Si alzano i toni dello scontro, ma dove finisca la finzione e inizi la verità, è difficile dirlo. Nella battaglia tra chi è furbo e chi difende un principio è d’obbligo la diffidenza. Il furbo può essere intelligente, l’intelligente può scegliere di non essere furbo e semplicemente non fidarsi. Sin qui normale amministrazione. Sul referendum, seguendo l’iter dell’approvazione della riforma, avevo maturato l’idea che la sostanza e la lettera degli articoli, così come modificati, fossero di per sé sufficienti ed evidenti per decidere cosa votare.
Nel mio caso, dopo aver letto, ho deciso per il No.
Poi c’ho pensato meglio e mi sono ricreduto, non sul No, ma sulla semplicità del mio ragionamento e mi sono chiesto il perché di tanta confusione, di tanta imperizia, sgrammaticatura e ambiguità, che saranno fonti successive di ricorsi infiniti. Chi ha scritto fa quel mestiere, ha uffici a disposizione, perché pasticciare?
Eppoi perché toccare così tanti articoli quando per dire che diminuivano i costi della politica e il processo legislativo diventava più rapido e sarebbero bastati l’abolizione del CNEL, la riduzione dei parlamentari di Camera e Senato e la riforma dei loro regolamenti. Con la modifica di tre o forse quattro articoli della Costituzione le cose avrebbero dato comunque il segno forte del cambiamento. Diversa la questione delle prerogative regionali che a mio avviso meriterebbero un esame più sostanziale e si potrebbero abolire le distinzioni anacronistiche oltreché ingiuste, rendendo tutte speciali le regioni, e dividendo bene i poteri con lo stato centrale. Ma questo tocca la forma Stato e merita un approfondimento a sé stante.
Oppure, ancora, se invece l’obbiettivo fosse stato quello di abolire il bicameralismo, perché non sopprimere il Senato tout court? Era più semplice e meno pasticciato, per i rapporti con le regioni basta e avanza la conferenza Stato-Regioni, del resto non abolita.
Se non era stata seguita la via più semplice. Pur non amando i complottismi, la risposta doveva essere altra, con motivazioni meno apparenti, ma sostanziali, così mi sono chiesto: cosa ci sta dietro a questa riforma? Mi sono tornate a mente le dichiarazioni di una grande banca d’affari americana che da tempo sostiene che c’è troppa democrazia nel Mediterraneo, che i Paesi europei hanno processi decisionali che ancora possono essere modificati e ribaltati dal corpo elettorale, che necessita una verticalizzazione del potere. E non lo sosteneva solo lei, ma anche altre organizzazioni che studiano il rapporto tra finanza e crescita mondiale. Per la finanza la possibilità che un parlamento rovesci decisioni, buone o cattive che siano, raggiunte con fatica dalle lobbies, è un danno immediato e incrementante, cioè toglie la certezza del profitto che ci dev’essere sempre e comunque. Quindi forse la ragione sottostante non è la semplificazione dei processi, ma il loro controllo e non è, come si vorrebbe far credere, che sia il nuovo che sconfigge il vecchio, bensì il trionfo dell’utile.
E a chi serve questo utile e soprattutto cos’è? Qui la cosa si confonde perché accanto a una versione edificante che sembrerebbe dire che l’utile è il processo decisionale, la necessità di realizzare un programma per il quale i cittadini col voto si sono espressi, (da questo il profondo legame tra riforma costituzionale e legge elettorale), emerge una pericolosa confusione tra utile e potere. Il potere esercita le proprie caratteristiche e più o meno realizza l’utile dei cittadini, ma può anche realizzare in forme meno esplicite l’utile di altri. A questo servono i contro poteri e la verifica elettorale, ma se il potere è in grado di condizionare proprio gli organi di verifica e di contro potere che accadrà?
Nulla se il “capo” , apparso per la prima volta in una legge avente un legame con la parte costituente, è servo del popolo sovrano. Molto se egli persegue i fini di una parte anziché quelli di tutti. Quindi ciò che è in ballo è il raggiungimento di un utile e del necessario potere che lo realizzi. In questa lettura capisco meglio il fine, le cortine fumogene della confusione dei processi legislativi, la mancanza di una legge elettorale che riporti al popolo l’elezione di un Senato con compiti differenziati. Comprendo che ciò che sta mutando è quel concetto di democrazia che la banca d’affari e non solo, giudica eccessivo per essere al sicuro da chi governerà e sulla sua amicizia con il sistema.
La democrazia non è il sistema di governo perfetto, ma sinora gli altri sistemi hanno fatto peggio, intendo dire nel meccanismo di corrispondenza tra uso del potere e soddisfazione dei bisogni e mantenimento dei principi di eguaglianza, legalità, libertà. Certamente la democrazia evolverà, ma la domanda fondamentale è se essa sarà maggiore oppure minore in futuro. Il liberalismo che ha sempre considerato che l’individuo e i suoi bisogni prevalgono su quelli della comunità, ha posto sin dall’inizio il problema del peso del voto, e a volte del voto stesso. Perché i migliori, diceva, ovvero quelli baciati dal risultato e dal successo dovrebbero valere come gli altri che non hanno altrettanta intelligenza e fortuna? E i primi non hanno forse strumenti maggiori per decidere per il meglio? Ecco che l’eguaglianza comincia a sparire, la legalità ha diversi pesi, la libertà stessa diventa differenziata. Se la sovranità appartiene al popolo, cioè alla comunità e non ai migliori, e volendo mantenere intatte, libertà, eguaglianza e legalità, e magari espanderle, bisognerebbe avere più democrazia, più possibilità del cittadino di contare e non di meno. Credo che in questo le tecnologie siano già entrate in maniera pesante nella gestione della democrazia, i sondaggi influenzano le decisioni governative, i media amplificano le posizioni, le promesse sono soverchiate da informazioni che spesso si elidono nella contraddizione. Ma il dubbio sull’efficacia di governo può essere ancora risolto semplicemente lasciando che chi sta peggio voti contro e chi sta meglio voti a favore e soprattutto voti chi vuole. Il momento del voto è l’unico momento, in cinque anni, in cui al cittadino viene data la possibilità di esercitare il potere che ha per la gestione dello Stato. È solo in quel momento, poi qualcun altro lo farà al suo posto: chi ha eletto. Ecco il profondo legame tra potere, cittadino e Stato. E la democrazia si preoccupa di far esercitare convenientemente questa relazione.
Ieri nella direzione del PD, nell’intervento di un ministro, è stato detto che esiste una sproporzione tra quanto si discute all’interno del partito (cioè di rapporto tra referendum e legge elettorale e voto conseguente) e ciò che accade nel mondo. Leggendo queste parole, ho pensato che se fosse così il segretario premier non si preoccuperebbe così tanto degli affari del referendum, ma piuttosto del molto d’altro che attende il Paese. Ma era un pensiero malevolo, così ho pensato che il ministro aveva ragione solo se l’Italia non contava poi molto e che esiste sempre un relativo in ciò che ci coinvolge, che una risata magari avviene finché da un’altra parte qualcuno piange, ma l’una non compensa l’altra. Ho pensato che il qui e ora di ciascuno, proiettato sul futuro è esso stesso un mondo e che chi ha il potere si trova davanti alla necessità di sintetizzare i diversi mondi che appartengono al suo popolo, siano essi quelli della politica come pure quelli delle persone. E quando lo fa, chi esercita il potere, si trova davanti al proprio narcisismo e alla scelta tra un bene e un male relativo e così, il suo propendere per l’uno o per l’altro, renderà il futuro di tanti più o meno positivo. Questo è il potere democratico, che ha grande responsabilità di tenere assieme e di provvedere ai bisogni e al futuro, non quella di dimostrare di cosa è capace. Quest’ultima dimostrazione, quando si esaurisce nella prova muscolare, diventa sempre disgraziata e misera perché non ascolta altri che sé e quindi prevarica. A questo serve la democrazia del voto, a rendere transeunte e limitato il potere, a portarlo nell’ambito che gli è proprio, ossia decidere per il bene comune e non per quello di pochi. E siccome tutti siamo perfettibili, cadiamo nelle nostre contraddizioni e abbiamo idee mutevoli, e a maggior ragione perché siamo insieme con altri Paesi, ci dev’essere qualcuno che non dipende da chi è stato eletto che verifica il potere in modo indipendente e fornisce un’altra verità. Questo potere si conforma a qualcosa di più alto, ovvero alla Costituzione, la legge da cui nascono le altre leggi e giudica in base ad essa l’espressione dell’esercizio del potere. Per questo preferisco avere più democrazia, processi legislativi che raccolgano le opinioni di più persone di idee diverse, far prevalere una maggioranza che non abbia tutta la verità. E preferisco votare e sapere chi voto, per chiedergli conto. Per questo vorrei che chi mi rappresenta rispondesse alla legge come me e non avesse immunità. E che facesse quel lavoro, a cui nessuno l’ha costretto, a tempo pieno, con spirito di servizio al popolo e allo Stato, nel migliore dei modi, con la possibilità di verificarlo ed eventualmente di non votarlo più. Se questo dispiace alla banca d’affari, o alle grandi organizzazioni della finanza, non mi interessa molto, vorrei se ne facessero una ragione perché per arrivare a questa libertà l’uomo ha impiegato qualche decina di migliaia di anni e non è stato né facile né incruento.
E così mi tengo finché posso la mia piccola possibilità e voto No.
E condivido il tuo pensiero aggiungendo che, in ogni caso, non mi sembra ci siano al momento al governo persone che siano in grado di apporvi cambianti onesti e significativi.
Il problema Marta è che chi può arrivare è anche peggio
Non mi ci far pensare 😦
Oggi i politici hanno già l’immunità, non è certo questa riforma a dargliela, anzi ne riduce il numero. Le sue motivazioni presentano un’altra faccia della medaglia che è nota a tutti e che fa dell’Italia il paese più instabile d’Europa con la durata media del governo tra le più basse (un anno). Oggi basta lo spostamento di qualche parlamentare da una coalizione a un’altra per far cadere un governo, per non parlare degli inciuci e dei ricatti che questo sistema consente e promuove. Se da un punto prettamente ideologico l’attuale sistema garantisce maggiore pluralità è altresì vero che, da un punto di vista pragmatico, impedisce di governare e fare le cose necessarie al bene del paese. Spero che gli italiani scelgano la maggior stabilità e governabilità perché non credo che ciò riduca la nostra democrazia. Io voto Sì.
Credo che gli storici non abbondino in Italia perché questa storia della durata dei governi, viene presentata come fatto statistico più che come parametro degli ultimi governi, infatti se escludiamo il governo tecnico di Monti e lo stai sereno di Letta, i governi degli ultimi 20 anni non sono stati brevi. Berlusconi ha governato l’intera legislatura, Renzi si sta avviando al terzo anno. Se guardiamo i nomi dei presidenti del consiglio ci accorgiamo che sono circa un terzo dei governi che si sono succeduti, e siamo il paese europeo con il maggior numero di leggi, oltre 200.000.In Europa gli altri stati non sono messi molto meglio a durata di governi, mentre a leggi certamente sì. Dov’è scritto che la nuova costituzione impedirà il maggior sport seguito dai parlamentari ovvero il cambio di partito? Da nessuna parte se non evitando di far votare dai cittadini i capilista e facendone i pretoriani del premier, ma neppure questo basterà se addirittura nel nuovo Senato la cosa viene sancita dall’iter di cambio dei senatori che entrano ed escono secondo il ritmo delle varie elezioni. La governabilità è un problema della politica, come la stabilità e non si garantisce togliendo ai cittadini la possibilità di votare i rappresentanti, casomai questo è una diminuzione dei controlli. Per questo e molto d’altro voto No.
Dite che questa riforma darà troppo potere alla maggioranza e poi dite che non impedirà il cambio di partito. Finora il cambio di partito è stato fatto per ribaltare gli equilibri parlamentari se non addirittura per far cambiare la maggioranza o far cadere un governo debole. Con una maggioranza forte questo non potrà accadere, almeno che non ci sia un esodo di massa e questa eventualità dimostrerebbe che non c’è alcun pericolo per la democrazia . Rispetto la sua opinione ma continuo a pensare che questa riforma non porta in sé alcun rischio né alcun peggioramento dello status quo ma anzi offre possibilità e miglioramenti di cui abbiamo bisogno per fare qualcosa di più di quanto non sia stato possibile fare con l’attuale costituzione.
Che dire Antonio, abbiamo opinioni diverse. Per me (quindi tolga il plurale, per favore, lo dico io, con tutti i miei limiti) questo è un Paese fragile che ha bisogno di regole garantiste e forti. E’ un Paese in cui cambiare opinione è quasi uno sport, basti pensare a come si sia passati dall’idea federalista dello Stato all’idea centralista senza alcuna discussione. E’ un Paese che si riflette in una antipolitica crescente alimentata dalla politica, anche da quella che governa, con messaggi che sottendono l’idea che i parlamenti siano poco utili e la politica stessa inquinata da se stessa. E’ un Paese che deve ancora solidificare l’idea che ci sia l’eguaglianza alla propria base, che ognuno valga perché è uno e non tanti in ragione del reddito e del patrimonio. E’ un Paese in cui le leggi non passano non perché impedite dai meccanismi parlamentari ma dagli indicibili interessi di coalizione. E’ un Paese con un presidente del consiglio e un governo che anziché dire questa è la realtà, ne prospetta un’altra in cui si vede protagonista futuro e appresta gli strumenti che servono per gestire ciò che sarà un premierato mascherato. Già la trattativa di questi giorni, le aperture dicono molto sulla solidità d’impianto delle idee oppure della loro strumentalità a un fine. Ma io sono di parte Antonio e continuo a pensare che una cattiva riforma è peggio di niente riforma. E se le posso dire una preoccupazione oltre al sì e al no, è quella che ciò che ci sarà dopo sarà comunque una costituzione ferita, non accettata da alcuni e usata da altri. Non un grande passo avanti. Comunque cerco di essere sereno, non come raccomandava Renzi a Letta, interiormente sereno. Come penso Ella sia.
Lei è l’ultimo dei romantici, affezionato al passato e pieno di dubbi sul futuro. Io invece penso che “chi non risica non rosica”. Il cambiamento è una necessità perché ci da speranza e non nostalgia, ci da fiducia e non rimpianti. Io non credo che il passato sia tutto da buttare ma quando penso che l’unico governo stabile che lei mi ha citato è stato quello di Berlusconi, quando penso che il suo amico Bersani, dopo aver vinto le elezioni, non ha potuto formare un governo e che il governo Renzi esiste perche c’è un’alleanza con la destra di Alfano, allora mi convinco sempre più che l’attuale sistema non funziona. Se la sinistra dei grandi politici, degli ideali, degli uomini che con onore e onestà hanno lottato per il nostro amato paese, deve allearsi con la destra di Berlusconi, di Alfano etc c’è una mostruosa anomalia in questo sistema. Dicono che Renzi sia di destra, che stia realizzando il programma di Berlusconi e dimenticano che, se un uomo di sinistra sta governando, è grazie a Matteo che si è tappato il naso, ha rimandato giù il vomito e ha deciso che questa Italia andava salvata dal rischio default anche a costo di fare alleanze disgustose. Questa però è un’emergenza, non si può pensare di governare sempre così né credere che gli italiani capiscano chi è più utile e chi è più populista. Bisogna mettere l’Italia nelle condizioni di essere amministrata, se questo avverrà con la diligenza del buon padre di famiglia o con l’arroganza dei populisti spetterà solo agli elettori deciderlo.
Prendo la sua ultima frase Antonio, che dà all’elettorato la scelta su come vuole essere amministrato e da chi., io voglio esattamente questo: scegliere. Non votare per chi mi viene imposto e sarà eletto senza che lo voti, non dare una maggioranza che può cambiare le regole del gioco ad una minoranza che può essere esigua. Visto che sono legato al passato devo ricordarmi che la legge truffa e la legge Acerbo erano migliori dell’attuale dal punto di vista democratico. Ma questo è l’otalicum,lei dirà, non la costituzione e la legge elettorale si è disponibili a modificarla. Vede Antonio, io non mi fido di Renzi, come non mi fidavo di Berlusconi, dicono una cosa e poi ne fanno un’altra. E il combinato disposto della legge elettorale e dei pasticci creati nella modifica costituzionale crea uno scivolamento verso una forma stato mai discussa. Un cancellierato di fatto, che ha poteri superiori a quelli dei cancellierati conclamati. Far coincidere il premio di maggioranza al partito che vince il ballottaggio con una maggioranza inusitata alla Camera che da la fiducia al governo instaura un eccesso di potere senza contrappesi adeguati. Ora purché passi il sì l’italicum che è stata definita come la migliore delle leggi possibili può essere modificato e il senato può tornare elettivo, pare, mi sta bene, ma perché non farlo prima? Non è tutto da buttare nella riforma costituzionale, bastava ridurre le modifiche e togliere L’involuzione dell’equilibrio dei poteri. Definire con coerenza ambiti di intervento e ascoltare i non pochi che pure vogliono che questo Paese funzioni. Non è stato fatto per arroganza e perché tanto si può modificare, come il governo fa in politica economica o nelle leggi come la buona scuola. Fare e poi metterci una pezza. È questo pressappoco della politica attuale che mi fa temere. Il nuovo non è buono per definizione e neppure adeguato al futuro se mancano i principi comuni. Ha ragione, io sono vecchio, come lei dice, non rosico il futuro che è di tutti e non solo di una parte. E soprattutto considero il dubbio come un buon compagno a fronte della supponenza del giusto che si autocertifica. Continuo a votare No, e pensi, senza dubbi perché riesco a leggere e interpretare ciò che accade, a mio modo naturalmente, finché potrò farlo perché è un mio diritto.
La riforma elimina 315 senatori e li sostituisce con 100 senatori scelti tra consiglieri regionali e sindaci. Elimina il CNEL e le province con conseguente riduzione dei costi. Stabilisce che alcune leggi non dovranno essere discusse dal nuovo senato mentre altre sì e modifica alcune competenze delle regioni riportandole in ambito statale al fine di una maggiore uguaglianza tra le diverse regioni italiane. Nulla di quello che lei dice c’entra con la riforma costituzionale. La legge elettorale è già stata approvata e non è oggetto di referendum. Lei mi dirà che l’insieme delle due cose può portare a quello che ha affermato fin qui. Io le faccio notare che anche se vincesse il No, l’ italicum resterebbe e anzi andrebbe modificato per adattarlo alla presenza del ” vecchio ” senato. Nulla impedisce che i poteri che oggi l’ italicum attribuisce alla camera, vengano dati anche al senato con la conseguenza che avremo rinunciato a una buona riforma senza ottenere quell’equilibrio di poteri cui lei è tanto affezionato e di cui sente già la nostalgia. Ergo io voto Sì con la certezza che un maggiore potere decisionale della camera, derivante dall’ italicum e non alla riforma, possa essere utile a rendere questo paese più veloce e moderno a dispetto di chi ci vuole arretrati e con il parlamento più costoso e numeroso del mondo. La bocciatura della riforma non eliminerà le sue paure e i suoi dubbi.
Vede signor Antonio, la riduzione dei costi della politica, avendola conosciuta dal di dentro, mi sembra più uno specchietto per allodole che un problema di sostanza. Le province hanno personale e competenze, dirigenti e contratti, di fatto i costi non sono diminuiti se non per i gettoni di presenza e le indennità degli assessori, lo stesso accadrà per il senato. Quindi cose marginali rispetto agli stipendi dei parlamentari oppure dei boiardi di stato. Vede, l’unico modo per ridurre il costo della politica è eliminare la corruzione ma a questo basta il codice penale purché si tolgano le immunità. Non vorrei stupirla ma io preferisco che al posto del senato pasticciato della riforma Boschi si elimini il Senato e si dia rilievo costituzionale alla conferenza stato regioni definendone compiti e limiti. In questo caso la riduzione dei costi sarebbe sostanziale perché dovrebbe sparire la macchina senato quella che non è toccata dalla riforma. Non confondo gli ambiti tra legge elettorale e riforma costituzionale, so cosa si vota, ma non posso ivnorare come si eleggono i deputati e quale sia il ricorso all’elettorato attivo. C’è una involuzione della rappresentanza e della scelta, non a caso i partiti ben presenti nella costituzione del ’48 non erano il dominiamo della situazione, l’assenza del vincolo di mandato e la rappresentanza della nazione portavano all’elettore. Con la riforma costituzionale non sarà più così e il potere di controllo verrà nel migliore dei casi attenuato. Vuole un esempio? La sostituzione dei membri non in linea con il governo nelle commissioni affari costituzionali proprio in occasione della discussione della riforma. Mineo, Chiti ecc.
lei mi parla di nuovo, di velocità, di cambiamento, sono parole legate ai risultati d questi non dipendono dai vincoli. Togliere l’articolo 18 ha reso più precario il lavoro e moltiplicato i voucher non ha dato intelligenza agli imprenditori. Per me questa riforma è un pasticcio che mescola cose diverse e liscia il pelo alla finanza internazionale. Non la condivido nel merito complessivo e nel combinato disposto, questo fa di me un uomo del passato? Per età forse ma non per discussione e volontà in quanto su non poche cose voglio il cambiamento più di lei. Magari è un cambiamento diverso, più di sinistra, ma non meno radicale. Comunque nessuno di noi due muta opinione, credo che la discussione si possa concludere perché rischieremmo di annoiare i pochi lettori ammesso ve ne siano. Se vuole scrivermi il mio indirizzo lo trova sul blog. La ringrazio e mi fa piacere che ci metta passione, è una cosa che apprezzo molto anche quando non condivido.
Indicherò su uno dei miei blog questo tuo post perchè lo trovo esauriente e misurato Anche i commenti fanno la loro parte in questo caso, mi dispiace solo che troppo spesso la politica vera
( ormai rarissima) sia sostituita dalla propaganda. Per inciso io voterò NO ma avrei ribloggato il post anche con un’idea diversa.
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Ho commentato il suo post perché avevo intravisto delle motivazioni per il No alla riforma diverse da quelle che sento dire da gente che non ha mai letto nulla in merito. Devo costatare con delusione che dagli alti valori della difesa della costituzione e della democrazia ha finito per parlare di fiducia in Renzi, di articolo 18, di demagogia, di eliminare la corruzione, di immunità ( che non vengono aggiunte ma anzi si tolgono 215 immunità) , di vincolo di mandato ( che resta come nell’ originale art 67 ). Lei è passato dagli argomenti di sinistra alle chiacchiere populiste del movimento cinque stelle e alla ” antipatia ” per Renzi come unico, vero motivo (mal celato) per il No. Sapevo già che non avrebbe cambiato idea ma speravo che avrebbe fornito a me delle ragioni per cambiarla invece ha rafforzato questa mia convinzione di votare Sì. Spero che Renzi non si dimetta così che vi rendiate conto del vostro errore e della occasione persa.
La politica non prescinde dagli uomini, è credibile per ciò che fanno non per quello che dicono di fare. Non ho una avversione personale per Renzi, non condivido la sua politica, ma apprezzo le cose che ritengo efficaci, mica sbaglia tutto. E le cose potrebbero finire qui per Renzi. Però egli ha legato se stesso e la sua visione politica a una riforma della costituzione che non è azione di governo. Le ragioni del si è del no si riferiscono a diverse concezioni dello Stato e del governare, lei permetterà che mi ricordi ciò che sta accadendo al lavoro, alle rettifiche sulle positive sorti del paese per dire che se questo è il futuro ciò che può essere interpretato lo sarà, se va bene in un modo che a me non piace. Nella tripartizione dei poteri della repubblica parlamentare ciascuno ha un compito ma il parlamento ne ha uno in più ovvero fare le leggi. Se l’elezione del parlamento e l’esecutivo sono direttamente connesse dai premi di maggioranza e dalla elezione senza espressione diretta dell’elettore ne viene che l’esecutivo prevale. Ebbene io non sono d’accordo. Lei dice che ci sono 215 immunità in meno, io dico che ce ne sono almeno 100 in più e la toglierei pure ai deputati fatto salvo il lavoro di parlamentare. Non pensavo di convincerla,anzi non me lo sono mai prefisso, vede io discuto e dico quello che penso poi ascolto il mio interlocutore. Lei mi ha detto che bisogna osare, per me bisogna analizzare, prevedere e scrivere, non si costruisce un edificio e poi si vedrà se si può utilizzare o se sta in piedi. È solo l’articolo 70 mi basterebbe per dire di no, nella sua confusione e complicazione. Non mi va bene nulla? Certo che no, oltre all’abolizione del cnel e alla definizione più precisa degli ambiti legislativi regionali con la specialità però estesa a tutte le regioni. Insomma si poteva fare molto di efficace mantenendo gli equilibri tra poteri, si è scelto il cancellierato senza esplicitarlo. Non mi va bene e continuerò a dirlo a chi è convinto che lo stato e la costituzione siano di tutti non del presidente pro tempore.
Direi che il cuore del tuo discorso sia “più sono semplici e più sono controllabili”. Basterebbe questo per dire NO alla riforma. Credo anche che tutta questa confusione nell’informare sul SI sia fatta ad arte, in russo (credo) si dica DISINFORMAZIA. Alla fine non ci si capisce più nulla e si viene presi per stanchezza. Dopo i primi post su “Io voto NO” ora li centellino e quasi non li metto più. Chi mi conosce ha glià letto tutto e non occorre che li convinca. Credo comunque che se vincerà il SI succederanno dei bei casini….o no? A volte tendo a dimenticarmi che siamo in Italia.
credo che semplicemente il paese sarà più votato al pericolo di una verticalizzazione del potere, che una parte dei cittadini non sentirà la costituzione come propria, che ci sarnno meno contrappesi e più instabilità. Perché quando le promesse contraddicono la realtà questo accade. Insomma un paese diviso, con grandi problemi e non coeso. Con il no è un’altra storia, si modificherà la Costituzione, nelle parti che servono e lo faranno non a colpi di maggioranza variabile, magari attraverso una costituente. Perché sembra strano ma c’è più responsabilità civica dalla parte del No che in quella del sì.
Ieri dicevo che se vincesse il SI, se non fossimo in Italia mi aspetterei dei guai grossi in senso di moti popolari. Oggi, dalle notizie che sento, non ne sono più così sicura…la corda è stata tesa troppo
Non so, penso che non accadrà nulla subito, siamo vicini a Natale. La frattura che si è creata nel paese invece penso non si rimarginerà a lungo.
Certo che non si risanerà, ma anche se non fossimo sotto Natale dubito molto ci sarebbero moti…gli Italiani si sono ulteriormente impecoriti
siamo un paese di indifferenti, Diana, non tutti, ma è così. Mi ha colpito tempo fa il sondaggio che metteva la scelta tra libertà e benessere come soccombente la prima per oltre il 40% degli italiani. L’assoluta maggioranza perché i non rispondo erano oltre il 20%.
Non mi stupisce affatto. Come dico sempre “Questa generazione è stata rovinata dagli anni che vanno dal 68 al 79”. Purtroppo i nostri ragazzi (ed anche noi d’altronde) sono stati troppo viziati, ed anche io lo sono stata. Grazie a Dio ho una testa che ragiona per conto suo. Ricordo NETTAMENTE quando si è svegliata la mia coscenza. Al primo ano delle superiori: era il 1973 e la scuola divenne palestra politica dopo il golpe cileno; bisogna dire che il PCI era ancora una grande cosa allora. Ora la politica è distrutta, non esiste più e la gente pensa solo ad avere la pancia piena e ad avere tutte le comodità possibili.
Forse penso male, ma la guerra ha una sua necessità fisiologica. Ci vorrebbe un altro dopoguerra (comprensivo anche di un 8 settembre) per risvegliare le coscenze e rimettere tutto in moto.
In fondo siamo già in un dopoguerra, la crisi economica è strutturale ormai è così la recessione. C’è un impoverimento crescente sostanzialmente mascherato da igiene diffusa e abbondanza di cose a poco prezzo. Nelle periferie del mondo che ho visto era così a parte l’igiene. Quello che manca è una rinascita con speranze connesse, come fatto collettivo intendo, il PCI era anche questo collettore di energia e speranza. Ho parecchi anni più di te Diana e posso dire che non ho mai visto tanta rassegnazione.
Io non la chiamerei rassegnazione, perchè questa è almeno qualcosa da cui ci si può toglier fuori. Io la chiamerei apatia…ed è molto peggio
temo tu abbia ragione, è apatia ed è più pericolosa della rassegnazione perché fa subire e basta.
Si vogliono costituzionalizzare la prevaricazione e la prepotenza; l’imbroglio e l’astuzia; l’associazionismo lobbistico e il peso della moneta e il potere a vita.
grazie willy
Grazie a te Gialloesse. Sempre viaggiatore? 😊
sempre