parlando sommessamente perché nelle case alte, sopra di noi, dormono ma soprattutto perché le parole sommesse contengono più affetto e significato e allungano il tempo dello star bene.
Dovevamo andare a Friburgo in primavera, ci andremo in autunno o in inverno, non importa quando, ci andremo…