maturità

Chissà cosa significa oggi l’esame di maturità, quanto conservi delle antiche paure che facevano perdere il sonno e cosa rappresenta ora come passaggio. Mi chiedo anche quanto distante sia la percezione dei ragazzi da quella dei genitori, che rivivono qualcosa che li ha colpiti allora. Certo è che l’esame di maturità è mutato molto negli ultimi 30 anni.

Quando l’esame di maturità nacque, nel 1923, pochi anni prima, a 17 anni, i ragazzi avevano fatto la guerra e comunque, anche in tempo di pace, a quell’età la giovinezza si avviava alla fine. L’università, per i pochi che la facevano, era l’anticamera del lavoro, per gli altri il lavoro iniziava subito, ed erano stati privilegiati rispetto ai coetanei che avevano iniziato a lavorare 6-7 anni prima. Gli uomini a 18 anni facevano il militare, altro passaggio verso la maturità, comunque tutti erano convinti di essere grandi e autosufficienti. E la maturità non rappresentava forse questo, sia pure camuffata da esame? ovvero la capacità di disporre del proprio presente, costruire un futuro, avere un posto proprio nella società. Eh sì, era proprio questo lo snodo: il posto nella società, il ruolo, l’essere titolare di famiglia, generare figli, ecc. ecc. Oggi questo non c’è più, ovvero non è garantito e infatti l’essere maturi non certifica nulla se non il superamento di un esame scolastico e al più fa cambiare scuola. E allora, forse adesso, il solo significato della maturità è che in essa c’è la prima vera prova in un mondo iperprotetto. 

Ci si dovrebbe anche chiedere se aiuti a crescere, se l’esame sia sufficientemente severo da proiettare negli anni precedenti la sua ombra e quindi essere formativo anche in tal senso. 

Nel ’69, durante le occupazioni, si studiava come funzionava l’università altrove, secondo il buon principio sul colore dell’erba del vicino, un esempio che mi piaceva era quello francese dove tutto avveniva alla fine con l’esame di accesso alla professione, dopo la tesi. Una sorta di esamone di maturità, che faceva di uno studente un laureato vero, cioè una somma di nozioni che diventavano competenze. Non so se sia ancora così in Francia, ma in Italia l’impressione che si ha, è che in questi anni gli ostacoli della corsa si siano abbassati e che si corra più veloci, ma verso dove nessuno lo sa.

p.s. non è che mi piaccia il brivido nefando dell’esame di maturità, tra l’altro l’ho fatto quando si portavano tutte le materie e la commissione, tranne uno era fatta tutta di esterni, e neppure vorrei che si restaurasse qualcosa che non ha più senso. Quello che mi chiedo è proprio questo: il senso. Se la maturità è la prima vera prova allora come tale dovrebbe essere vissuta, ma mi piacerebbe che non fosse una finzione, perché allora servirebbe a poco e soprattutto nasconderebbe altro, ovvero l’incapacità sociale di dare un ruolo e il convergere verso l’iperprotettività, quello che insomma non aiuta a crescere.

cocci, bordure e tulipani

DSC03817

Balconi screziati di giallo e di bianco, una spinta vitale, plebea, incoercibile come il genere, sapiente di dna. adesso, sembra dire: tocca. Ed esplode ovunque, anche nei piccoli spazi, nella case ristrette degli umani, nella vicinanza, negli stretti vasi. Oggi le terrecotte sono soppiantate dalla plastica, il coccio, troppo a lungo vilipeso, ora è una ricchezza. L’avete mai udito che risuona alle nocche come campana povera? Provate a farlo con la plastica che al più imita il colore e poi si disfa al sole. Nei cortili, in campagna e in città, a volte nei muri, ci sono le tracce di questo tornire, formare, cuocere e contenere, tenere bellezza. Che meraviglia.

A me piaceva, nelle case di campagna, spesso a fianco delle porte, vicino all’orto, vedere le latte grandi delle cipolline o della giardiniera, piene di terra e di geranei, immaginavo ciò che c’era stato prima: i lessi sontuosi delle feste, l’aceto pungente da conserva, e questo riusare, perché i vasi di coccio costavano, ma i fiori dovevano esserci, era un modo di vedere la povera economia della casa senza rinunciare all’essenziale. Come una gentilezza dell’animo che non sottostà alla condizione, ma emerge comunque e si imbeve nella sostanza, non nella forma. Nell’erba, a bordure (venne poi l’aiuola già ricca a soppiantare l’orto), la finta altezzosità del tulipano, la sua ansia di luce, il colore denso, la vita breve, lo sfogliarsi su tavole coperte di cerata a fiori o riquadri, spesso verdi o azzurri o rossi, con quel colore un po’ slavato che sbiadiva nel tempo e nell’uso. Non era allora, né adesso, metafora della giovinezza, ma esplodere prepotente di vita che si rinnova. Lasciato in terra affonda e fiorisce ogni anno, con fiori più esili, ma costanti. Ma allora si toglievano, a fine fioritura, i bulbi ed erano messi ad asciugare su carta di giornale, per poi trovare un posto sino al prossimo ripiantare. Cosa e cura di donne, come se al maschio fosse precluso il tener da conto la bellezza. Guardavano poco gli uomini, il lavoro piegava gli occhi, anche se prefigurava voglie. Tutto più semplice e determinato allora.

E’ erotico il tulipano, nel suo esplodere di vita, nel raccogliersi dapprima nella carezza delle foglie lunghe, per poi essere cuore che si apre, colorando gli occhi. E’ erotico nel suo alludere, nel prefigurare ansia e soddisfazione. Cose da poetastri perditempo vederlo nel pensiero che si colora, dopo il guardare, se sceglie il momento e lo colloca nella propria infinitezza. Già. 

quel vantaggio

Quel vantaggio che ti faceva dire –lei, la giovane- è poi sfumato col tempo. La superiorità d’aver visto di più si scioglie con gli anni. Ma non ci si pensa quando è ora, e adesso che l’età non conta, avreste da parlarvi, ma non si può più. Del resto l’avete fatto poco anche allora: erano più le cose della vita che parlavano per voi. Tu eri ribelle e lei no.

Ricordi? ce lo siam detti che un tempo si parlava poco: c’era pudore dell’io e del sé. Ma i gesti, quelli sì, parlavano. E mentivano molto meno.

Pensando alle mie storie, capisco come posso i giovani. Le ragioni non sono mai le stesse, tranne alcune, come allora. E sono importanti perché è la vita che ci tiene assieme. La giovinezza ti si rivolta contro se non condividi e con l’età questo diventa difficile per alcuni, ma non per me.

Come cantavi piano: a conquistare la rossa primavera.

E c’era sole ed era d’aprile.

E sorridevi.