La strada che dall’ altopiano dove si trova Asmara conduce a Massaua, corre spesso parallela alla ferrovia che fu realizzata dagli italiani durante il periodo coloniale. La strada è ricca di curve che permettono l’ascesa ai 2300 metri dell’altopiano, la ferrovia era più ardita e spesso si gettava a capofitto verso la pianura. La mattina in cui feci quella strada partendo da Asmara, in una curva a gomito un vecchio camion Lancia, carico di pomodori, si era rovesciato su un fianco creando una larga pozza rossa scivolosa che invadeva l’intera strada e gocciolava oltre il ciglio verso il burrone. Il pulmino oltrepassò il camion e poi l’autista scese a chiedere se serviva aiuto. Ne approfittammo tutti per andare a vedere i tratti di ferrovia che erano oltre il ciglio della strada e ci accorgemmo di quanto ardita fosse stata la collocazione. L’altopiano scendeva per balze scoscese, era una sorta di tronco di cono e sul fondo si vedevano i resti di camion e altre ferraglie indistinte. A qualcuno parve di riconoscere una motrice di “littorina” che era stata trasformata in casa. C’erano piccole aperture nella roccia, caverne che sembravano anch’esse abitate. Attorno al camion si affollavano persone che caricavano ceste di pomodoro e se ne andavano, l’autista, disperato, urlava senza che nessuno gli badasse. Credo fosse contento che il camion si fosse ribaltato verso la montagna e non fosse finito nel burrone e che la sua preoccupazione fosse quella di rimetterlo sulle ruote. Cercava volontari e pali per sollevarlo, quindi il carico era un buon contraccambio per la fatica da compiere. L’impresa mi sembrava pericolosa e disperata, visto il peso e la strada in discesa, così cominciai a parlare con un vecchio signore che parlava italiano e stava seduto su una traversina diventata panca, sotto la pergola di una casa osteria. Anche lui era convinto che l’impresa fosse difficile ma confidava nel buon volere di Allah. Era una mattinata di sole, non faceva troppo caldo e senza fretta, forse, le cose si sarebbero sistemate. Gli chiesi dei camion finiti nel burrone, se qualcuno si preoccupava di soccorrere i camionisti. Mi guardò con gentilezza e mi disse che c’erano almeno 800 metri di salto, nessuno sopravviveva e ai corpi ci pensavano gli animali. Poi qualcuno degli abitanti delle grotte li avrebbe seppelliti. Quando un camion volava giù dalla strada se c’era cibo, in molti avrebbero mangiato, poi sarebbe toccato alle cose caricate e infine, i pezzi di motore sarebbero stati recuperati e venduti a qualche interessato.
Non volevo fare troppe domande, ma gli chiesi quante persone vivevano sul dorso dell’altopiano, la risposta fu che erano molte, poche, dipendeva dal cibo e dal motivo per cui si erano trasferiti lì. Capii che non erano eremiti, ma persone che sfuggivano alla leva obbligatoria, qualche ricercato o chissà chi altro, ma erano cose di cui non si parlava, nelle grotte c’era acqua e tanto bastava. Intanto i lavori di quelli che si portavano a casa le ceste di pomodori e dei possibili facchini, procedevano. Noi risalimmo sul pulmino e proseguimmo verso Dogali e Massaua.
Ho ripensato al Corno d’Africa e alla Dancalia, nei giorni scorsi, quando gli scenari di un inverno nucleare hanno cominciato a farsi più frequenti. Noi qui possiamo manifestare perché tacciano le armi e finisca la guerra in Ucraina, credo sia la cosa più concreta che i popoli possano chiedere a chi gli governa, ovvero portare a un tavolo di trattativa e di pace le due nazioni in guerra. L’efficacia di questa azione sarà proporzionale alle manifestazioni e alla coscienza che un conflitto con l’impiego di armi atomiche non avrebbe vincitori, ma porterebbe alla scomparsa della nostra e di molte altre specie animali e vegetali. Dopo un’esplosione nucleare e dopo la distruzione di uomini e cose, una immensa quantità di polvere si alza verso il cielo e la stratosfera. L’oscuramento della luce solare comporta un brusco abbassamento della temperatura, la fotosintesi viene inibita, ciò che piove è acqua radioattiva, a parte i governi e i privilegiati che potranno andare nei rifugi, il resto di persone, animali, piante non si possono salvare. Uno scenario apocalittico che da solo dovrebbe far mettere al bando ogni arma atomica. Di sicuro ogni civiltà, ogni opera d’arte, ogni bellezza, verrebbe annullata con la vita. Forse, qualcuno sopravviverebbe perché distante dalle esplosioni, perché non troppo colpito dalle piogge radioattive. Per quello ho pensato al Corno d’Africa, alla Dancalia dove la temperatura è di 50, 60 gradi, ma qualcuno ci vive oltre agli scorpioni, ho pensato al Rift da cui l’uomo è venuto e che è ancora abitato con difficoltà. Nessuno di questi uomini sarebbe in grado di dire cosa c’era di bellezza e di tecnologia nel mondo, sono i dannati della terra che sopravvivono in condizioni estreme. Non si pensa mai alla miseria del mondo, degli uomini che potrebbero essere salvati, ma immani somme di denaro sono investite in armamenti, è ora che la civiltà decida di vivere e far vivere. Di aiutare chi è in difficoltà eliminando le difficoltà al vivere. Il bivio è questo e ciascuno può scegliere se essere per una vita migliore oppure aiutare l’apocalisse. Spero ce ne ricorderemo nei prossimi giorni, riempiendo le piazze, manifestando perché tacciano le armi e si arrivi alla pace e al disarmo, perché il tempo a disposizione diminuisce e ancora si può tornare indietro, poi non più e credo che nessuno di noi voglia tornare al rift.
p.s. due giorni dopo tornai all’Asmara per la stessa strada, il camion era ancora su un fianco, i pomodori non c’erano più, qualche tornante più in basso avevamo trovato un secondo camion fuori strada, ma era finito in un fossato. Intorno non c’era più nessuno, neppure il vecchio seduto sulla traversina, solo la macchia di pomodoro, seccata al sole, aveva formato una crosta sull’asfalto che veniva via a pezzi. .
L’immagine dei pomodori seccati, che vengono via a pezzi, cos’è, meraviglia e metafora di ciò che saremo. M’hai fatto venire la pelle d’oca.
Spero di no Giò, spero che ci sia un dilagare di richieste di pace