la lingua dei coppi

Arrivano alle sette e mezza, li sento perché la betoniera comincia girare con quello sciacquio di sabbia grossa che si mescola al cemento. Mentre faccio colazione sono gia sul tetto, magri e muscolosi da lavoro, con le schiene curvate dai pesi passati e futuri e senz’ anni definiti. Vengono dalla campagna, un tempo avrebbero fatto i braccianti o i pescatori di fiume, adesso sono muratori. Da una settimana tagliano solai, mettono velux, allineano coppi. Parlano poco, i loro rumori sono il grido lancinante della mola, il penetrare convulso del trapano demolitore, il ronzare dell’argano che tira su carriole di malta. Hanno messo lastre di coibente sul cemento, sigillandole con cura, poi hanno applicato la membrana impermeabile, rossa e ruvida, come un corpo spellato dal sole. Infine hanno tracciato in silenzio delle linee blu verticali ogni cinque metri. Si vede che c’è una sintassi in questo lavoro, un ordine di segni che rende dissonanti le cose inutili, che impedisce sgrammaticature di tempo e ordine. Si parte dal bordo e si risale verso il colmo lasciando sentieri di movimento, tutto ha una sequenza risultante. Non ci sono cancellature e rifacimenti e tutto converge in quei coppi che salgono con l’argano.
Vedo che ogni tanto si curvano a verificare l’allineamento, danno piccoli colpetti, poi mettono del poliuretano e continuano.

Ormai è quasi completato, è un tetto grande e così si coglie bene dall’alto che le file sono perfette, i colori dall’arancio all’ ocra sono stati alternati come a comporre un disegno. Sembra un campo appena seminato, con lunghi solchi che attendono l’acqua che si raccoglierà nel fosso grondaia. Non avevo mai considerato quanta attenzione, silenzio e pazienza c’è nell’allinearsi delle cose. Alle diciotto finiscono e se vanno. Tornano in campagna, forse ad altri lavori oppure alla stanchezza che chiude presto gli occhi. Magari sognano coppi, allineati e in bancali, oppure file ordinate che corrono verso l’infinito, il precipizio dove le linee si congiungono e le cose tornano terra. La stessa terra rossa dei coppi che cotta, impermeabilizza, conserva, protegge, vive e cresce altre vite. Ma forse questo non lo sanno pur parlando una lingua silente di cose ben fatte. Una lingua naturale, come un albero, un fiore, un solco d’aratro, un tetto che allinea l’occhio e lo farà nelle stagioni. Anche quando sarà parte del conosciuto e mai scontato paesaggio dell’abitudine. Ecco la lingua che dice e distingue chi capisce da chi non coglie. La lingua dei coppi.

10 pensieri su “la lingua dei coppi

  1. Caspita Willy, questa è la dimostrazione, matematica direi, che la poesia è in tutte le cose; non tutti però la trovano. Grande.

  2. Dalla descrizione è evidente il tuo intendimento per certi lavori…anche se non ti appartiene.
    Comunque sia è affascinante affacciarsi alla finestra, al mattino, e guardare il movimento, il lavoro degli altri, soffermarsi su particolari e quasi anticipare le mosse e di quanto sia importante l’ordine; la sicurezza dell’esperienza nei movimenti: è un fatto, penso, di gestione\programmazione del lavoro, anche.

    I linguaggio dei coppi: beh…siccome son abituata a chiamarle genericamente “tegole” sono andata su google a leggerne la differenza e ho trovato questo: https://manutenzionetetto.wordpress.com/2009/07/15/coppi-o-tegole-che-differenza-passa-tra-le-due-cose/

    Ne deduco che i coppi non solo sono più funzionali ma contengono “il tempo”. Il fascino vintage, conservano il calore funzionale e poetico della casa.
    E anche il colpo d’occhio d’alto non è per niente male, anzi. E’ come guardare un campo di grano, crudo o maturo e tutt’e due insieme in un paesaggio che riscalda.

    Buona giornata
    .marta

  3. Che bella questa tua riflessione, l’osservazione del quotidiano così curato e preciso nello svolgimento di un lavoro a cui nessuno da importanza, il linguaggio dei coppi, così importante se non fatto a regola d’arte, ma che passa inosservato….ormai scontato come tante altre cose….

    Buona giornata 😊

    ________________________________

  4. Cara Silvia, osservare è diventato il mio modo di vedere. A volte mi perdo nei particolari, cerco grafie e modi di comportamenti sottostanti, pensando che l’insieme voglia sempre dirci qualcosa in più.
    Buona giornata a te 🙂

  5. Quando ho letto il tuo commento Marta, ho sorriso per due motivi. Nel primo c’era la decisione che avevo preso di non spiegare cos’erano i coppi, sapendo che i molte parte non si chiamano così e che le coperture dei tetti sono una caratteristica culturale importante dei territori. Pensa che qui usavano il coppo persino per cuocere essendo una “pentola” di argilla utile da mettere sulla brace, con carne o pesci. Il secondo motivo è dato dall’introspezione acuta che hai usato nei miei confronti: è quasi tutto azzeccato e non è poco vista la “distanza”.
    Grazie Marta, passerò tra non molto nei tuoi luoghi e guarderò con attenzione i tetti. 🙂

  6. Caro Gialloesse, tu la poesia la porti nelle cose che fai e in particolare nella potenza delle tue fotografie. Grazie 🙂

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