lettere dalla zona arancione 2.

In questo secondo giorno di cattività relativa, alcune cose sembrano chiarirsi. Ad esempio chi può muoversi e perché, ma soprattutto la percezione che non è davvero tutto come prima ovvero poco più di un’influenza. Stamattina sono andato in centro, dovevo, ho usato l’auto, il traffico era poco. Tutto il da farsi si è risolto in un tempo inusualmente rapido. Tornando verso casa guardavo i parchi vuoti di bambini, come fossero a scuola e mi sono chiesto cosa penseranno in questi giorni di vacanza che non è tale. Per loro è un’esperienza diversa che per noi adulti, in quanto ancora abituati ai cambiamenti, cosa che per noi, così ricchi di abitudini, è più difficile.

C’è molta discussione sui social, ma è il posto della solitudine che improvvisamente diventa l’agorà della socialità esterna perduta. Questo vale per quella parte di persone che hanno improvvisamente più tempo, mentre gli altri continuano a lavorare. Come prima e con qualche difficoltà in più per chi lavora fuori provincia. Non è visto bene e sembra che lo stigma geografico conti anche tra contigui. È cosa ben diversa dal ritorno in massa verso regioni che finora non hanno avuto episodi importanti di contagi e che hanno strutture meno capienti di queste a nord, ma anche qui si sente un confine. Per il resto sembra non sia mutato nulla o quasi: il cantiere vicino a casa, le aziende della manifattura che non possono lavorare a distanza, i trasporti. C’è la sensazione che sia tutto un po’ meno di prima ma solo per alcune parti dell’area del fare economico. È crollato il turismo, la ristorazione, lo spettacolo, persino la politica ha riti nuovi e frastornati, ma il resto continua a funzionare come prima o quasi.

La chiusura dei bar alle 18 sta avendo effetti strani sulla socialità familiare. Non ci sono solo i giovani che tirano tardi, ma anche quelli che di anni ne hanno di più e magari hanno famiglia. Questo essere in casa cerco di immaginarlo come possa essere percepito e se stia cambiando qualche abitudine. Non ho riscontri, ma credo che ognuno si arrangi e che nuovi equilibri di presenze inusuali, si trovino per amore o per forza. Continuo a pensare che questo è il tempo degli amanti se sono liberi di stare assieme, per gli altri le cose si complicano. 

Ormai si sa che anche i paesi piccoli, di solito fatti di abitudini e di poca trasgressione,  hanno casi di contagio. Il bollettino appare sulle pagine dei tre giornali che riferiscono la cronaca locale, riempita di consigli e fatterelli singolari. Però è difficile che dello stesso fatto si riporti un’unica versione, l’altro ieri una coppia è stata travolta dal treno, le locandine andavano dall’accidente fortuito al suicidio, fino al litigio. Forse per questo sensazionalismo che impera da anni nelle notizie, c’è meno attenzione agli avvertimenti e ai numeri che riguardano la pandemia. A questo si aggiungono norme che sembrano stravaganti e derogabili, quelle sulle distanze ad esempio. Impossibili da rispettare in un bar o in un mercato. Ho colto scetticismo su queste regole che dovrebbero essere sostituite dall’imperativo: state a casa se potete e se dovete uscire state distanti quanto potete dalle persone. Siate puliti, in casa e fuori, cercate di proteggervi da ciò che non si vede e non si sa dove sia.

Nei discorsi sentiti a pezzi tra l’acquisto di un quotidiano e un’attesa alla cassa, qualcuno manifesta un pensiero molto radicato in questi luoghi, ovvero che le norme siano fatte per quelli che non sono furbi. Qui sono tanti ad essere furbi e nessuno si pente quando viene pizzicato, al più pensa che è accaduto, e la prossima volta dovrà stare più attento. In positivo comincia ad emergere il ricordo dell’altra grande preoccupazione invisibile, Cernobyl, quando si lavava di più la frutta e si mangiava più carne nostrana. Solo che allora la minaccia non riempiva gli ospedali, era una condanna differita che si poteva evitare o limitare, mentre ora sono i numeri a impressionare assieme alle mascherine che si vedono in ogni negozio e anche per strada.

C’è una paura sorda, che ciascuno affronta o esorcizza come crede, magari banalizzando oppure pensando che non toccherà a lui. In fondo nelle conte è sempre così, però c’è inquietudine accanto alla trasgressione, le cose non sono uguali, i tram girano vuoti e se ancora la convinzione non è profonda, verrà nei prossimi giorni, spero. O quando si capirà che l’equilibrio di ciò che si può fare ci riguarda personalmente e che stranamente l’egoismo di star bene coincide con la solidarietà del non contagiare chi amiamo.

 

 

 

 

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