persone

Li guardo alzando gli occhi dal libro. Vedo i loro occhialini, gli occhi vivaci, i cappelli strani come le acconciature, i visi che si muovono. Hanno una mimica che cerco di interpretare così guardo verso chi è rivolta. Spesso è una donna e anche lei da interpretare nella mimica del viso, nel taglio della bocca. Non voglio fissare, mi hanno insegnato da piccolo che le persone vanno osservate senza metterle in imbarazzo, così lo sguardo scivola via, va distante dai volti, dagli abiti, dalla mimica delle mani. Vedere senza guardare. Le mani dicono molto, a volte più del viso. osservo come s’intrecciano e si sciolgono, quando stringono a ribadire una convinzione e poi si rilassano. Per discrezione cerco di non ascoltare, indovino dalla mimica. Parlano di lavoro, di progetti, alzano la voce, ridono di qualcuno o qualcosa. Oppure i visi si avvicinano e scambiano qualche intimità. Promesse a breve, forse. Gli abiti cominciano ad alleggerirsi. Si aprono, mostrano i vestiti sotto le giacche. Le fogge sono così inusuali che mi sorprendono sempre. Io vesto sportivo oppure con la giacca e cravatta. Devo dire che le tinte le accompagno sempre in sfumature di tono se vado al lavoro, ma i colori mi piacciono molto. Mi incuriosiscono e penso a come devono star bene quando si vestono. Penso sorridano. Cerco di immaginare i loro pensieri, le attese, i desideri. Ci assomigliamo tutti ma con l’età il mazzo si mischia e i desideri prendono posti differenti. E così le urgenze o ciò che pareva secondario improvvisamente si scambiano.

A volte persone che conosco, si fermano e mi parlano, spesso vorrei più silenzio e meno convenevoli. Scambiamo notizie che non ci interessano, colgo le ripetizioni, i racconti che mutano e che non si ricordano di avermi già fatto. Sorrido ai punti giusti, non rilevo che ho già sentito. Mi chiedo come mai conosca sempre meno persone che passano per questi tavolini all’aperto. Mi sorprendo anche se conosco la risposta. Un tempo ci parlavamo tra i tavoli, ora la vita ha disperso i visi conosciuti, le vite che si erano toccate. Ma io torno e guardo il cambio della guardia. So che non hanno pensieri simili ai miei, il divario d’età è così ampio. Qualche volta, interpellato, passo l’accendino oppure do un’informazione, ma spesso mi accorgo che mi chiedono cose che non conosco bene. Forse mi prendono per un professore vista l’età e l’essere conosciuto dai proprietari. Vedono anche che spesso sosto allo stesso tavolo. Quello da cui si vede il tramonto che staglia la città mentre arrossa il fiume. Passa una barca che voga alla veneta e lascia una scia di piccole onde morbide. Mi piace come cala la sera con questo sospendere i rumori attorno, sembra che tutti stiano più attenti. Ma è un’impressione perché il cicaleccio e le risate si susseguono.

Non conoscere nessuno non significa sentirsi soli, è come avere una casa aperta in cui entrano voci, pensieri, espressioni. A dire il vero non ho una percezione di un utile in tutto questo, ma mi piace il senso di curiosa immaginazione che me ne viene. È come mi raccontassero delle storie senza volerlo, ed io ascolto. Mi piace molto ascoltare e lasciare che la mente corra. Un tempo mi sembrava di conoscere tutti in questa città, che non è proprio piccola. Anche adesso mi salutano spesso e mi sorridono. Credo dipenda da qualche ruolo passato, ma qui non c’è nessuno che mi conosca. O quasi. E ho la sensazione che lo spettacolo di umanità pensante che mi viene offerto, pur senza nome, non sia una folla, ma persone. Immagino e così mi riconosco. Vorrei ringraziarli di esserci, ma non mi capirebbero e penserebbero che sono un balordo. Ce ne sono che arrivano ad una certa ora. Ma se li guardate non sono vestiti in modo strano, anzi lo sono molto meno di chi li guarda, solo che parlano, interrogano, cercano approcci. A me piace stare in silenzio e occuparmi di ciò che vedo, scrivo, leggo, immagino. Forse la differenza è questa. Solo questa. 

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