Con il passare delle esperienze il corpo si rafforza, diventa meno permeabile. Questo è ciò che ci pare di vedere, a volte di sentire, poi basta poco per scoprire una fragilità. Se il poco può ferirci significa che non è così insignificante e vuol dire anche che l’insicurezza che abbiamo ben riposta sotto la pelle è sempre in attesa di conferme. L’amore aggiusta tutto, il disamore disfa, ruota tutto su questa dualità che si contrappone e annulla per infiniti gradi le attese reciproche, le modifica. Basta una parola e tutto torna da capo, come si fosse in un immenso gioco dell’oca fatto di sentire, di esperienze, di fatti accaduti che dovrebbero aver insegnato. Ed è vero, hanno insegnato, ma non definitivamente perché qualcosa, da qualche parte, ci dice che ciò che si è sbagliato una volta può essere rifatto differentemente, che ciò che ha avuto un esito può averne un altro e così si apre con forza la via dei ghiacci dell’esperienza. Ogni anno un rompighiaccio rompe la morsa che stringe il porto di una città del nord del mondo e apre la strada perché assieme alla bella stagione tornino gli scambi, tutto ridiventi fresco, l’aria trovi quel profumo che da lontano ricorda tutto quello che può essere fatto e si farà in parte. È una metafora che ci riguarda? Penso di sì perché siamo fragili e le nostre fragilità sono un valore immenso in quanto ci permettono di sentire e valutare sfumature che rendono la vita nuova e bella ogni giorno, siamo, in parte, come quel ghiaccio che improvvisamente si fa sottile, riflette la luce e poi, prima d’essere acqua, si frange. Ma siamo anche duri per paura di soffrire. Conosciamo la sofferenza, ciascuno a suo modo e in un suo grado, che nessuno può sindacare su di essa, è una cosa nostra. A volte preziosa perché dimostra il valore di ciò che si perde o muta, anche se sappiamo che ciò che vale davvero non si perde mai, sappiamo anche che non sarà mai più come poteva essere. In questo la durezza è scorza, superficie che tiene sotto il sentire. Duri e fragili come quel ghiaccio che si frange e lascia che irrompa l’acqua, che lo scorrere diventi visibile. Sentimento sentito, provato, percorso con timore e con trepida speranza. Dovremmo, (brutta parola che esprime ciò che non si fa) prendere cura delle nostre incrementanti fragilità. Sapere che gli anni ci rendono esposti alla parola più che alla rissa. Usare le parole e i silenzi con amore verso noi stessi per avere qualcosa da donare a chi è importante per noi. Invece ci si acconcia alla cultura dell’apparire e così non siamo mai nessuno. Non noi che vorremmo essere altro, non quel simulacro che può scivolare nel ridicolo della non età, del non appartenere al nuovo che possiamo esprimere ma alla moda che ci dovrebbe rendere differenti, più fascinosi al mondo. Non siamo più noi se durezza e fragilità davvero non ci rappresentano, nei principi che ci rendono differenti, nella corazza flebile che ci espone all’amore quando esso vuol colpire. Accettare che le fragilità aumentino con la consapevolezza dell’aver vissuto e amato rende quella durezza il morbido comprendere ciò che ci viene detto e ci mantiene saldi su ciò che fa la differenza dei nostri principi, dei sogni da sognare, del nuovo che ancora non sappiamo di poter vivere.