Quello che manca si mostra all’improvviso. Per segni e mai intero. È una sedia vuota, un appuntamento che sfuma, ciò che ci doveva essere e c’era, ma ora non c’è. È importante ciò che è assente, a volte non se ne ricorda l’intera presenza, ma basta un pezzo, una sensazione e si capisce che qualcosa è perduto, già mutato, evoluto.
Davvero tutto corre in avanti, anche ciò che manca. E anche all’indietro: questo è più difficile sentirlo.
Però si mescola tutto finché emerge che l’assenza è un pezzo della nostra solitudine, dell’amor nostro che deve mutare. Che dobbiamo mutare perché l’assenza diventi presenza. Per esserci ancora, mostrandosi nella verità che nulla nasconde.
Si passa la vita a non capire nulla di ciò che serve perché non ci serve in quel momento, ma solo quando ne sentiremo la mancanza. Poi uno spintone, con poca grazia, ci indica una lista: quello che doveva essere e non è stato, quello che ora siamo, vedendoci davvero. Resta uno spazio bianco da riempire: ciò che saremo. A noi la scelta di quanti vuoti lasciare in futuro e di cosa rivedere degli antichi vuoti che hanno ora un nuovo significato.
Basta una sedia che attende, un oggetto fuori posto, un colpo di tosse prima di mettere la chiave nella serratura e c’è un albero che ha perso le foglie. C’erano, ci sono a loro modo, chiedono attenzione.
Infiniti segni ho catalogati nel cuore,
attesi, sognati,
tornati per chiedere e mai ripartiti,
ma nessuno è una colpa,
nessuno ha voluto altro che attenzione.
Era ciò che poteva essere dato,
forse di più o diverso,
ma non c’era l’assenza a creare misura
e forse ciò che mi parve allora non fu sufficiente.
Ma ora, solo ora.
Mi resta il futuro e la memoria
e non è poco.