Contando su molte pazienze ho conservato software datato, bello, non più riproducibile sui sistemi attuali e così ho conservato anche l’hardware necessario. In informatica ciò significa sistemi operativi, manuali, vecchi pc, ecc. I programmi sono incredibilmente lenti e schematici, richiedono pazienza per installarsi e poi faticosamente funzionare. Tutto è apparentemente semplice, anche se emergono raffinatezze deliziose fatte per sopperire l’esigua potenza di calcolo a disposizione. Non è diversa la situazione nella riproduzione del suono, anche se più immediata e facile: sono rimasti i giradischi, i lettori di cassette, i riduttori di rumore, registratori a nastro, bobine, cassette. Un sacco di meccanica datata, di elettronica tangibile fatta di circuiti stampati con piste di stagno, resistenze, condensatori e transistor visibili. Ci sarebbe anche qualche valvola ma è meglio non esagerare. Ronzano pianissimo piccoli motori elettrici controllati da elettroniche, cinghie e pulegge, trasformatori toroidali, lucine non ancora led. E i suoni escono gagliardi, a volte imperfetti per età, altre volte così nitidi e sorprendenti da provocare l’emozione del concerto dal vivo. Nulla è mai piatto e scontato nell’uniformità.
In questa memoria fatta d’immagini e suono, i programmi allora raffinati e “pericolosi” per la capacità di elaborare dati in proprio e non d’essere ostaggio dei dati altrui, appaiono anacronistici nell’età dell’identità consegnata all’ammasso. Pur con la meraviglia di allora per la tecnologia, vi si trova disseminata nella costruzione e nell’uso, una resistenza al digitale che è predilezione per l’analogico ovvero per l’approssimare sino a coincidere nell’infinita scelta che sta tra lo zero e l’uno scomposto in frazioni. Tutto questa ferraglia funzionante è ormai storia sociologica prima che cronologia di eventi e rivaluta l’inutilità come strumento per capire il mutamento. Il presunto progresso è stato una cessione infinita di originalità e differenza, prima economica a pochi monopolisti, poi personale, a infinite banche dati che non prevedono più, ma orientano i nostri gusti, le scelte, ciò che è importante da ciò che apparentemente non lo è. Un gigantesco presumere collettivo dell’utilità che stabilisce il primato della tecnologia sul progresso, dell’io presunto sul noi consapevole. Tra non molto la posta scomparirà, la scrittura come la capacità di far calcoli diventeranno curiosità, l’intelligenza per una ricerca su libri come potenzialità propria e non del motore di ricerca diventeranno residui di capacità. Come la mia musica registrata e non ripulita digitalmente, riprodotta da altoparlanti precisi come lenti Leitz, e molto fedeli. Analogicamente fedeli. Il fatto è che per disattenzione si è perduta la capacità inventiva e sognatrice dell’inutile e introdotta l’insaziabilità della perfezione. Il perfetto elimina tutto ciò che non lo è e quindi non è strumento ma demiurgo di presente e di futuro. Orienta l’ingegno all’interno dei suoi parametri, fissa limiti e confini oltre i quali ci sono esseri inutili e bizzarri che si nutrono di particolari, di connessioni singolari, di analogie. Una riserva da tollerare ma inutile, profondamente inutile a cui si deve scegliere di appartenere. Per l’appunto.
HW e SW di una volta. Incredibilmente leggeri rispetto a quelli attuali, che richiedono hardware sempre più potente. Lo chiamano progresso ma forse non lo è.
Ma mi domando tutta quella potenza di calcolo serve? Sono un vecchio del mestiere ma dubito che serva in effetti. Chi scriveva righe di codice vent’anni fa – non dico secoli ma solo due decenni – era molto più bravo degli attuali programmatori, che sembrano dei gran logorroici della codifica.
Fuori della grafica non capisco perché serva tutta questa potenza di calcolo. Scialacquano mega anche per un programma di gestione di testi. Credo tu abbia ragione sulla scarsa efficacia delle stringhe di programma e forse la necessità di interconnettere all’infinito appesantisce tutto. Vado a intuito perché non faccio più l’informatica da troppi anni, però mi piace la potenza simbolica dei vecchi software. Grazie per la riflessione Newwhitebear 😊
Per me è arabo 😦
Scrivere programmi? 😊 In qualche modo lo fai quando scegli di dare una certa veste al tuo blog 😊