Una macula infinitesima. Un’imperfezione della retina dovuta al troppo uso. Così è nata una piccola moschetta inesistente, che raramente vola nell’angolo del campo visivo.
Come un fantasma, si prende l’attenzione inquieta, del vedere e poi perdere nozione. Accade anche quando ci si guarda dentro e per un attimo, un solo attimo, tutto diventa chiaro, salvo poi perdersi e sparire nei piccoli gorghi di cui è costellato il mare al limite del cosciente. Tornerà, sia la moschetta che la percezione assoluta. E il pensiero assieme agli occhi torna sulla pagina.
Quando ci sarà la tecnologia necessaria, quel puntino che vola sarà un pixel bruciato: anche adesso con 7 si può cambiare il sensore, se è in garanzia…
Importante è la misura che il nostro corpo ci propone.
La sera ci si propone di perdere cinque chili. Perché?
Abbiamo parlato con chi abita il corpo?
Già, chi abita il corpo sembra sia solo il cervello, anzi neppure quello ma quel pizzico di coscienza che va spesso per i fatti suoi. Di sicuro lo fa quando si dorme, ma spesso anche da svegli. E invece, di tutto quello che sta sotto la cute ci si occupa come di un inquilino moroso, quando dà segni d’insofferenza per lo stato della casa.
Facciamo un conto: ho un sacco di organi collegati, una macchina piena di display e di segnali, un sistema simpatico (ma molto indipendente) che governa gran parte delle cose e il tutto abita dentro di me in silenzio. Forse perché non parlo mai con nessuno. Mi occupo della coscienza, raramente del sauro che alberga al buio nel profondo, ma a tutto questo sommesso sferragliare non concedo il bene della mia comunicazione. Non alle 206 ossa che esigerebbero un dialogo singolo e neppure alle 68 articolazioni. Eppure c’è stato un momento in cui ho scoperto che esistevano, è stato con una caduta importante e la riabilitazione. Per due mesi si svolgeva un rito molto fiducioso, nudo, steso, pancia sotto, avvertivo che le mani che stavano estraendo risposte da muscoli e articolazioni riaggiustate stavano parlando con qualcosa che avevo sempre trascurato. Non era un massaggio piacevole, era un dialogo tra parti che riemergevano. Alcune mi sembravano risentite di essere state chiamate dopo tanta trascuratezza, altre più docili, si prestavano a funzioni nuove. In quei mesi, mi promisi di riprendere il discorso, poi le cose andarono diversamente. Subentrò nuovamente la violenza con cui si chiede a noi stessi e a chi ci abita, di fare le cose.
Però mi ero convinto che, come per la coscienza, per la fantasia, l’acume e la memoria, ci fossero altri con cui stare in compagnia. Chieder loro come stanno, ma soprattutto cosa vogliono. Nei miei dialoghi con i coabitanti capivo che il linguaggio era essenziale, che c’era bisogno di calma reciproca e che soprattutto era un dialogo a due. Per questo – pensavo- ci si stende, si chiudono gli occhi e si ascolta. E anche se all’inizio non sembra arrivare nulla, ma in realtà poi ci sono segnali, piccole richieste. Capivo che i miei compagni erano modesti e alacri, che facevano tutto quello che potevano e anche più, ma se dovevo perdere cinque chili dovevo parlare con loro. Cioè non bastava togliere, bisognava aggiungere, dare, fornire un significato: cosa vuoi che interessi al fegato la mia bellezza, eppure senza la sua collaborazione la superficie soffre, dentro nasce un putiferio, i suoi amici si rivoltano, quindi dovrei discutere con lui non della bellezza ma di un nuovo equilibrio. Quello che è strano è che si parla con soggetti enormemente tolleranti, flessibili, che si adattano e si conformano purché gli venga fornita una ragione valida.
Serve una ragione valida e un discorso che ascolti. Poi anche i desideri saranno esauditi, le passioni introjettate ed esaltate, e non sarà un discorso tra macchine ma tra soggetti.
Chi abita il corpo? È una domanda rara, ma se si pone è una continua scoperta. Basta qualche minuto al giorno, non per placare un urlo, ma per ascoltare chi c’è. Anche se tutto funziona lo stesso, si fa movimento, si mangia con attenzione o si eccede in allegria. Senza un obbiettivo che oltrepassi la curiosità di capire, di collegare, solo per accogliere il corpo come i pensieri. E partendo dall’ignoranza, che è la migliore condizione, ascoltare e dialogare. Pensando che solo noi possiamo fare questa esperienza ed è un peccato vivere senza farla.
Ci si ascolta in questo modo quando (forse) non c’è nessuno ad ascoltarci o quando nemmeno ci interessa più (quasi) parlare.
Allora la nostra attenzione va se stessi. L’impresa più ardua e far tacere la mente.
Lascio qui i miei auguri.
Buone feste Willy
.marta
Credo sia il bisogno di conoscersi Marta, sapere che molto di ciò che è scontato in realtà è solo poco conosciuto.
Che siano giorni di festa Marta e che ti facciano star bene. 😘
Chi abita il corpo? Non sempre tutto è noto…
Buone feste
Fabrizia
È vero Fabrizia, anzi quasi tutto è ignoto. Con molta fiducia aspettiamo e cerchiamo di capire un poco. Buone feste a te e a chi ti è caro.