la fatica del dubbio

IMG_4156[1]

Di tanta sicurezza che vedo attorno, capisco solo l’insicurezza su cui si poggia e la paura che tutto crolli se s’indaga appena. Preferisco la coscienza del proprio limite, che include la fatica del dubbio, la battaglia che si combatte per il giorno, dove la sera è un premio, l’esitare della strada e la soddisfazione del giungere, il bisogno di ripartire. Si contrappone l’ansia vacua d’immortalità con la coscienza del giorno, e commuove la bellezza della rosa, gloriosa del suo esserci,  nel flusso del divenire.

a common man

DSC00230

La comune difficoltà che accomuna credenti e non credenti in questo nodo di festività che si concentrano intorno al natale, non di rado sfocia nella tristezza e nel desiderio che il periodo passi al più presto. Il peso delle ritualità, anche quelle che nascono per rifiuto o differenza rispetto agli altri, accompagna un senso di privazione di qualcosa non ben identificato. E questo riceve molte risposte, ma il come uscirne, se non attraverso l’attesa che si esaurisca il periodo, molto spesso si arresta alle ragioni razionali. 

Questa convergenza di disagio, che quindi non dipende solo dal fatto di credere o meno, dovrebbe far riflettere su quanto, non l’oggetto e la sua immagine, ma piuttosto sull’essenza, ovvero ciò che si vuol rappresentare: la spiritualità, e quanto questa si sia allontanata dall’uomo e questi non sappia bene come trattarla. Da un lato le religioni hanno espropriato la spiritualità dall’uomo e anziché liberarla, l’hanno confinata nelle regole, nei dogmi, nella mortificazione del sé umano. Dall’altro un’operazione analoga è stata creata dal rifiuto del religioso (e delle religioni) di chi non crede, ma non riesce comunque a rispondere alle domande che gli sorgono nel trattare la propria dimensione spirituale se non attraverso la negazione dell’esistenza della struttura religiosa. Questo ragionare arriva all’ateismo per impossibilità di credere e per rifiuto, a volte resta nell’agnosticismo, e tenta  di avvicinare lo spirituale al pensiero, riducendolo, per quanto può, nel razionale o ancor più nello scientismo. Comunque sia il disagio e la reattività resta.

Come entri lo spirituale nelle nostre vite, è parte dell’esperienza di ciascuno, ma anche, e soprattutto, dell’accettazione di questa parte essenziale dell’uomo, che non è solo superstizione o bisogno di sicurezza, però esiste e vale almeno quanto il razionale o la parte che assegniamo ai sentimenti nel guidare le nostre vite. L’uomo, noi, siamo tutto questo insieme, nel mescolarsi di dimensioni diverse che danno una direzione, ed il prediligere l’una o l’altra dimensione orienterà le scelte che facciamo nelle relazioni, nel vivere concreto, nel rapportarci con noi stessi. 

Sull’eclisse del sacro, sulla superficialità di questi giorni, chissà quanti articoli, blog, riviste manifesteranno il disagio esistente tra l’immagine luccicante delle festività e il sentire delle persone. Ed io, che nel mio essere non credente mi interrogo, cerco di trovare una via che non getti il positivo di un malessere, e oscillo tra il rifiuto del troppo che ci attornia e che sconfigge l’uomo e la ricerca di significati nei momenti che certamente non ripetono l’infanzia o il momento del meraviglioso che l’accompagna, ma piuttosto cercano l’amore che esiste attorno. Un ripasso di ciò che conta davvero, oltre le modalità, oltre il il vincolo delle giornate, ascoltando gli affetti e le domande che arrivano. Bisogni forse troppo simili per non dire che questo senso del religioso sconfina troppo spesso nel bisogno d’amore e che forse andrebbe investigato in questo senso.

p.s. come si legge, non ho soluzioni, e la riflessione continuerà, ben sapendo che non si esaurirà con il periodo: questo è uno dei temi del ben vivere, almeno per me.