Ogni anno, con le feste tornava C’eravamo tanto amati di Ettore Scola. Quest’anno, ma anche l’anno scorso, non si è visto. Quando lo vedevo tra i film in programma, pensavo che da qualche parte ci fosse un programmista RAI, sfuggito ai vari governi di centro e di destra, che aveva più o meno la mia età. Un “comunista” cinefilo, di quelli diffusi fino agli anni ’80, che erano attenti a ciò che accadeva nella realtà ed erano così audaci da proporre una soluzione alle sue storture. Alcuni scomparvero travolti da improvviso successo, mentre altri furono colti da stanchezza immane, ma non il nostro programmatore cinefilo, che nascosto nel suo lavoro e lo usava subdolamente e cosi tra mille porcheriole continuava a mandare questo film. Credo si siano accorti di lui, ma forse l’ostracismo è più grave perché ormai non si vede più il cinema “civile” dei registi “comunisti” che rafforza vano uno sguardo sulla realtà. Per tv vediamo produzioni americane, tedesche, danesi, francesi che sono o sdolcinate oppure splatter, con sequenze incredibili di morti ammazzati. Alla fine, se questi sono i modelli, diventa tutto relativo: significato, recitazione, messaggio e si crea quella meta realtà che per chi può, diventa il modo di vivere.
Il mio programmatore preferito deve essere andato in pensione, così è svanito il suo memento e la vendetta lanciata contro chi ha sotterrato gioventù, passioni e voglia di cambiare.
Credo si sarà capito che C’eravamo tanto amati è un film che mi piace ancora, e non è l’unico, con un soggetto che ricordava come una generazione conquistò, costruì, sperò, e infine si conformò. Ci fu un convergere di intelligenze, alimentate dall’utopia e della concretezza, che produsse letteratura, film, saggi, quadri, statue, musica e che parlava di speranze perdute.
Però questo film che ho visto tante volte, non riesco più a vederlo in dvd da solo: mi fa male.
Mi fa male perché racconta delle speranze deluse, delle lotte apparentemente inutili, dei compromessi pagati con il potere, degli abbagli, della buona fede e di quella cattiva, del fallimento e del successo, insomma della vita e dell’amore che sembrano certezze e spesso non sono tali. Vita e amore, sono cose molto concrete quando si mischiano nel costruire le scelte personali e le passioni collettive, fanno volare ma anche molto sanguinare.
Mi fa male perché mi sembra abbiano vinto gli altri, quelli che sono arrivati dove solo l’io conta e il noi l’hanno perso per strada.
Era davvero tutto finto, tutta illusione? Davvero non c’era differenza tra una parte e l’altra?
Non so se il potere sia triste, so che ha la capacità di rendere tristi, so che la povertà non è mai felice, so che chi crede in qualcosa di più grande e lotta per darla a sé e agli altri, è felice. Spegnere le speranze è una colpa contro natura, ma è quello che è accaduto per quelle più grandi. Ora restano le piccole speranze rintanate in un io che fatica a diventare noi.
Mi pare che quello che non mi piace, sia il prodotto di quelle disillusioni, che la mia generazione abbia trasmesso la propria sconfitta e che così oltre a far vincere i furbi intelligenti abbia reso più difficile l’amore. Ma tutto questo è preistoria, contatto fisico, speranze comuni, attese, lotte, che nel virtuale si chiudono con un mi piace, oppure con uno scontro che si cancella con il successivo. Non so come sarà il noi al tempo del virtuale e dell’adesso, non so piu che dimensione abbia il futuro che si racconta con i tweet e la metà realtà. Non lo so e anche se tutto questo non c’era quando il film fu girato, anche allora si chiudeva con una disillusione triste. Un sentire che conosco ed è forse per questo che non riesco a vedere più il film per intero.
P.s. La canzone partigiana del film era davvero bella e pure la cantammo spesso, solo che non era partigiana ed era nata molto dopo in occasione del film, ma si poteva credere ci fosse continuità e che non fosse davvero finita un’epoca.