Certe mie piccole consuetudini ti danno un fastidio sorridente,
le osservi e correggi,
mi mostri la logica sminuzzata dall’abitudine che contengono.
Ma questa è la mia cultura povera delle cose,
un’identità precaria fatta di segni,
come lo scrivere diritto che non taglia le t
e sovrappone le curve delle a e delle e.
Ciò che fa capolino è l’innocua insofferenza,
nata nel relativo che tace
e sovrappone le vite.
Come nelle vecchie radio la sintonia è pazienza
e nulla coincide mai davvero,
se non per brevi attimi d’infinito,
così disturba poco l’essere circoscritti,
o invasi negli spazi dove il giudizio non è sentimento,
resta l’amore quieto dell’abitudine,
quello solido che risuona e rende forte il tempo assieme.