Il movimento della ruota del samsara, del procedere del tempo, che immagino cigolante e disassata come quella di un vecchio carro che continua ad avanzare con l’inesorabile fatica del dovere, è immagine dello scorrere.
Da noi c’è il fiume del tempo in cui si perde lo sguardo quando la foglia o il tronco non sono più il punto a cui ancorarsi per impedire d’essere noi stessi scorrere.
Un ruotare cigolante è meglio del flusso dove la scelta è l’essere parte oppure l’osservare?
Si capisce che quell’osservare è lo stesso che Nietzsche guardava nell’abisso: se si guarderà troppo il flusso esso volgerà gli occhi verso di noi e ci guarderà, perdendoci. Quindi sembra che la scelta migliore sia essere nel flusso. Non so se esso coincida con la dittatura del presente, ovvero questa continua ricerca del provare e della coniugazione del verbo essere, oppure se sia un affidarsi, un lasciare che le cose accadano con noi. Il carpe diem, non era privo di passato e aveva un futuro, insegnava a godere di ciò che si conosceva e nel suo farsi con una direzione. Od almeno così l’ho inteso, perché negli apparenti ozi poetici, gli amori si impegnavano, le intelligenze inerpicavano nuove vette, e le armi del potere correvano. Insomma il carpe diem era nel flusso che ricordava la sorgente e andava al mare. Affidarsi per godere del giorno, oppure osservare affascinati lo scorrere, questo il tempo che scorre lineare e non si ripete.
Altrove il tempo era ed è altro.
Per la ruota del tempo e il mondo, nei suoi fatti apparentemente asincroni, diradare le nubi, capire, implica l’azione. È una condizione strana che accetta e al tempo stesso agisce perché vedere la sofferenza del mondo comporta uscire da quella rappresentazione pratica della paura che è l’indifferenza.
Per entrambe le cognizioni del tempo, nessuno ci chiederà conto con sufficiente forza prima di noi stessi, di ciò che abbiamo fatto per gli altri in noi.
Sankhara dukkha, è la sofferenza che si esprime in ciò che vive, una condizione leopardiana letta nell’oriente che non è mai privo di sofferenza. Noi più banalmente la possiamo confondere con la malinconia della consapevolezza. Ciò che vive esige cura.
La ruota gira e cigolando chiede attenzione, non all’utile ma al giusto per sé e gli altri.
Noi del tempo non sappiamo nulla. Abbiamo desideri, pulsioni mascherate in voglie, e una paura incoercibile che ci riguarda. La ruota vorrebbe ci lasciassimo andare, che assecondassimo il daimon che ci parla, troppo spesso inascoltato. Non bisogna abbandonarsi alla sofferenza ma trovare la traccia che da dentro porta verso un vedere gioioso.
Qui sembra, ma non è così, che le rappresentazioni del tempo trovino una coincidenza, ovvero lo scegliere chi essere.
E il tempo che ci chiede l’abbandono contiene il suo contrario ovvero l’azione che sprigiona il daimon del nostro destino. Abbandonarsi a sé coincide con la consapevolezza che scandiamo il nostro tempo, mai poco o troppo, è nostro e riempibile. Come lo si colma è tema di ciascuno ma a nessuno è risparmiata la malinconia e a nessuno manca il suo antidoto dell’affidarsi a sé, agendo.
Difficile poter commentare un post come questo senza apparire scontati….hai detto già tutto, speriamo di riuscire a colmarlo nel modo migliore e soprattutto senza sprecarlo il nostro tempo, buona serata 🙂
Ha assolutamente ragione Silvia:
hai detto tutto tu, non c’è altro da aggiungere se non che trovo quello che hai scritto molto affascinante e vero.
Poi l’immagine ad apertura post è davvero bella e mi attira tantissimo, come ben sai.
Grazie Will, con un sorriso,
Buona giornata ciao
Ondina
Buon giorno Silvia e Ondina, pigrone 😊Ciascuno ha una nozione del tempo, del presente e di come viverlo, a me interessa la vostra.
Buon fine settimana sperando nell’altro tempo, quello atmosferico, che pure influenza non poco pensieri e umore.
😊