e così si è consumato il giorno

E così si è consumato il giorno. Color perlaceo come il cielo di questa giornata con una pioggia attesa ma rada. Spruzzo per i vetri, gocce che si rincorrono, il tremolare rapido delle immagini che poi tornano limpide. Neppure un acquazzone, solo acqua dispersa, complice un po’ di vento e così la terra è appena bagnata. Non piove da troppo tempo e sempre più mi rendo conto della situazione. Dovrei dire che il presente senza oggetto in cui viviamo, ora un oggetto ce l’ha ed è pure preciso: è già nella fase due ma non ha una soluzione visibile. Possiamo compiere notturni atti di trasgressione, infrangere regole senza pericolo per altri, ma è solo per il gusto di farlo perché ciò che comunque detta legge è la distanza sociale, che tradotta nell’umore significa malinconia.

E comunque l’avventura è diventata intorno a casa, la scoperta da esteriore si porta verso il trascurato per mancanza di tempo, verso il particolare. Basta una frase, un pensiero che ne rincorre un altro e come una nube, l’acchiappa, si mescola, allora ne nasce un’intuizione che apre una porta. Oltre c’è l’azzurro, i prati, il mare, la sabbia, i pini, ma tutto fuso, indistinto com’è nelle possibilità che hanno come unica realtà una strada malamente tracciata tra l’erba. Ed è facile perdersi, deviare, guardare per aria o nel posto sbagliato. Trovarsi con la sensazione che sia passato qualcosa d’importante, magari non così tanto da cambiare il mondo o solo noi stessi, ma originale, mai pensato prima e che quel sentiero sia finito in un nulla d’erba che ancora rasserena eppure non è la stessa cosa. Non si tengono le parole per la coda quando sono colme di significato, bisogna lasciarsi andare a loro, immergersi in esse, seguirle senza metterci nulla o quasi di pensato e loro ti conducono, ti portano in luoghi che avrebbero bisogno di sviluppo, di tempo senza tempo, di storie per nascere e poi crescere, nostre prima di diventare autonome e d’altri.

Eravamo alla fine di un cammino lungo, fatto di scarpe impolverate, sete e ombra alle spalle. Una grande radura, dei segnali imprecisi che indicavano la direzione e il sentiero che si sdoppiava: puntava in una direzione e poi nell’altra fino a farci trovare al punto di prima. Era la fine o quasi di una traversata e Fiesole il punto d’arrivo, ma non si vedeva. C’erano dei colli e molto verde, alberi, arbusti alti che mascheravano le direzioni. Parlammo dopo molti silenzi che testimoniavano di non sapere e ci sembrò fosse rimasto un sentiero nell’erba. Una direzione già percorsa, ma poi abbandonata. La seguimmo fino a capire che stavamo entrando nella tana di un cinghiale, ne seguì una corsa sconnessa all’indietro, una paura di zanne, di piccoli disturbati, di una madre inferocita, finché tornati nella radura, tornammo a ridere. Di noi, dell’incapacità di vedere l’evidenza e quindi l’errore e ancora di legare i tanti passi fatti con qualcosa che li completasse. Bisognava fermarsi, seguire il pensiero nuovo, lasciare che maturasse e divenisse direzione, così trovammo la strada.

E così sono le parole nuove che si formano e indicano qualcosa che è appena conosciuto, mai pensato prima in quel modo e già diviene fascino e possibilità, ma serve tempo. Non quello di prima ma quello della realtà di adesso, che non è solo minacciosa, ma riporta le cose e noi alla luce, a ciò che conta e contiene tutto il bello e il suo contrario, ciò che dev’essere scoperto e la banalità che ora non ci attira più nel suo lucore privo di contenuto. Ho la sensazione che la scelta e la sua possibilità emerga ora con più forza e torni a noi. Questo tempo che abbiamo a disposizione, regalato, se non ci indica nulla di nuovo, sarà tempo perso.

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