Fu come l’amore, qualcosa che non si poteva dire e neppure tacere. Fu una ventana che prese il cuore e il cervello, un segnale che ben altro doveva accadere. Quelli che vissero, partecipando, quei giorni, ne furono presi e segnati per anni. Manifestazioni, voglia di riscatto, speranza, ma anche sconfitte cocenti, arretramenti. E di questo bisognava parlare, bisognava partecipare perché accadesse il buono e non l’epilogo tragico.
Da queste parti il temporale si preannuncia passando dalla lietezza del sole a un cielo che si fa bianco di nubi, e poi grigio, ma sembra ancora tutto in forse e potrebbe accadere che il cielo si liberi lieto oppure che cessi il vento. E allora siamo a un attimo prima che la pioggia cominci violenta a spazzare tutto. Così allora, ed era lontano, in Cile, ci fu un prepararsi di eventi, un confluire di congiure che noi percepivamo da distante. C’arrivava un’ eco di fatti banali, di situazioni contraddittorie. Il governo e il parlamento nazionalizzavano le miniere di rame e i grandi proprietari stranieri, americani, reagivano con gli embarghi. Si bloccavano i camionisti, nei negozi sparivano i generi di prima necessità, Salvador Allende ribadiva la via della democrazia alla nazione e parlava, come aveva sempre fatto nella sua vita, di socialismo. Non erano i proclami di Fidel, era un medico che aveva vissuto le miserie del suo popolo e le aveva capite, ora proponeva che un Paese con risorse e voglia di lavorare pensasse a se stesso. Credo che anche Berlinguer e altri leader comunisti, fossero poi colti di sorpresa da ciò che accadde l’11 settembre, perché è vero che s’era in epoca post coloniale, che le aree di influenza erano ancora ben salde nelle mani dei potenti, ma si era anche negli anni ’70, la guerra fredda era stata scaldata dai fatti del Viet Nam, c’era stata una sollevazione mondiale di giovani e di speranze che era partita proprio dagli Stati Uniti. Insomma c’era un cielo pieno di nubi ma tutti speravamo nel sole, anzi ne eravamo certi. Poi avvenne tutto in poche ore, certo ci fu una regia, due mesi prima il comandante in capo delle truppe, un vecchio generale fedele alla Costituzione, René Schneider, era stato ucciso in un tentativo di golpe, e il tentativo di coinvolgimento dei militari nel governo non era andato a buon fine. Anche la nomina di Pinochet a capo dell’esercito, ritenuto da Allende persona fedele alla democrazia fu un errore, l’11 settembre i militari attaccarono il palazzo presidenziale con gli aerei. Allende rimase a difendere ciò che aveva sempre affermato, la legittimità e il diritto e morì. Pinochet prese possesso del Cile in nome e per conto, non dei cileni, non della democrazia, ma degli interessi degli Stai Uniti, con la connivenza di gran parte di quello che allora era detto l’occidente democratico. Insomma non avevamo capito che il mondo non era quello che diceva di essere, che la democrazia non funzionava come libertà del popolo di scegliere, che non bastava la coerenza per mutare una nazione se questa era negli interessi geopolitici ed economici di altre ben più grandi, che arrivare per via democratica al cambiamento non aveva alternative, ma era una debolezza non una forza. Ciò che accadde in Cile scosse il mondo, ma non gli impedì di accadere. Berlinguer scrisse i suoi articoli sul compromesso storico partendo proprio dai fatti del Cile, trovò in Moro un ascoltatore attento e partecipe. Qualcosa di nuovo si delineava anche in Italia, poi ci fu il rapimento e la morte di Moro e venne altro.
Improvviso in politica è qualcosa che sembra una contraddizione e lo è se non si osservano bene le forze che si muovono sotto gli interessi contrapposti. Così mi viene da scuotere il capo quando si respingono i profughi economici mentre anche le nostre aziende depredano l’Africa, quando i piani di aiuti finiscono in minima parte a chi ne ha bisogno, quando si mantiene il sottosviluppo perché interessa la manodopera a basso costo. Certo poi qualcosa accade all’improvviso, ma se pensate bene, raramente mantiene la rotta verso una maggiore giustizia ed eguaglianza. E al contrario di allora, oggi c’è molta meno attenzione e passione, così l’indifferenza lascia passare tutto e nulla muta per davvero in meglio. Con tutto il nostro ragionare, con la convinzione del logico e del giusto, se non c’è passione e un noi che davvero prevalga, alla fine altri ci guidano e l’improvviso diviene solo il temporale.
“…se non c’è passione e un noi che davvero prevalga…”: il problema è tutto qui. Come sempre, riesci a spazzare il superfluo e cogliere l’essenziale.
Avviene si confonda passione con pulsione, cioè due contenitori che non saranno mai riempiti e che entrambi generano il desiderio. Abbiamo bisogno di passioni perché esse mettono in moto quella parte dell’io che cerca di mettere insieme persone e gesti. Ma di questo parleremo.
Grazie per la tua attenzione Miss Macabrette