Poi le cose si aggiustano. Prendono strade trascurate o impreviste e tutto si ricompone in nuove domande. Ma quella condizione di soddisfazione e di benessere, non diventa permanente; come se il vivere fosse davvero un cammino, ossia un succedersi di equilibri instabili che alla fine, complice l’attrito, permettono un procedere, una direzione. Un raggiungere per poi ripartire.
E cos’è l’attrito se non una trasformazione di energia, un mutare che si compromette per poter raggiungere l’equilibrio. Così il benessere è un insieme di compromessi, di silenzi, di emozioni tacitate e la quiete di una vita silenziosa, facendo le cose necessarie, il buono e onesto lavoro.
Questo benessere non è confrontabile con quell’altro, quello profondo, e infatti si sente che manca sempre qualcosa. Ma trovare un accordo con la propria indole, il daimon che ci dice cosa serve per essere davvero noi stessi. Per crescere, procedere verso la direzione che non è caso, né fortuna, ma destinazione innata e in quella non c’è attrito, né compromesso, ma vita come poteva e doveva essere per completarsi. Tutt’uno è un’opera d’arte: noi.
L’opera d’arte perfetta è quella che meglio rappresenta complessità e imperfezione. Siamo fino in fondo entrambe le cose. Per un banale sillogismo siamo davvero opere d’arte 🥂
Penso al daimon come alla guida profonda che si approssima, la vita è questo processo dell’assomigliarsi che non coincide mai. In questo c’è l’imperfezione e la sua necessità. Lungi da ciò che penso la perfezione, troppa considerazione per le passioni e poi la perfezione lasciamola a ciò che si contempla e non può appartenere perché è bellezza. Mi affascina il tema della complessità. Mia nonna mi ha insegnato il valore della pazienza e del districare i nodi, ciò che resta è essenza.